Finalmente una serata dedicata a me, al più grande fisico, astronomo, filosofo, matematico del mondo.
Considerato da tutti il padre della scienza moderna.
Ma come chi?
Johannes diglielo tu.
Che sono io, Galileo Galilei.
«Sei stato un grande, quello è certo.
E credo sia giusto evidenziare la tua grande personalità. Di uomo e di scienziato.
Però l’unico modo è quello di mettere fine alle troppe leggende che circolano sulla tua persona.
A cominciare dalla celebre “Lampada di Galileo”».
Intendi la lampada che pendeva dal soffitto nel Duomo di Pisa nei pressi della tomba di San Ranieri? Lo sanno tutti che osservando la sua oscillazione e misurandola con i battiti del polso scoprii le leggi sul movimento del pendolo.
Lo raccontano anche ai turisti.
«Lo so. Ma sicuro che fu con quella lampada?
Sicuro, sicuro? A me risulta altro.
Quando fu commissionata quella lampada, la legge del pendolo tu l’avevi già scoperta.
Esattamente nel 1581, mentre quella lampada è del 1587.
E’ così importante? Ormai l’hanno messa dappertutto. Era anche sulle banconote da 2.000 lire ricordi? Lasciamo le cose come stanno. In fondo è una leggenda a fin di bene.
Non sarà certo una lampada in più o in meno a fare la differenza, non credi?
«Lo so. Però sappiamo che le oscillazioni di un pendolo hanno uguale periodo solo se sono minime.
Tu stesso nel 1641 progettasti, sulla base di quelle piccole oscillazioni, un meccanismo per un orologio.
Perché poi non sei riuscito a realizzarlo?»
Come hai detto era il 1641.
Avevo settantasette anni, vecchio e cieco.
Sono morto l’anno dopo, ma nel 1656 fu proprio grazie ai miei primi studi che Christiaan Huygens costruì il primo orologio a pendolo.
E in seguito anche il primo orologio da tasca.
«Già. Ma torniamo a noi.
Alle altre leggende che circolano sulla tua persona. Detto che nessuno disconosce le tue grandi scoperte e che nessuno mette in dubbio quanto tu sia stato grande, perché qualcuno ha sentito il bisogno di fare di te un martire. Un eroe».
So a cosa ti riferisci.
Al processo della Santa Inquisizione che ho subito.
E alle torture che mi hanno costretto, il 22 giugno 1633, all'abiura delle mie concezioni astronomiche
E alla fine del processo rinchiuso in cella.
«Un vero eroe quindi. Il bene contro il male. Fede contro Scienza. Se non fosse che in cella non hai passato nemmeno un giorno. E in quanto alle torture, lasciamo perdere. A limite dei lievi arresti domiciliari, dato che avevi tutti i lussi possibili nella tua villa di Arcetri».
"Ma caa dici?" Lo avevano scritto nelle carte del processo. Che sarebbe stato “un esame rigoroso”.
E sapevamo tutti cosa significava quel “rigoroso”.
Solo perché avevo scritto che il sistema tolemaico era sbagliato.
Anche se non avevo prove scientifiche sull’eliocentrismo.
«Allora forse è il caso di raccontare tutta la vicenda, non credi?
Inizio io.
Era il 1610, ormai quarantaseienne, quando lasciasti Padova dove insegnavi matematica da diciotto anni alle dipendenze della Serenissima Repubblica di Venezia».
Aggiungerei “avarissima” Serenissima Repubblica di Venezia, visto che me ne sono andato perché mi pagavano poco.
Niente a che vedere con i mille scudi annui che mi offrì il granduca di Toscana Cosimo II nominandomi “primario matematico” all’Università di Pisa».
«Primario matematico e filosofico” per l’esattezza.
E, incredibile a dirsi, senza obbligo di residenza e di insegnamento. Fu un anno incredibile.
Hai dato alle stampe la tua opera più importante.
Il “Sidereus Nuncius”, che illustrava le tue scoperte fatte con il cannocchiale».
Intendi l’occhiale da canna? Altra mia invenzione.
Con quello ho scoperto gli anelli di Saturno, la natura delle nebulose, la montuosità della Luna, le macchie solari.
E soprattutto i satelliti di Giove, che chiamai “pianeti medicei” in onore dei Signori di Toscana».
