Non sono mai riuscito a darmi pace per quella frase.
E’ una cosa che ti rimane dentro.
Lo so che stavamo scherzando, lo so, ma non riesco a dimenticarla.
Io gli volevo bene, era stato lui nel 1958 a scegliermi per suonare il basso nel suo gruppo di supporto.
Mi chiamo Waylon Jennings e sono morto nel 2002, dopo una straordinaria carriera musicale.
Con moltissimi premi di musica country vinti.
Per lui invece la carriera finì quel giorno, dopo quella maledetta frase.
Lui si chiamava Charles Hardin Holley, in arte Buddy Holly.
"Egli entrò nella mia vita quando io ne avevo bisogno, ed io entrai nella sua allo stesso modo” racconterà la sua Maria. Con il permesso della zia lui le aveva chiesto di uscire la prima volta nel giugno 1958. Cinque ore dopo, porgendole una rosa, le aveva chiesto di sposarlo.
Meno di due mesi dopo, il 15 agosto del 1958, si erano sposati nella sua città natale, a Lubbock, in Texas.
E poi erano partiti in luna di miele per Acapulco.
Al ritorno avevamo iniziato insieme un tour e Maria era venuta con noi.
Dopo soli sei mesi di matrimonio Buddy venne scelto per esibirsi con altri artisti emergenti al Winter Dance party.
Un grande tour, ogni sera in un posto diverso.
Con lui c'erano anche The Big Bopper, Dion and the Belmonts e il giovanissimo diciassettenne Ritchie Valens.
Come vi ho detto io facevo parte del suo gruppo di supporto. Come bassista.
Per spostarci usavamo un vecchio autobus.
Talmente messo male che Carl “Goose” Bunch, il batterista, aveva avuto un congelamento che lo aveva costretto in ospedale.
La sera del 2 febbraio 1959 ci eravamo esibiti a Clear Lake, nello Iowa. Eravamo stanchi e infreddoliti.
E quel maledetto autobus non va a rompersi proprio quel giorno?
"Affittiamo un piccolo aereo per andare all'esibizione di domani a Fargo" propose Buddy.
Arrivammo cosi all'aeroporto a mezzanotte e quaranta. L’unico pilota disponibile in quel momento era tale Roger Peterson. Aveva poca esperienza di volo, ma il problema non era solo quello. Nevicava. E c'era qualche banco di nebbia.
Se ne aggiunse un altro. Di problema, intendo.
L'aereo aveva posto solo per 3 passeggeri. Uno era Buddy. A Richardson lasciai il mio di posto perché aveva l’influenza. Il terzo, tra Ritchie Valens e il chitarrista Tommy Allsup, se lo giocarono con il lancio di una moneta. Fu Ritchie Valens ad aggiudicarsi il posto sull'aereo.
Accadde prima di salire sull’aereo.
Buddy, sapendo che avrei dovuto prendere un autobus per raggiungerli a Fargo, mi disse: “Secondo me l’autobus si rompe”.
“ Secondo me l’aereo cade”, risposi ridendo.
Una frase orribile. Che mi ha segnato la vita.
Pochi minuti dopo il decollo, l'aereo si schiantò al suolo in un campo di grano.
I corpi di Buddy Holly e Ritchie Valens furono trovati la mattina dopo a pochi metri dall'aereo.
Quelli di Big Bopper e del pilota a 45 metri di distanza.
Quando morì Elvis Presley c'erano decine di migliaia di persone fuori da Graceland.
Quando John Lennon fu ucciso, nel mondo milioni di persone si riunirono per una veglia.
Ma quando l'aereo di Ritchie Valens, Buddy Holly e The Big Bopper cadde in quel campo tra la neve nessuno si mosse.
Nessuno dei tre ebbe una veglia funebre.
Nessuna casa divenne luogo di pellegrinaggio.
Eppure...
Buddy Holly aveva una carriera di un solo anno e mezzo.
Ritchie Valens aveva soltanto 17 anni.
Eppure, il 3 febbraio 1959, è ancora oggi ricordato come "Il giorno in cui è morta la musica" (The Day the Music Died) e anche “The Day Rock Died”.
