C’è chi descrive la realtà nella sua interezza.
E poi c’è chi fa solo propaganda, che è una descrizione parziale e spesso falsa della stessa realtà.
La propaganda mira a influenzare le opinioni e il comportamento altrui, a vantaggio di qualcuno, per determinati obiettivi.
Quante tecniche esistono per creare falsi messaggi, per fare della propaganda credibile?
A decine.
Si va dalla "conventio ad tacendum", dove si scelgono le notizie da dare e quelle da nascondere, al “ricorso alla paura” per creare qualche ipotetico nemico.
Del “ricorso alla paura” fu maestro Goebbels, che riuscì a convincere milioni di tedeschi che qualcuno voleva la loro morte.
(si servì delle idee e dei libri di Theodore N. Kaufman, uomo d'affari e scrittore ebreo americano)
Poi c’è la tecnica del “capro espiatorio” cui addossare ogni colpa.
E l’effetto gregge, tipo “tutto il popolo è con noi, unisciti!”.
Poi la tecnica delle "banalità scintillanti”, propaganda dove devi inserire parole come amore, patria, casa, famiglia, libertà, gloria e onore
Poi c'è la “testimonianza”.
Tipo“abbiamo ragione perché lo dice un Premio Nobel”.
E la “generalizzazione, ma dipende”.
Un tipo X commette un reato, tutti i tipi X sono delinquenti. Un tipo Y commette un reato, andiamoci piano, non generalizziamo, la responsabilità è personale”
E molte altre tecniche.
Esiste tutta una letteratura su come acquisire e mantenere il potere creando e manipolando la realtà. Però a volte ci vuole qualcosa di speciale.
Qualcosa di molto speciale.
Come seppe fare la propaganda nazista nel 1944.
Alla fine del 1943 cominciò a girare la voce che i campi di concentramento non fossero esattamente degli ostelli, per gli ospiti.
La Croce Rossa Internazionale volle quindi conoscere le condizioni di reclusione dei prigionieri ebrei.
La pressione su Belino era asfissiante.
Nel 1944 Himmler decise che l’unico modo per zittire le voci era quello di far visitare un campo, così da convincere il mondo che gli ebrei venivano trattati umanamente.
Venne scelto il campo di Theresienstadt, noto come il ghetto di Terezín.
Il ghetto era stato creato nel 1941 in una fortezza del XVIII secolo.
Nel ghetto erano stati deportati gli ebrei anziani e alcune categorie sociali: intellettuali, scultori, attori, musicisti e compositori di fama internazionale.
Ecco perché fu scelto quel luogo.
Prima della visita della Croce Rossa cominciarono i lavori.
C’era da risolvere il problema del sovraffollamento.
7.503 persone vennero spedite a Birkenau.
E poi via ad attività culturali e sportive.
Edifici ridipinti, un teatro, un palco per l’orchestra e sistemi igienici.
E poi negozi, scuole e vie dai nomi fantasiosi.
Per ogni "camera" non più di tre occupanti.
Gli ospiti della Croce Rossa potranno persino apprezzare l'esecuzione dell'opera musicale Brundibar, scritta dal deportato Hans Krása, eseguita dai bambini del campo.
#MdT 23/06/1944 - La delegazione della Croce Rossa Internazionale guidata da Maurice Rossel giunge in visita a Terezín.
I bambini giocano. Uomini e donne lavorano.
Felici e sorridenti.
Liberi di sviluppare la loro arte, dalla musica alla pittura.
(nella foto Russel nel campo)
La delegazione si fermò a Terezin una giornata e, come raccontò Maurice Rossel, scattò molte fotografie. Rossel, in un rapporto, scrisse di essersi stupito d’aver trovato una città che viveva una vita normale.
Gli abitanti del ghetto non venivano trasferiti poi in altri campi.
Già.
Alla delegazione era stato concesso di guardare ovunque,
Di scattare foto, aprire ogni porta e soddisfare ogni curiosità.
Erano stati ingannati. Ma non era finita.
Perchè ”l’inganno del ghetto di Terezin” non era ancora concluso.
Nel giugno del 1944, la delegazione della Croce Rossa Internazionale era stata ingannata durante la vista al ghetto di Terezin.
Fu talmente un successo che la propaganda nazista pensò bene di ripetere le stesse scene.