«Una tua invenzione? Sicuro?
Perché a me risulta che il tuo discepolo Badouvère ti scrisse una lettera dove ti raccontava di un fiammingo che aveva fabbricato un occhiale che permetteva di vedere chiare e distinte le cose distanti.
Tu hai perfezionato i componenti, quello sì».
Come sei pignolo Johannes.
Va bene, non l’ho inventato io.
Però se vogliamo esseri precisi il merito lo dobbiamo a chi ha inventato le lenti.
Inventori anonimi, pensando che di lenti ne parla Aristofane nel IV secolo a. C. in una sua commedia. Comunque io perfezionai il tutto.
«Vero. Fino a quel momento l’occhiale da canna era stato una semplice curiosità esposta nelle fiere di paese.
Tu costruisti qualcosa di eccezionale.
10,100, poi 1.000 volte più grandi e 30 volte più vicine. Le cose, intendo.
E portasti l'occhiale a Venezia nel 1609».
E dopo averlo fatto provare ai senatori dal Campanile di San Marco ne feci loro dono.
Potevano vedere le navi nemiche due ore prima che con la sola vista.
Per questo mi offrirono un impiego a vita all’Università di Padova. Soldi, sempre pochi però.
«Ma qualcuno ti accusò di plagio.
Tu accusasti il colpo, ma cominciasti, con quello strumento, a osservare il cielo.
E dopo pochi mesi annunciasti quelle incredibili scoperte che hai elencato in un tweet precedente».
Sì, ma oltre a quelle feci anche un’altra scoperta. Osservai il pianeta Venere offrire delle fasi progressive e regolari come la Luna.
Ne ho dedotto che “Venere “necessiriissimamente” si volge intorno al sole” e così doveva accadere per tutti gli altri pianeti.
«Già. I pianeti quindi si muovevano intorno al sole.
Si passò da un opinabile ragionamento a qualcosa di più concreto.
Che avvalorava gli antichi Pitagorici, il grande Copernico. E lo stesso Keplero.
Certo, la prova non era definitiva, ma l’inizio di ogni futuro ragionamento».
Diciamo però che le reazioni furono più negative che positive. Ma io ero famoso in tutta Europa.
E avevo amicizie eccellenti.
Il Principe Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei, per esempio.
E poi il fiorentino Maffeo Barberini che diventerà Papa Urbano VIII.
E poi lui.
«Già. Proprio lui. Il Cardinale inquisitore Roberto Bellarmino.
Colui che aveva messo la firma sulla condanna a morte di Giordano Bruno.
Sapevi esattamente i rischi che stavi correndo diffondendo idee contrarie al magistero della Chiesa. Nella Bibbia era scritto chiaramente».
Lo so cosa c’è scritto nella Bibbia.
Che…
Come? Si è fatto tardi? Proprio adesso che veniva il bello. Va bene, proseguiamo domani.
E ti racconterò delle torture che ho dovuto subire.
Ma dai, perché fai quella faccia Johannes. Ma è vero!
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«Preparare camere di lancio!».
Sapeva che i tubi lanciasiluri sarebbero stati pronti in un attimo e che la centralina di lancio avrebbe elaborato tutti i dati necessari in pochi secondi.
Mentre i giroscopi stabilivano le traiettorie per i tre siluri, lesse la distanza: 380 metri.
Era vicino.
Non poteva sbagliare.
Lui difficilmente sbagliava.
Da quando, nell’ottobre del 1940, gli era stato assegnato direttamente il comando di un U-98, sottomarino di tipo VIIC della Kriegsmarine della Germania nazista.
Ci sapeva fare.
Eccome se ci sapeva fare.
Tanto che dal marzo 1942 era al comando di U-boat U-177 di tipo IXD2.
Quello dove si trovava ora.
E quello che aveva di fronte era l’ennesimo obiettivo che tra poco avrebbe spedito in fondo al mare.
L’ennesima nave britannica per il trasporto di armi, rifornimenti e truppe.
«Troppo piccola» mi dissero.
«Non possiedi i giusti parametri fisici per giocare ad alto livello.
Non potrai mai giocare in Nazionale».
E io non capivo.
Amavo quello sport.
Avevo cominciato a giocarci a dieci anni e dopo soli tre anni avevo esordito nel campionato nazionale.
Nel campionato nazionale riservato alla mia categoria?
