Quando i duchi di Windsor gli fecero visita, nel 1937, lui li accolse vestito di un chimono blu, pantofole guarnite di pietre preziose, una cintura con un pugnale d’oro e anelli su tutte le dita delle mani.
Non fu l’unica stravaganza a dire il vero.
Dopo pranzò li invitò a giocare col suo meraviglioso trenino, quello che aveva nell’attico, in una sala lunga venticinque metri.
Non fu tanto il trenino a colpirli, ma l’aereo che sganciava bombe di legno sullo stesso trenino, che lui manovrava comodamente seduto in poltrona.
Era stato nel 1922 che aveva incontrato l'uomo esile.
Gli aveva offerto i propri servigi, e a quell’uomo non era parso vero di avere a fianco uno decorato con la medaglia “Pour le Mérite”, assegnata a chi aveva abbattuto almeno venticinque aerei nemici nella prima guerra mondiale
Dopo la guerra quella serie di eventi.
La Germania in ginocchio, la fuga del Kaiser, la Repubblica di Weimar e il trattato di pace di Versailles.
E poi a Monaco quell'incontro con quell'uomo esile vestito con un impermeabile sporco.
Di nome fa Adolf Hitler.
Diventa capo delle SA e nel 1923 il fallito Putsch di Monaco. Ferito, la fuga in Austria e poi di nuovo in Svezia, con un mandato di cattura alle spalle. Intossicato dalla morfina è diventato violento.
La diagnosi della clinica psichiatrica dove viene ricoverato è spietata.
“Paziente isterico e brutale. Carattere debole, con istinti suicidi. Egocentrico e antisemita”.
L’uso di droga lo ha trasformato nel fisico.
Pallido e grasso.
Mastica decine, che poi diventeranno centinaia, di pastiglie di paracodeina, un derivato della morfina, più blando.
E' poi in Italia, dove cerca di incontrare Mussolini, tra Roma, Venezia, Siena e Firenze.
Con la moglie Carin, che ha sposato dopo averla convinta a divorziare dal marito, il barone Nils von Kantzow.
IL ritorno in Germania nel 1927.
Grazie ad un'amnistia.
Lui e la moglie Carin non hanno un soldo.
Lei soffre di tubercolosi ed epilessia, lui intossicato dalla morfina che i medici hanno dovuto prescrivergli per lenire il dolore delle ferite riportate in guerra.
La morte della moglie Carin nel 1931.
Lui si getta nella battaglia politica.
Presidente del Reichstag, poco dopo offre a Hitler l’occasione di promulgare leggi speciali dopo l’incendio del Reichstag.
Il nazismo è all’apice e bisogna stroncare sul nascere ogni opposizione.
E’ lui a creare la Gestapo e a far costruire i campi di concentramento. Ora è al massimo della carriera.
Il suo unico fine raggiunto.
Quello di sedersi su una poltrona importante, intendo.
Si risposa.
Con l’attrice Emmy Sonnemann, che nel frattempo ha divorziato dal marito.
La villa che si sono fatto costruire è qualcosa di principesco.
Si chiama Carinhall, in onore della prima moglie.
Uno stemma di famiglia, inventato, che rappresenta un guerriero con in mano una mazza.
Una palestra dove si allena a sparare.
E l’attico. Dove gioca col trenino.
Le leggi di Norimberga in pratica sono opera sua, la stessa Luftwaffe è opera sua.
Con lo scoppio della guerra Hitler lo nomina Maresciallo del Reich, dittatore assoluto dell’economia tedesca. Non solo.
Hitler lo proclama suo successore.
Ma è l’inizio del declino.
Quando la “sua” Luftwaffe passa di sconfitta in sconfitta. Come nel 1940 a Dunkerque, dove non riesce a distruggere il corpo di spedizione inglese.
O quando non riesce a rifornire le truppe di Paulus accerchiate a Stalingrado.
E poi nel 1943 quello che non t’aspetti.
Gli inglesi cominciano a bombardare le città tedesche. In pieno giorno. Senza incontrare reazione.
“Nessun aereo riuscirà a sorvolare il territorio tedesco”, aveva sempre ripetuto.
Per quello, durante i bombardamenti, lui se ne andava a caccia.
Aveva ripetuto fin dal 1939 che nessun bombardiere inglese sarebbe giunto a bombardare in pieno giorno una città tedesca.
