Lo so, ho letto che qualcuno si diverte a fare una specie di classifica di chi meglio ha rappresentato un’arte come la pittura. Da Leonardo da Vinci a Michelangelo Buonarroti, da Vincent Van Gogh a Pablo Picasso.
E poi ancora. Rembrandt, Monet, Dalì, Cezanne, Goya e Renoir.
Strano, nessuna donna.
E se vi chiedessi di elencare delle donne italiane che hanno lasciato un segno indelebile come pittrici? Tranquilli. Le pittrici non abbondano nemmeno nei libri di storia dell’arte.
Tempo fa Johannes vi ha raccontato di Artemisia Gentileschi. Una grande.
Ma prima di lei c’è stata una donna che è riuscita a fare la stessa carriera in quel mondo esclusivamente maschile. Di più.
Una donna che è riuscita a coniugare la sua carriera di artista con il suo ruolo di donna e madre.
Il suo nome? Lavinia Fontana.
Che poi sarei io.
Sono nata a Bologna il 24 agosto del 1552.
Come mi sono avvicinata alla pittura?
Non fu difficile visto che papà Prospero, famoso e affermato pittore della scuola bolognese, aveva una bottega dove collaborava con vari artisti come il Vasari.
Fui fortunata. Perché le donne non potevano frequentare Accademie e botteghe.
Non potevano studiare la matematica e la prospettiva ed era categoricamente vietato lo studio del nudo.
Con papà Prospero andò diversamente. Fortunatamente.
Crebbi infatti nella bottega imparando tutte le tecniche ed entrando in contatto con molti artisti dell’epoca.
Amavo i quadri di Sofonisba Anguissola, maestra del ritratto.
Altra grande pittrice dimenticata.
Mi sposai che avevo 25 anni.
Lui era Gian Paolo Zappi, un mediocre pittore che frequentava la bottega di papà.
E visto che andava di moda redigere contratti di matrimonio misi subito le cose in chiaro.
Anzi, misi tutto nero su bianco.
Primo.
Io mi sarei occupata solo di dipingere. Una clausola fondamentale.
Secondo. Lui si sarebbe occupato della casa e dei vestiti delle modelle.
Terzo. Lui si sarebbe occupato dei nostri figli.
Essendo il matrimonio il suo principale sostentamento accettò senza discutere.
Non so quanti di voi mi conoscono, ma ero brava.
I miei quadri ricchi di particolari. Talmente brava da essere chiamata da Papa Gregorio XIII a Roma per lavorare da lui.
“La Pontificia pittrice” e tutti facevano a gara per avere i miei ritratti. Persino Re Filippo II di Spagna.
Tra una gravidanza e l’altra riuscii ad aprire una bottega tutta mia.
E dipingere numerosissimi ritratti di nobildonne, diplomatici e personalità d'ogni sorta, un centinaio di pale d'altare e diverse sculture con cavalli.
Tra una gravidanza e l’altra.
Esattamente undici.
Negli ultimi anni della sua vita Lavinia Fontana fu colta da una crisi mistica.
Nel 1613 si ritirò in un monastero assieme al marito.
Morì a Roma l’11 agosto del 1614.
È sepolta a Santa Maria sopra Minerva.
Lavinia Fontana fu una grande pittrice, la prima che riuscì ad infrangere la regola che impediva alle donne di dipingere nudi.
Ne dipinse di bellissimi.
Come il quadro “Minerva nell’atto di abbigliarsi”.
Chiamata spesso anche a dipingere bambini. Come Antonietta Gonsalvus, figlia di Petrus Gonsalvus, affetta da ipertricosi, come suo padre e tre dei suoi cinque fratelli.
Alcuni studiosi pensano che la storia de “La Bella e la Bestia“ abbia preso spunto proprio da Petrus Gonsalvus
Lavinia Fontana, con coraggio e passione, sfidò consuetudini, pregiudizi e diffidenza in un mondo come quello dell’arte riservato ai soli uomini.
La cosa che maggiormente la faceva imbestialire?
Quando di lei dicevano: “dipinge e scolpisce come un uomo”.
Già.
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Caro Johannes, ieri hai raccontato la storia del motore a combustione interna e diesel.
Naturalmente hai raccontato solo una parte della storia dell’auto.
Lo so, X non è il luogo ideale per raccontare tutto, ma è necessario porvi rimedio.
