#MdT (Macchina del Tempo) 1987 - Sull’Europeo Giulio Andreotti ha scritto che "il naufragio del pentapartito gli ricorda il matrimonio andato in frantumi di due suoi amici dopo un aspro litigio perché le ampolline dell’olio e dell’aceto erano rimaste senza tappo".
E’ chiaro che l’ultimo litigio tra Craxi e De Mita non è la vera causa del divorzio, ma la famosa ultima goccia in un vaso riempito ogni giorno da incomprensioni, malumori e un’accentuata incompatibilità caratteriale.
E così Craxi, sconfessando il "patto della staffetta” tanto evocato da De Mita ha rassegnato le dimissioni.
E’ il 3 marzo 1987, dopo tre anni e mezzo di governo.
#MdT 9 marzo 1987 - Cossiga ha affidato l’incarico di formare un nuovo governo a Giulio Andreotti.
Andreotti accetta, sottolineando comunque “il valore non rituale della propria accettazione”.
#MdT 25 marzo 1987 - Andreotti ha fallito.
Restituisce il mandato per le “permanenti posizioni differenti” sui referendum emerse nella maggioranza pentapartito.
I referendum sono stati presentati dal Partito Radicale, dal PLI e dal PSI.
Riguardano la responsabilità civile dei magistrati, l'abrogazione della Commissione inquirente e tre sul nucleare.
La DC e il PCI sono inizialmente ostili ai quesiti. Inizialmente.
#MdT 27 marzo 1987 - Cossiga affida al Presidente della Camera dei deputati, Leonilde Iotti, un mandato esplorativo “per acquisire ulteriori elementi di conoscenza e di valutazione della crisi”.
#MdT 31 Marzo 1987 - Nilde Iotti torna da Cossiga.
A conclusione dei propri sondaggi, la Jotti comunica al Presidente della Repubblica l’esistenza di «tenui possibilità di formare un governo che porti a termine la legislatura».
#MdT 1 Aprile 1987 - Cossiga respinge le dimissioni di Craxi.
Che vada alle Camere per “parlamentarizzare” la crisi.
“La sola via percorribile, congrua e conforme ai principi del nostro regime rappresentativo e parlamentare”.
#MdT 8 aprile 1987 – Craxi si è presentato al Senato. Prima del dibattito parlamentare ha trovato però una bella sorpresa.
Una lettera in cui i ministri democristiani del suo governo rassegnano le dimissioni.
Che fare?
Cossiga vorrebbe un voto di fiducia.
Ma parlamentarizzare la crisi lo pone di fronte a un problema costituzionale.
Buona parte dei suoi ministri sono dimissionari.
Ma sì, facciamo una via di mezzo.
Affrontiamo il dibattito parlamentare e subito dopo rassegniamo le dimissioni senza aspettare il voto di fiducia.
E così fece.
Dopo le dimissioni di Craxi, Cossiga affida l’incarico di formare il nuovo Governo al presidente del Senato, Amintore Fanfani.
Come esponente della DC e non come Presidente del Senato.
Fanfani rifiuta.
Non ci sono le condizioni.
Sono pur sempre il Presidente del Senato e devo essere super partes, quindi poco adatto a entrare in un confronto politico-parlamentare nella costituzione di un nuovo Governo.
#MdT 9 Aprile 1987 - Cossiga assegna l’incarico a Scalfaro.
“Ma sì, proviamo anche Scalfaro” pensa Cossiga.
Chi meglio di un Ministro dell’Interno fuori dalle correnti DC può formare un Governo?
#MdT 14 Aprile 1987 - Scalfaro torna da Cossiga per comunicare l’esito negativo del suo tentativo.
#MdT 15 aprile 1987 - Cossiga incarica Fanfani.
Questa volta come Presidente del Senato.
E come tale lo invita a formare un nuovo governo istituzionale.
“Vabbè, se è come Presidente del Senato ci provo”.
