Eccellente, compagno Romani, soprattutto l'eco di un italiano meraviglioso vergato fino a giorni nient'affatto remoti.

Rigettiamo però -con forza- il tema del mito, parte di una tradizione irrazionalista che riteniamo rigettata dagli italiani che hanno costituito la Repubblica.
Senza nulla togliere alle necessità pratiche di comunicare i principi della democrazia e del patriottismo costituzionale, con tutta l'arte necessaria per raggiungere i cuori delle persone per mezzo anche di archetipi ed emozioni, crediamo nell'intelligenza dei nostri connazionali
e nel loro sopito eroismo, scientemente narcotizzato.

Crediamo che non esista alcuna separazione tra cuore e ragione, ma che siano semplicemente le due forme che lo spirito dell'uomo, l'anima, possa significare il mondo della vita, apprendere il proprio tempo col pensiero e,
sicuramente, ricercare ciò che è, ed è eternamente.

Questia diabolica scissione tra logos e pathos è frutto di una modernità alienata e feticista: le passioni vengono ridotte a istinti animaleschi, la ragione a puro calcolo, ad algoritmo.

Eppure nella misura dei nostri padri
antichi il calcolo numerico lasciava spazio alla virtù di una società armonica. Virtù che sono fondate sul dominio secondo ragione dei sentimenti.

Cosa è il coraggio se non il dominio della paura?

Cosa è la temperanza, ovvero la misura, se non il dominio delle passioni?
O degli impulsi veri e propri?

Cosa è l'ira buona, detta mansuetudine?

Cosa è la giustizia?

Sono tutti sentimenti agiti secondo ragione.

Ovvero passioni, emozioni e pensiero sono conformi al loro concetto solo se presi nella loro interezza: questa è la coscienza umana.
Questo è lo spirito che crea e socializza significati, e che disvela il senso ultimo.

Crediamo che raggiungere il cuore ingannando la ragione svilisca lo spirito dell'uomo.

Crediamo nell'uguaglianza sostanziale delle persone umane, e nell'unità dello spirito dell'uomo,
nonostante e grazie alla diverse forme che determinano quel fluire significante che chiamiamo Storia.

Mai come oggi risulta tanto importante colmare questo clivage tra ragione e sentimenti, che, a nostra opinione, portano due ideologie e atteggiamenti mortiferi gemelli:
l'irrazionalismo e lo scientismo positivista, entrambi volti all'oppressione, perché in sé alienazione prodotta dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e, oggi più evidente che mai, dello sfruttamento di ciò che non è umano su ciò che è umano.

E senza voler ricostruire
con coerenza i fatti che ci affliggono, e apprendere la totalità della modernità con la nostra ragione, tramite la tradizione di pensiero hegelo-marxiana ottocentesca, ed husserliana novecentesca, osserviamo pragmaticamente che il monopolio delle rimozioni e degli archetipi ce
li hanno i media di massa e l'industria dell'intrattenimento, ovvero il capitale. Ovvero i nostri oppressori.

Nella società dello spettacolo solo la ragione e l'anonimato possono, se non salvarci, almeno farci resistere.

Certo è che capire, prima ancora che spiegare, è un fatto
morale. In primis un fatto di umiltà.

Non si può trovare un'unità non dialettica, e non ci può essere dialettica senza ragione.

Le passioni passano, i buoni pensieri no; più sono rigorosi secondo virtù, più sono longevi.

Noi diciamo che educare la ragione è un fatto morale.
Ovvero una prassi virtuosa.

Tutto è fondato sui sentimenti, ma è la ragione che li pone in atto tramite la prassi.

E chi sa quanto illogico sia il nichilismo, ha fiducia nella ragione e nei compagni.

Mucho texto perché meme e marketing emozionale sono il coltello con la parte
del manico in pugno ai nostri carnefici.

Perché scrivere è pensare e dominare, ovvero rendere intelligenti, le proprie emozioni.

Magari vergando carta con una stilografica.
*emozioni
*con cui

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nella gestione mafiosa e privatistica del tempio, grande collettore di ricchezze), ed appunto per questo si
trovò facilmente un accordo fra l'occupante militare romano (Ponzio Pilato) e il capomafia ebraico locale (Caifa) per farlo fuori crocifiggendolo con la falsa accusa
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