In questo caso per un film.
Un film. Come se fosse facile.
Prima di tutto serve un regista. E pure bravo.
Guarda caso nel ghetto un regista c’è, arrestato e deportato in quanto ebreo.
Si chiama Kurt Gerron, apparso anche come attore accanto a Marlene Dietrich nel film "L’angelo azzurro".
In cambio della promessa di aver salva la vita, assieme a quella di tutti gli attori, nell’agosto del 1944 Gerron inizia le riprese del film-documentario "Der Führer schenkt den Juden eine Stadt" (Hitler dona una città agli Ebrei).
Completato nel dicembre 1944 e montato nel 1945
A Terezin durante le riprese c'erano 60.000 detenuti. Parecchie centinaia furono gli attori e i musicisti impiegati.
Migliaia furono invece le comparse utilizzate.
Per orchestra e cabaret, camere fiorite, laboratori, biblioteca, posta, banca, piscina.
1600 i bambini utilizzati
Una volta montato, il film fu fatto vedere alla Croce Rossa Internazionale.
Com un commento.
"Mentre a Terezin gli ebrei danzano e bevono caffè, i nostro soldati sopportano il peso di una guerra spaventosa, dell'indigenza e dei sacrifici necessari per difendere la patria".
Il film venne proiettato pochissime volte e andò distrutto alla fine della guerra.
Meno di 25 minuti di filmati sono stati successivamente scoperti in vari archivi.
25 minuti che è inutile guardare.
Usati dai negazionisti dell'Olocausto.
Terezin era tutt'altro.
Era un campo di transito, di trasferimento.
Vi vennero deportate 155.000 persone.
Nel gennaio 1942 iniziarono a partire i trasporti destinati prima ai ghetti orientali (Riga, Izbica, Piaski) e subito dopo verso Treblinka ed Auschwitz).
Su un totale di circa 155.000 ebrei passati da Terezin (fino alla sua liberazione avvenuta l'8 maggio 1945), 35.440 perirono nel ghetto e 88.000 furono deportati per essere eliminati.
15.000 erano bambini.
Solo 100-150 di loro tornarono a casa.
Morti nel ghetto di Terezin.
Lei è Esther Adolphine, una delle sorelle di Sigmund Freud.
Lui è Heinrich Rauchinger, pittore polacco, famoso per il ritratto a olio della signora Satory
E ancora.
Friedrich Münzer, noto studioso di storia classica tedesco.
Pavel Haas e Hans Krása compositori cecoslovacco.
E Clementine Plessner un'attrice austriaca.
Ricordate il film di propaganda girato dai nazisti?
Malgrado le promesse il regista Kurt Gerron venne ucciso con la moglie in una camera a gas di Auschwitz.
E nelle camere a gas finirono anche tutti gli attori e le comparse del film.
Compresi tutti i bambini.
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Oggi è il 31 gennaio 1944.
E non ho molto tempo.
Sta per toccare a me, quindi è il caso che mi sbrighi a raccontarvi la mia storia.
Sono nato a Solt, in Ungheria, il 16 aprile 1896.
A 15 anni iniziai a giocare a calcio nei ragazzi del Torekves.
A 17 ero già in prima squadra
Scusate, ma devo andare veloce.
Nella prima guerra mondiale partii volontario nell’esercito austro-ungarico e durante la 4a battaglia dell'Isonzo venni catturato da voi italiani e internato a Trapani.
Finita la guerra, tornai nella mia Ungheria, ricominciando a giocare a calcio
Tornai in Italia nel 1925 ingaggiato dall’Internazionale di Milano.
Giocai poco, troppi infortuni.
Smisi di essere un giocatore e, seppur giovane, l’Internazionale mi promosse allenatore.
Nel 1926-27 un quinto posto.
Ma l’anno successivo, dopo un settimo posto, venni licenziato.
Basta sfogliare l’Annuario Pontificio 2023, che include Papa Francesco, per sapere che ci sono stati 266 regni dei pontefici.
Se non l’avete letto vi confiderò un segreto.
Ci sono stati 266 regni dei pontefici, ma non ci sono stati 266 Papi.
Poffarbacco, e come mai?
Perché nell’elenco io compaio ufficialmente per ben tre volte, tutte riconosciute come valide.
Non solo.