“Se ciò dovesse accadere chiamatemi pure Meyer (il nome più comune in Germania in quel periodo).
Dal 1943 tutti lo chiameranno semplicemente Meyer.
La Luftwaffe? L’armata Meyer arriverà a chiamarla Hitler.
"Herr Meyer!", lo chiama la gente quando lo incontra.
Il 6 giugno del 1944 ormai la Luftwaffe dispone di soli 88 aerei da caccia.
Troppo pochi per impedire lo sbarco in Normandia.
Lui non trova di meglio che scappare.
Con Hitler nel bunker cerca di ottenere il comando supremo. Ma Hitler lo blocca.
Anzi, gli toglie tutte le cariche e ordina di arrestarlo. Per alto tradimento.
Nel testamento scrive “Göring venga espulso dal partito e privato di tutte le sue cariche".
Vista la mala parata scrive al comandante della 36esima Divisione americana, Generale Stack.
Vuole arrendersi, ma non si presenta.
Viene arrestato in un ingorgo stradale a bordo della sua Mercedes corazzata.
Stack lo tratta con riguardo.
Ma Stack commette un errore. Si fa fotografare con Göring mentre fa un brindisi con la bandiera texana. Eisenhower gli telefona adirato comunicandogli che non avrà mai una promozione. Göring ha 53 anni, pesa 160 chili, tanto che il cuore lo costringe, a volte, a sedersi di colpo.
Dimagrisce, perché nel carcere gli viene imposta una dieta forzata. Mangia, come tutti i nazisti arrestati, esattamente la quantità media che sta mangiando la popolazione tedesca.
L’ultima tappa?
La prigione numero 5 a Norimberga.
Ci arriva accompagnato dal suo solito bagaglio.
Bauli colmi di camicie di seta, vestiti da sciatore, alpinista, cacciatore e trecento fazzoletti.
Tutte le sue uniformi disegnate da lui, comprese le medaglie inventate, le mostrine inventate, i gradi inventati.
E una lunga serie di camicie da notte con maniche a sbuffo.
E poi gli orologi d’oro, le matite d’oro, portasigarette d’oro, più i suoi gioielli da cui non si separa mai.
Un diamante, un rubino e uno smeraldo.
In più una grossa valigia piena di creme e ciprie. “Perché sono l’uomo più bello di tutta la Germania” confiderà allo psicologo.
Il 20 novembre 1945 inizia il processo.
Lui si agita, commenta, passa biglietti al suo avvocato. Siede nella prima fila.
Proiettano il film sull’orrore dei campi. Alla fine gli accusati sono distrutti. Lui ride. “Peccato, ci stavamo divertendo e questo film ha rovinato tutto”.
La sentenza il 1º ottobre 1946.
Riconosciuto colpevole di tutte crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Condannato all’impiccagione.
Ancora oggi nessuno sa esattamente come abbia potuto procurarsi una fiala di cianuro.
Ma credo non abbia nessuna importanza.
Göring si tolse la vita il 15 ottobre 1946, poche ore prima dell’impiccagione.
Lui, che ripeteva "tra trent'anni ci saranno statue di me in tutta la Germania".
Lui, che si vestiva con chimono blu e pantofole guarnite con pietre preziose.
Lui, che amava giocare con il trenino.
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Giorni fa vi ho raccontato di Heinrich Himmler, l’uomo che si vestiva da sultano turco e che amava i bordelli e le osterie (qui bit.ly/3G7o2C4). Milioni le vittime di quell’orrore, ma di alcune di loro si parla poco, anzi pochissimo. Parlo dei figli dei gerarchi nazisti.
Nati tra il 1927 e il 1944 hanno saputo dell’orrore solo dopo la guerra e malgrado l’orribile realtà, hanno avuto reazioni diverse.
Crescendo qualcuno ha rinnegato tutto, altri praticamente niente, altri si sono chiusi in un devastane mutismo derivato dai sensi di colpa.
Lei, Gudrun, figlia unica di Marga e Heinrich Himmler, ha sempre fatto parte del partito dei nostalgici.
Fino alla sua morte.
Passando tutta la sua vita a difendere suo padre, malgrado fosse stato il principale organizzatore di quell’orrore.
"Le colpe dei padri ricadono sui figli" recita l’Antico Testamento. Ma dai, non è possibile.