L'influenza sul rock'n'roll di Buddy Holly, uno dei primi grandi interpreti, è stata enorme.
Aveva solo 22 anni quando è morto.
Resta da chiedersi come avrebbe potuto cambiare la musica nel corso degli anni. bit.ly/3IPwEy6
Ritchie Valens aveva soltanto 17 anni ed era autore di soli sei brani.
Fiero delle sue origini messicane aveva miscelato una tradizionale canzone huapango del Messico orientale con il rock and roll.
Il testo lo aveva fatto scrivere alla zia Ernestine.
#MdT 04/02/1959 - Nel Greenwich Village, Maria sta ascoltando la televisione.
Aspetta un bambino dal suo Buddy. Da quel Buddy che la televisione dice che è morto in un incidente aereo.
Crolla a terra.
Il giorno seguente perderà il loro bambino.
Oggi María Elena Holly, nata Santiago, è una dolce nonna. Si è risposata e ha avuto tre figli.
Divorziata, vive a Dallas, e promuove l'eredità del suo primo marito.
Non era andata al funerale di Buddy quel giorno.
E non ha mai visitato la sua tomba.
ll 7 settembre 2011. giorno del suo settantacinquesimo compleanno, Buddy ha ricevuto una stella postuma nella Hollywood Walk of Fame.
Alla cerimonia erano presenti la vedova Maria Elena Santiago, Phil Everly, Peter Asher, Priscilla Presley.
"Dio onnipotente, per anni ho pensato di averla causata io la sua morte. Per molti anni ho avuto paura che qualcuno scoprisse che avevo detto a Buddy quella frase. In qualche modo mi sono incolpato.
Ad aggravare il tutto c'era il senso di colpa di essere ancora vivo”.
Non avevo dato nessun contribuito al mondo della musica in quel momento rispetto a Buddy.
Perché allora è morto lui e non io?” (Waylon Jennings)
Waylon Jennings è stato un grandissimo.
Ha contribuito a diffondere una musica nota come “musica country fuorilegge”.
E’ suo Il primo disco di platino della musica country. Nel 2001 è stato inserito nella Country Music Hall of Fame, ma lui non è intervenuto all’evento.
Quasi vent'anni dopo la morte di Buddy, Waylon Jennings scrisse una canzone dedicata al suo amico e al tormento emotivo che continuava a provare dopo la sua morte.
Per quella maledetta frase.
"Old Friend", dall’album "Are You Ready For The Country".
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Ieri Johannes ha dato voce ad Alexander Selkirk, il pirata la cui storia, secondo alcuni, è la stessa raccontata da me nel libro “Robinson Crusoe”.
(Leggete qui )
Non è così.
Per cui ritengo giusto portare alla vostra conoscenza la mia versione. bit.ly/4k5qo81
E’ vero, andai da Alexander per sentire dalla sua voce quella storia che girava ormai da anni.
I suoi quattro anni e quattro mesi passati sull’isola Juan Fernández.
Il mio Robinson è quindi Alexander Selkirk?
Una definizione avventata, e in quanto tale, assolutamente inesatta.
Come avrete capito mi chiamo Daniel Defoe.
E vi farò una confessione.
Dalla vicenda di Alexander, che avevo conosciuto attraverso gli scritti di Rogers e dello Steele, e approfondita durante l’incontro con lo stesso Alexander, ho preso solo lo spunto.
Nulla più.
Fui sicuramente uno dei primi a leggere quel romanzo, uscito esattamente il 25 aprile 1719.
E non potei fare a meno di rilevare un sacco di inesattezze.
Per me era chiaro.
Quello che lo aveva scritto non aveva mai vissuto ai tropici.
C’erano un sacco di errori e imprecisioni.
Come quel personaggio inseguito dai selvaggi che non sapeva nuotare.
Assurdo.
E cosa dire del protagonista che, in un’isola del Sudamerica, si era messo a costruire una palizzata per proteggersi dalle bestie feroci?
Altra assurdità.