#MdT 17 aprile 1987 - Dopo innumerevoli sforzi per cucire strappi interni, Fanfani e i ministri si sono presentati al Quirinale per giurare davanti al Presidente della Repubblica.
Fanfani, come richiesto da Cossiga, non ha formato un governo monocolore.
Ha presentato un governo “monocolore scolorito” con tre componenti essenziali.
Quella istituzionale (lui come Presidente del Senato e non rappresentante DC), quella tecnica formata da nove esperti (che sostituivano i componenti laici del governo Craxi).
E la componente “monocolore” rappresentata dai ministri riconfermati del partito di maggioranza del governo uscente.
Nel frattempo Craxi se n’è andato dall’Italia.
E’ volato in Tunisia, ad Hammamet.
Non vuole essere disturbato.
Ha mandato Amato per il passaggio di consegne.
A questo punto qualcuno di voi avrà esclamato “Finalmente un governo!”.
Dimenticando che avere un governo stabile, fare le riforme necessarie al Paese e risolvere i problemi, in quei giorni era l’ultimo dei loro pensieri.
E queste furono solo le consultazioni ufficiali.
Vi garantisco che persino per gli addetti ai lavori fu difficile seguire il vortice di tutte quelle consultazioni. Perché oltre a quelle ufficiali ci furono anche quelle ufficiose, limitate, esplorative, segrete e illimitate.
E poi quelle per mandato presidenziale, per iniziative personali, per incarico del partito.
Fanfani si consultava con Spadolini che consultava Natta che mentre consultava Pannella si consultava con Nicolazzi che si era appena consultato prima con Andreotti e Forlani.
Però alla fine si erano messi d’accordo su un nome.
E così il 28 aprile 1987 Fanfani si presentò alla Camera per la fiducia.
Sapendo di non avere i numeri (ne aveva 245 su 316 richiesti).
Con la precisa volontà, di andare a elezioni anticipate.
Con l’accordo tra il Partito Radicale e il PSI sui referendum (DC e PCI, inizialmente ostili).
E un disegno di legge, approvato giorni prima, che consentiva eccezionalmente lo svolgimento dei referendum nello stesso anno delle elezioni.
Semplice. Veloce.
I numeri non ci sono, andiamo lì, il Governo non ottiene la fiducia e andiamo tutti a casa felici e contenti.
Si vota a giugno e sicuramente sarà un democristiano il nuovo Presidente del Consiglio.
Tutto facile.
Ma sarà veramente tutto facile?
Alla prossima
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Nell'ultimo thread di qualche giorno fa, Johannes vi ha raccontato del problema della mancanza di carburante della Regia Marina Italiana durante la seconda guerra mondiale.
Almeno secondo l’opinione dell’ammiraglio Bragadin.
Fosse stato solo quello il problema.
L’ammiraglio Iachino lo mise nero su bianco, quando parlò di una guerra “più assurda che sfortunata”.
E uno dei motivi di quella guerra assurda riguardava proprio me che, laureato in ingegneria, lavoravo all'Istituto Superiore delle Trasmissioni.
Una guerra assurda, portata avanti da un irresponsabile.
Lui la Marina la voleva luccicante, una splendida Marina da parata e da propaganda.
E al diavolo se le navi da guerra non erano dotate di ecogoniometri per gli “avvistamenti” subacquei e di radar per quelli aeronavali.
Me la ricordo bene quella sera.
Era il 26 aprile 1942 e l’Ammiraglio Varoli Piazza mi convocò nel suo studio.
Lo faceva spesso con me, ufficiale della sezione “Attività del nemico”.
Per discutere sulle ultime notizie dei movimenti delle forze navali britanniche in Mediterraneo
La ricordo bene perché capii subito che qualcosa non andava.
Dall’espressione del viso, e poi da quel gesto di vivo sconforto.
Quando mi mostrò quel foglietto.
Solo in quel momento pronunciò quella frase.
“Guarda qui, siamo a zero”.