Passi per "l'albero si riconosce dai frutti" del Vangelo. Ma perché le colpe dovrebbero ricadere su altri. Perché?
Eppure dovrei sapere la risposta, perché a me andò proprio così.
Tutto cominciò nell’aprile del 1938 a Vienna.
Stavo passeggiando per la città quando vidi alcuni soldati tedeschi che si stavano divertendo, obbligando alcuni ebrei a pulire con delle spazzole il suolo calpestato dai loro sacri "piedi ariani"
Non esitai un attimo.
Presi una spazzola e mi inginocchiai unendomi a loro nell'opera di pulizia.
“Alzati in piedi bastardo, facci vedere i documenti”, mi urlarono.
“Sono amico degli ebrei e quando posso do sempre loro una mano”, dissi porgendo il documento.
Quando ebbe inizio?
Esattamente il 6 gennaio del 1929, nevicava e faceva freddo.
Chi lo conosceva lo definiva “un essere insignificante”, ventinove anni, miope, tale da costringerlo a portale lenti molto spesse.
Proveniva alla classica famiglia borghese di Monaco di Baviera.
Lui ci aveva provato a fare carriera in ambito militare, ma non era andato più in là del grado di allievo ufficiale. Essendo lui e la famiglia in difficoltà economiche aveva deciso di donare le sue braccia all’agricoltura.
Voleva diventare agronomo.
Per questo si era iscritto all’università. Mettendosi subito in mostra. Tranquilli, non come studente.
Tutti lo conoscevano perché alle feste universitarie si presentava sempre vestito da sultano turco.
Teneva un diario dove scriveva il nome delle ragazze che lo respingevano.
So la fatica che hai fatto, Johannes. Poche informazioni, niente biografia, niente ritratto, la mia figura dimenticata, scomparsa nel nulla. E quella data poi.
La mente va sempre alla rivoluzione industriale, o alle prime leghe emiliane. Ma tutto ebbe inizio molto tempo prima.
«Lo so. Qualche secolo prima.
Torniamo al 1333, un anno importante per Firenze.
Con i suoi centomila abitanti festeggiava il compimento di un’opera straordinaria come la cerchia muraria.
Mancava ancora il campanile al nuovo duomo, ma la sua costruzione stava per iniziare».
Dante era morto e Giotto era su con gli anni, ma non erano gli artisti i protagonisti della vita pubblica di Firenze. Erano altri. Il loro motto? “In nome di Dio e di ghuadagno”. Li chiamavano “gli uomini dai piedi polverosi”, perché erano sempre in giro per il mondo: i mercanti.
Da Pelè a Zico, da Ronaldo a Ronaldinho, da Kakà a Neymar. Quando si parla di calcio brasiliano sono questi i nomi più gettonati.
Eppure sono io, nel mondo del calcio brasiliano, il giocatore più conosciuto al mondo.
Il miglior 171 nella storia del calcio.
Non ci credete?
Ho giocato dieci anni tra i dilettanti prima di passare tra i professionisti.
Nel Botafogo, Fluminense, Puebla in Messico, El Paso in Usa, America di Rio, Bangu, Vasco e Ajaccio.
E vi garantisco che ognuna di queste squadre mi pagò regolarmente lo stipendio.
MI chiamo Carlos Henrique Raposo detto il “Kaiser”, perché avevo il fisico di Beckenbauer.
Se giocavo come lui? Insomma, non proprio.
Diciamo che avevo un problema, non so quanto importante per giocare a calcio.
Il pallone.
E’ incredibile come all’interno di ogni storia si intreccino altre storie, altre vite, a volte altre tragedie.
Ricordate?
Siamo partiti dalla storia del calciatore cileno Carlos Caszelye e della partita fantasma disputata a Santiago su ordine di Pinochet.
In quella storia abbiamo accennato agli aerei Hawker Hunter di fabbricazione britannica che l’11 settembre 1973 sganciarono bombe incendiarie sul Palacio de la Moneda dove aveva sede il governo democratico di Salvador Allende.
Dentro quel palazzo non c’era solo Salvador Allende, ma anche la figlia “Tati”.
Da lì abbiamo raccontato la sua odissea, i suoi sforzi, il suo dolore, e il suo suicidio.
Come raccontato, Tati ebbe due figli.
Mayita, Maya Fernandez Allende, ex presidente della Camera dei Deputati