E poi foche, pinguini, alle foci dell’Orinoco.
A quei tempi ero sottotenente sulla nave Weymouth della marina di S.M. britannica.
Non mi intendevo di cose letterarie, avevo letto si e no la Bibbia, ma in quel caso avevo diritto più di chiunque altro di esprimere la mia opinione.
Perché il protagonista di quel libro, ero io.
E' il 7 luglio 1929.
A Roma, allo Stadio Nazionale del PNF, si assegna il campionato di calcio, ultimo campionato a gironi.
Se lo contendono il Bologna e il Torino. 3-1 all’andata per il Bologna, 1-0 per il Torino al ritorno.
Niente differenza reti all’epoca.
E’ spareggio.
Sinceramente a me interessava poco quella partita.
Non fosse altro per i miei 10 anni.
Con i miei amichetti avevo deciso di andare all’Adda a fare il bagno.
Noi ragazzi poveri di Cassano d’Adda ci divertivamo così, malgrado fossimo a conoscenza della pericolosità del fiume.
Con noi portavamo sempre il “Ciapìn”, ferro di cavallo, un ragazzino di sei anni chiamato così perché portava fortuna.
Avevamo tutti un nomignolo.
Io ero il “Tulèn”, perché prendevo a calci tutto quel che trovavo per strada, pallone di stracci o barattoli di latta.
“Morire sì, tocca a tutti prima o poi.
Ma morire così: schernito, umiliato, con il marchio di criminale e vecchio libidinoso.
Mi avessero detto prima di nascere che sarebbe finita così, avrei senz’altro declinato l’invito: no grazie, avanti un altro. Io aspetto tempi migliori…”
Oggi è il 2 giugno del 1942.
E sono 77.
I giorni passati in cella dopo la condanna, intendo.
E Irene?
Non ho sue notizie dal giorno della sentenza.
Ho saputo che è rinchiusa in un carcere femminile di massima sicurezza, insieme a ladre, assassine, prostitute e comuni criminali.
Chissà se è vero che la testa continua a vivere per qualche tempo, dopo che è stata tagliata dal corpo.
Perché sto per essere ghigliottinato?
Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?
Niente.
Ma è una lunga storia.
Iniziata nel 1932.
Sono arrabbiata, è vero.
Ma non per il pari merito che hanno decretato i giudici. Quella è solo un’ingiustizia.
E’ già successo nella gara precedente, quando i giudici mi hanno fatto perdere alla trave l’ennesima medaglia d’oro.
Troppe le pressioni per favorire le sovietiche.
Sono arrabbiata per ben altro.
Qualcosa di molto più profondo e importante, che tocca profondamente il mio cuore.
Mio e di tutto il mio popolo.
Non ce l’ho con lei, la sovietica Larisa Petrik che è con me sul gradino più alto del podio.
Sarà un piccolo gesto, ma lo devo fare.
Mi chiamo Vera e sono nata a Praga durante la guerra, esattamente il 3 Maggio 1942.
Avevo 14 anni quando mi appassionai alla ginnastica artistica.
A 16 anni avevo già vinto il mio primo argento ai mondiali.
E da quel giorno non mi fermai più, medaglia dopo medaglia.
Tempo fa vi ho raccontato alcuni aspetti della vita nell’antichità.
Dalla scuola alla legge, dalla medicina ai costumi. Questa sera parleremo, sempre riferito all’antichità, di uno dei piaceri della vita, partendo da una scoperta incredibile avvenuta nel 1974.
Le cause sono sconosciute, ma circa 15 secoli fa, incredibile a dirsi, a Roma si ostruì un condotto di scarico.
Non solo.
Successive alluvioni lo riempirono di fango.
Tranquilli, non stiamo parlando di un condotto qualsiasi, ma del collettore di scarico ovest sotto il Colosseo.
Quando nel 1974 la Soprintendenza alle Antichità di Roma incaricò alcuni scienziati di disostruire quel collettore, quello che trovarono in quel condotto fu qualcosa di assolutamente sorprendente
Una scoperta incredibile che oggi ci consente di conoscere meglio gli antichi romani