"Le colpe dei padri ricadono sui figli" recita l’Antico Testamento. Ma dai, non è possibile.
Passi per "l'albero si riconosce dai frutti" del Vangelo. Ma perché le colpe dovrebbero ricadere su altri. Perché?
Eppure dovrei sapere la risposta, perché a me andò proprio così.
Tutto cominciò nell’aprile del 1938 a Vienna.
Stavo passeggiando per la città quando vidi alcuni soldati tedeschi che si stavano divertendo, obbligando alcuni ebrei a pulire con delle spazzole il suolo calpestato dai loro sacri "piedi ariani"
Non esitai un attimo.
Presi una spazzola e mi inginocchiai unendomi a loro nell'opera di pulizia.
“Alzati in piedi bastardo, facci vedere i documenti”, mi urlarono.
“Sono amico degli ebrei e quando posso do sempre loro una mano”, dissi porgendo il documento.
Avreste dovuto vedere la faccia di quel tedesco mentre leggeva ad alta voce il mio cognome.
Sbiancò e mi lasciò andare con tante scuse.
Perché nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di mancare di rispetto a lui, a mio fratello.
Uno degli uomini più potenti del Terzo Reich.
E io ne approfittai. Di quella parentela intendo.
Ogni volta, invece di urlare Heil Hitler, urlavo vaffan...
Ma non usai solo le parole.
Sapevo che mio fratello mi voleva bene e salvare ebrei, sotto la sua ala protettrice, divenne lo scopo della mia vita.
Dal 1933 lavoravo negli studi cinematografici di Vienna.
Quando arrestarono il mio capo, Oskar Pilzer, in quanto ebreo, fui io a farlo liberare intervenendo presso mio fratello.
Lui fu primo di una lunga serie.
Feci liberare anche il cancelliere austriaco Kurt Shunguggng.
E poi feci fuggire Franz Lehár, arrestato perché aveva sposato una ebrea. Sì, proprio lui, quello della “Vedova allegra”.
Lo feci fuggire io.
Trasferito poi in Cecoslovacchia, alla Skoda di Praga, feci molto di più.
Mi misi a capo degli operai che sabotavano la produzione di armamenti.
E, sempre grazie a mio fratello, feci liberare Jan Moraveck, il direttore commerciale.
E poi feci fuggire molti ebrei da un campo di concentramento dicendo di volerli impiegare alla Skoda.
Una volta fui pure arrestato su ordine di Himmler perché venuto a sapere della mia attività in aiuto degli ebrei e nella fabbrica.
Mio fratello intervenne e mi fece liberare.
Le cose andarono così fino alla fine della guerra, quando mio fratello fu catturato.
E io con lui, ma solo per il mio cognome.
Sapevo quello che stava per fare quando durante l'ora d'aria mi disse di badare alla sua famiglia.
Io Albert, il suo amato fratello.
Lui Hermann, entrambi Göring.
Mi lasciò solo togliendosi la vita, inghiottendo una capsula di cianuro
Dopo la guerra faticai a trovare lavoro a causa del mio cognome, un marchio d'infamia. Solo lavoretti.
A dire la verità, nel 1955, un lavoro lo avevo pure trovato, in una impresa edile.
Quando vennero a sapere chi ero, i miei colleghi si rifiutarono di lavorare con me.
Andò tutto a rotoli.
Mia moglie se ne andò in Perù con la mia bambina e io rimasi solo. Senza un soldo. Alla deriva.
Mi aiutarono solo alcuni amici.
La mia unica colpa?
Essere Albert, il fratello di Hermann Göring,
Sono morto a Monaco di Baviera nel 1966 e sepolto nella tomba di famiglia.
No, Hermann non è qui con me.
Dopo il suicidio, in quanto criminale di guerra, le sue ceneri sono state gettate in un ruscello fangoso di Monaco.
Avete giustamente riconosciuto molti meriti a Schindler per gli ebrei salvati.
Non pretendo lo stesso riconoscimento, ma io non ero cattivo. Ero solo suo fratello.
Quindi fatemi un favore.
Non ricordatemi solo per essere stato il fratello di un criminale nazista.
Perché se è vero che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, perché deve accadere da fratello a fratello?
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Mi chiamo Fanny Angelina Hesse.
Lo so cosa state pensando in questo momento.
«E questa chi è?».
Un classico
Noi donne tendiamo a essere "invisibili" agli occhi del pubblico, come i microbi, che pur essendo microscopici e spesso ignorati, sono alla base della vita e della biologia
Johannes di storie come la mia ne ha raccontate a centinaia.
Molte di queste raccolte nel libro “Non esistono piccole donne” con prefazione di Gabriella Greison.
Noi donne abbiamo contribuito immensamente ai progressi scientifici, ma spesso senza il riconoscimento dovuto.