Voi pensate che Benedetto XVI sia stato l’unico Papa a dimettersi.
Invece si dimisero anche Clemente I, Ponziano, Celestino, Gregorio XII e…il sottoscritto.
Non solo.
Lo sapevate che nel 1046, caso unico, quattro Papi occuparono contemporaneamente il trono di San Pietro?
Furono Silvestro III, Gregorio VI , Clemente II e…il sottoscritto.
Dimenticavo.
Sono Papa Benedetto IX, nato Teofilatto.
Come anticipato nel thread di ieri sera, che potete leggere nel link sotto, mi chiamo Michail Illarionovič Goleniščev Kutuzov.
Vi stavo raccontando che mi trovavo col mio esercito nel villaggio di Borodino pronto ad affrontare l’esercito di Napoleone. bit.ly/4j4VsUB
Era un bel colpo d’occhio vedere i miei uomini schierati di fronte all’esercito francese lungo tutte le colline.
Con quei bei cannoni tutti neri.
Il morale alto.
Pronto a difendere la Santa Russia e "le mogli e i figli".
Il primo sparo?
Alle sei di mattina del 7 settembre 1812.
La forza della cavalleria francese era come un bulldozer.
Resistemmo fino all’impossibile.
Non ci voleva proprio il ferimento del principe Ivanovič Bragation che guidava l’ala sinistra, la mia seconda armata.
Un durissimo colpo
(Bragation morirà il 12 settembre)
“La scaltra volpe del Nord” mi definiva.
Che carino.
Mai ricambiato.
Per me lui rimaneva sempre “quel vecchio rapinatore”.
Altri mi definivano un essere pigro, capriccioso e insopportabile.
Ambizioso e donnaiolo.
Non so.
Troppi difetti per un uomo solo.
Io ero molto altro.
Sono nato a San Pietroburgo, capitale dell’Impero russo, nella notte del 16 settembre 1745.
Mia madre era una Beklemishevy, una famiglia nobile.
Morì quando ero ancora piccolo, dopo aver partorito altri due figli.
Mi crebbe nonna.
Mio padre, Ilario Matveevich, aveva servito lo zar Pietro il Grande combattendo contro i turchi.
Fu lui a portarmi a corte per conoscere la zarina Elisabetta.
Con strane abitudini.
Usciva dalla stanza solo la domenica e viveva di notte circondata da poeti, cantanti e amanti.
Ieri Johannes ha dato voce ad Alexander Selkirk, il pirata la cui storia, secondo alcuni, è la stessa raccontata da me nel libro “Robinson Crusoe”.
(Leggete qui )
Non è così.
Per cui ritengo giusto portare alla vostra conoscenza la mia versione. bit.ly/4k5qo81
E’ vero, andai da Alexander per sentire dalla sua voce quella storia che girava ormai da anni.
I suoi quattro anni e quattro mesi passati sull’isola Juan Fernández.
Il mio Robinson è quindi Alexander Selkirk?
Una definizione avventata, e in quanto tale, assolutamente inesatta.
Come avrete capito mi chiamo Daniel Defoe.
E vi farò una confessione.
Dalla vicenda di Alexander, che avevo conosciuto attraverso gli scritti di Rogers e dello Steele, e approfondita durante l’incontro con lo stesso Alexander, ho preso solo lo spunto.
Nulla più.
Fui sicuramente uno dei primi a leggere quel romanzo, uscito esattamente il 25 aprile 1719.
E non potei fare a meno di rilevare un sacco di inesattezze.
Per me era chiaro.
Quello che lo aveva scritto non aveva mai vissuto ai tropici.
C’erano un sacco di errori e imprecisioni.
Come quel personaggio inseguito dai selvaggi che non sapeva nuotare.
Assurdo.
E cosa dire del protagonista che, in un’isola del Sudamerica, si era messo a costruire una palizzata per proteggersi dalle bestie feroci?
Altra assurdità.
E poi foche, pinguini, alle foci dell’Orinoco.
A quei tempi ero sottotenente sulla nave Weymouth della marina di S.M. britannica.
Non mi intendevo di cose letterarie, avevo letto si e no la Bibbia, ma in quel caso avevo diritto più di chiunque altro di esprimere la mia opinione.
Perché il protagonista di quel libro, ero io.