A quelle della mia età?
No.
Proprio nel campionato nazionale cubano di pallavolo femminile.
Niente male per una di 13 anni.
Ero piccola, è vero, rispetto alle altre, ma volevo giocare in Nazionale
Lo volevo con tutto il cuore
Se sei piccola e vuoi giocare a pallavolo ad alto livello non sono molte le possibilità.
Scelsi la più difficile, la più complicata.
Salto dopo salto, saltare il più in alto possibile.
E da lassù farmi notare.
Ci riuscii.
E a 15 anni il mio esordio in Nazionale.
Marzo 1958.
Che ci faccio chiuso in cella nel carcere Le Nuove di Torino?
Mi chiamo Aldo Cugini, discendente di una famiglia di imprenditori bergamaschi.
E’ successo tutto sabato 1° marzo, quando sono stato prelevato dalla polizia nella mia casa in Via Foro Boario 11 a Bergamo.
Continuano a ripetermi di stare calmo, di non agitarmi, ma vorrei vedere loro al mio posto.
Devo sposarmi tra un mese, ho un sacco di cose da preparare, tra cui tutti i documenti e poi ci sono gli ultimi acquisti da fare.
Parlano di un omicidio.
Cosa c’entro io con un omicidio?
Ieri, lunedì 17 marzo, sono venuti a trovarmi mio fratello, le mie due sorelle e la mia fidanzata, ma hanno autorizzato solo mio fratello per un incontro.
Che ho fatto di male per essere trattato così?
E’ tutto un equivoco, un errore, io non ho ucciso quell’uomo.
29 dicembre 1973.
Oggi le baby pensioni sono entrate in vigore col decreto DPR 1092.
Il 1973 se ne sta andando e molte cose sono accadute.
Il 14 gennaio il concerto di Elvis Presley, “Aloha from Hawaii” è il primo della storia della Tv ad essere trasmesso nel mondo via satellite
Il 27 gennaio gli accordi di Parigi hanno definitivamente messo la parola fine alla guerra del Vietnam e il 4 aprile a New York è stato inaugurato e aperto al pubblico il complesso “World Trade Center”, le famose “Torri Gemelle”.
Il 17 dicembre, un gruppo di terroristi ha attaccato un aereo della Pan Am a Fiumicino provocando 30 vittime.
Anno difficile, di forti tensioni sociali e gravi difficoltà economiche.
Una crisi petrolifera obbliga all’austerità e costringe molti di noi a sacrifici.
Ma non tutti
Giugno 1993.
Lui si chiama Paolo Bertozzo, 42 anni, imprenditore agricolo.
Lei Silvia, sbalordita ufficiale di stato civile del comune di Isola della Scala nella bassa veronese.
Ha appena acconsentito a mettere nero su bianco la richiesta di quell’imprenditore.
Quel documento, una volta protocollato, sarebbe finito poi sulla scrivania del sindaco appena eletto.
Ci sarebbero volute settimane o forse mesi per una valutazione da parte del sindaco.
E quel povero bambino, per la legge italiana, non sarebbe esistito.
All’inizio era sembrato uno scherzo.
Il Bertozzo non voleva registrare all’anagrafe quel bambino, nato cinque giorni prima, perché aveva letto che ogni bambino al momento della nascita aveva un debito verso lo Stato di 30 milioni di lire.
L'unica certezza è che non era sua intenzione.
Quella di riprendere i contatti col mondo esterno, intendo.
Ma in quel 5 marzo 1931, verso le quattro del pomeriggio, fu costretta a fare quello che non aveva mai fatto nei 24 anni precedenti.
Aprire la porta e chiamare aiuto.
"Cameriera, vieni qui! Corri! Mia sorella è malata. Chiama subito un dottore. Penso che morirà".
Accorsero in tanti nella sua camera, nella suite 552 dell’Herald Square Hotel.
A cominciare dal direttore.
Poi arrivò il medico del vicino Hotel McAlpin.
E infine il becchino.
Sua sorella, miss Mary E. Mayfield, giaceva sul divano coperta da un lenzuolo.
Ed era ormai morta.
Quello che videro entrando in quella stanza fu qualcosa di sconvolgente.
C’erano pile di giornali ingialliti in ogni angolo.
Scatole vuote di cracker, gomitoli, carta d’imballaggio.