Come detto all’inizio, come i microbi che vengono studiati con strumenti sempre più avanzati per capire il loro ruolo cruciale, è importante adottare approcci sistematici e inclusivi per mettere in luce il contributo di noi donne nella scienza.
Non con un microscopio, certo.
“Freedman” chiamavano quelli come me, cioè un ex schiavo nero.
Una volta tornato libero avevo aperto un negozio nella cittadina di Pulaski, una cittadina del Tennessee.
Ricordo che fuori dal negozio avevo appeso un bel cartello con la scritta "equal rights", eguali diritti.
Una sera li vedemmo arrivare.
A cavallo, sei giovani bardati fino ai piedi con l’aria tutt’altro amichevole visto che avevano il volto coperto.
Li affrontai da solo chiudendo dentro casa mia moglie.
“Cosa volete?” gridai loro.
“Un secchio d’acqua” disse uno dei sei.
Glielo porsi e lui iniziò a bere.
Non so come fece a bere tutto il secchio senza prendere fiato.
(In realtà aveva una sacca di gomma nascosta sotto la tunica dove finiva la maggior parte dell’acqua).
È la notte tra il 30 e il 31 gennaio 1968.
La notte del capodanno vietnamita.
Tết Nguyên Ðán, comunemente noto come Tết. Quando i soldati americani erano partiti per il Vietnam era stato detto loro che sarebbe stata una passeggiata.
«Le speranze del nemico sono alla fine»
Questa frase l’aveva pronunciata il generale Westmoreland, comandante supremo del MACV (Military Assistance Command, Vietnam) nel novembre 1967, solo due mesi prima.
Ma stava per accadere qualcosa che muterà il corso del conflitto, e non solo dal punto di vista bellico.
Esattamente alle 3 del mattino del 31 gennaio 1968, l’Intelligence americana subirà il più grande smacco della sua storia.
Senza che gli americani ne avessero avuto il minimo sentore, la minima avvisaglia, quella notte il Vietnam scoppiò sotto i loro piedi.
Che la guerra non sarebbe durata pochi mesi, lo capimmo da subito.
Altro che passeggiata militare.
La fortuna per noi giornalisti è che in Vietnam gli americani ci consentivano totale libertà di movimento.
L’unico obbligo era quello di indossare uniformi americane.
Naturalmente senza simboli.
Per motivi di sicurezza, ci avevano detto.
Dove trovarle nuove di zecca?
Naturalmente al mercato nero, dove potevi comprare di tutto.
Altro che passeggiata militare.
Ricordo che una volta partecipai ad un’operazione di «search and destroy».
L’obiettivo era “cercare e distruggere” un gruppo di una trentina di viet cong nei pressi di un villaggio.
Ma l’amico Egisto Corradi lo aveva scritto con un titolo a sei colonne: «Gli americani in Vietnam combattono come se fossero sordi e ciechi».
In effetti come dargli torto.
Qual è stata, nella storia, la durata media di una guerra?
Una risposta non semplice.
Nel mondo antico e in quello medioevale ci sono state guerre di durata lunghissima.
Nel mondo moderno ci sono state anche guerre lampo, in tedesco Blitzkrieg.
Nel mondo antico sono diverse le guerre di una certa durata.
La Guerra del Peloponneso per esempio.
Venne combattuta in Grecia e nel Mediterraneo tra le due città rivali, Atene e Sparta e i loro alleati.
Durò all'incirca 27 anni, dal 431 a.C. al 404 a.C.
Le Guerre Puniche, che si sono combattute tra Roma e Cartagine per la supremazia del Mediterraneo, sono durate complessivamente circa quarantatré anni.
Ventitré la prima (dal 264 al 241 a.C.), diciassette la seconda (dal 218 al 201 a.C.) e tre la terza (dal 149 al 146 a.C.)
L’epigrafe sulla mia tomba mi definisce “gloria del genere umano”.
Non so.
Avete presente un bambino su una spiaggia che trova, prima una pietra variegata, poi una conchiglia a più colori dinanzi ad un oceano ancora inesplorato?
Ecco, penso di essere stato solo quel bambino.
Su quello che mi accadde nell’estate del 1666, nel giardino della mia casa natale di Woolsthorpe, Voltaire ed Eulero ci hanno ricamato sopra.
Una mela in testa, ma via.
In testa no di sicuro.
E quando mai.
Forse è il caso di raccontarvi un po’ della mia vita.
Dall’inizio.
Sono nato appunto a Woolsthorpe, nella Contea del Lincolnshire, il 25 dicembre del 1642.
Secondo il calendario giuliano.
Dieci giorni dopo, il il 4 gennaio 1643, secondo il calendario gregoriano.
Quello che forse non sapete, è che sono nato povero.
Molto povero.