L’intestazione del foglio era: “Situazione giornaliera delle rimanenze di nafta”.
Cioè il combustibile per far muovere le nostre navi.
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene quando lessi l’ultima cifra: 14.400 tonnellate.
Non era possibile.
Non era possibile.
Da tre anni eravamo al porto di Massaua, nel Mar Rosso, presso il Comando Navale dell'Africa Orientale Italiana in appoggio ai sommergibili.
Nel febbraio del 1941, l’Eritrea, dopo essere stata investita dalle forze britanniche, ormai era condannata.
Eravamo bloccati.
Ma qualche nave avrebbe potuto lasciare il Mar Rosso e salvarsi.
Tra queste la nave coloniale “Eritrea”, la mia nave. Duemilacento tonnellate di dislocamento, velocità massima sui 19 nodi, sei mitragliatrici e due coppie di cannoni da 120/50.
In totale 200 uomini d’equipaggio.
Mi chiamo Marino Iannucci, capitano di vascello e quella che sto per raccontarvi è la storia di un viaggio incredibile.
Una storia che meriterebbe maggior risalto.
Tutto ebbe inizio quando ricevetti l’ordine di abbandonare il Mar Rosso.
E mettere in salvo la nave.
Oggi è il 29 marzo 1941.
Ho scritto un ultimo messaggio alla mia famiglia.
Ho affidato poi il messaggio al mare, dentro una bottiglia.
Povera mamma mia.
Mi chiamo Francesco.
E sto per morire.
Ho solo il tempo di raccontarvi come siamo finiti in questo lembo del Mediterraneo Orientale.
Imbarcato sul Fiume, incrociatore pesante della Regia Marina italiana, classe Zara.
Lui, quello che ha fatto anche cose buone, era piuttosto contrariato per le continue delusioni e i ripetuti rovesci della nostra marina.
Prima la mazzata nella notte di Taranto dell’11 novembre del 1940.
La Cavour quasi colata a picco e la Littorio e la C. Duilio danneggiate.
3 gennaio 1942 – Oggi si sono arruolati nella Marina degli Stati Uniti, assegnati all'incrociatore leggero USS Juneau (CL-52).
Sono George, Frank, Joe, Matt e Al.
Hanno tra i 20 e i 27 anni.
Sono cinque fratelli.
I cinque fratelli Sullivan.
8 novembre 1942 – L’incrociatore USS Juneau (CL-52), con a bordo i cinque fratelli Sullivan, è assegnato alla Task Force 69 (TF 69) come scorta antiaerea della portaerei USS Enterprise.
Sono salpati dalla Nuova Caledonia con un convoglio diretto a Guadalcanal.
13 novembre 1942 – L’incrociatore USS Juneau è coinvolto nella prima battaglia navale di Guadalcanal. E' incaricato di fermare una squadra giapponese diretta a bombardare l'aeroporto di Henderson Field a Guadalcanal.
Un siluro giapponese lo colpisce sul lato sinistro
Oggi è il 31 gennaio 1944.
E non ho molto tempo.
Sta per toccare a me, quindi è il caso che mi sbrighi a raccontarvi la mia storia.
Sono nato a Solt, in Ungheria, il 16 aprile 1896.
A 15 anni iniziai a giocare a calcio nei ragazzi del Torekves.
A 17 ero già in prima squadra
Scusate, ma devo andare veloce.
Nella prima guerra mondiale partii volontario nell’esercito austro-ungarico e durante la 4a battaglia dell'Isonzo venni catturato da voi italiani e internato a Trapani.
Finita la guerra, tornai nella mia Ungheria, ricominciando a giocare a calcio
Tornai in Italia nel 1925 ingaggiato dall’Internazionale di Milano.
Giocai poco, troppi infortuni.
Smisi di essere un giocatore e, seppur giovane, l’Internazionale mi promosse allenatore.
Nel 1926-27 un quinto posto.
Ma l’anno successivo, dopo un settimo posto, venni licenziato.