Ci penso io, con la Macchina del Tempo.
26 aprile 1899. Oggi ho compiuto un’impresa straordinaria.
Sulla strada centrale del parco agricolo di Achères ho raggiunto per la prima volta i 105,88 Km/h con un’auto costruita interamente dal sottoscritto.
Ma che auto a combustione interna!
Un’auto elettrica naturalmente.
Mi chiamo Camille Jenatzy, ingegnere e pilota automobilistico belga.
Avendo la barba rossa in Inghilterra sono chiamato Red Devil (Diavolo rosso).
Mi ero trasferito a Parigi e avevo iniziato a costruire carrozze elettriche.
Ma avevo bisogno di un po’ di notorietà.
Molte le invenzioni che hanno cambiato il mondo.
La stampa per esempio, o la macchina in grado di sfruttare la pressione del vapore per generare movimento di componenti meccaniche.
La lampadina, il telefono, l’aeroplano e i vaccini.
E molte altre.
Tra queste una in particolare.
L’invenzione più fragorosa che ha cambiato il mondo.
Incredibile a dirsi, nata nel silenzio di un convento.
Un’invenzione che ebbe due padri.
Uno di questi era uno scolopio, un religioso dell’ordine dei chierici regolari della Madre di Dio delle Scuole pie.
Il suo nome?
Padre Eugenio Barsanti di Pietrasanta, professore di fisica, matematica, filosofia presso il Collegio San Giovannino di Firenze.
L’altro era Felice Matteucci, un tecnico idraulico che aiutava il religioso nello stesso convento a preparare le sue esperienze di fisica.
Nel 1966 uscì in Italia la rivista musicale “Giovani”.
La ricordo bene.
E, ne sono certo, la ricordano con nostalgia i miei coetanei.
Una rivista impegnata nel divulgare la musica.
Non solo una rivista di musica, ma una rivista interattiva.
I giovani scrivevano lettere che venivano pubblicate.
Una fonte per sentire il la critica dei giovani verso gli adulti e la società.
Si parlava di "riforma della scuola superiore e dei suoi programmi antiquati.
Della settimana scolastica corta con sabato libero; dell’obiezione di coscienza; del matrimonio, e della richiesta di abbassare la maggiore età ai 18 anni.
Nel maggio del 1966 il club giovani legato alla rivista dichiarava già diecimila tesserati; un anno dopo erano ventimila.
«Bentornato Licurgo.
Due giorni fa abbiamo parlato degli spartiati, la casta militare.
“Torna con lo scudo o sullo scudo”.
Era il saluto delle madri spartane quando un figlio partiva per andare a combattere.
Morire in battaglia, l’onore più grande»
I 300 di Leonida alle Termopili sono l’esempio più alto.
Abbiamo parlato degli spartiati, circa 10.000 e degli iloti circa 100.000.
Esisteva una terza classe sociale.
“Il ceto medio”. I Perieci.
50/60.000 uomini liberi che non potevano però partecipare alla vita politica.
«Senza poter votare, dovevano solo servire gli spartiati nel prepararsi alla guerra.
Potevano guadagnare, quello sì.
Erano commercianti, artigiani, fabbricanti di armi.
Il vero motore di Sparta.
Che permetteva agli spartiati di concentrarsi sulla guerra, senza lavorare»
“Brodo nero”.
Sorrido pensando che vuoi raccontare la mia storia iniziando da un intingolo.
Precisamente da una carne di cinghiale cotta nel suo sangue con l’aggiunta di sale e aceto.
Posso dire che sei strano forte?
Chi racconterebbe la storia di Sparta iniziando da un piatto.
«Caro Licurgo, non era un semplice piatto, dai.
Era la pietanza più apprezzata a Sparta.
Tanto che un re del Ponto fece venire alla sua reggia un cuoco spartano affinché cucinasse quella prelibatezza.
Pensava fosse una leccornia.
Invece.
Che hai da ridere?»
Te lo immagini un re del Ponto che inizia a sputare quella roba nel piatto?
In realtà, e il cuoco lo aveva detto chiaramente al re, per apprezzare quel piatto dovevi essere stato bagnato nell’Eurota, il fiume che attraversava Sparta.
Essere un vero spartano quindi.
Lo aveva ispirato il Presidente John Fitzgerald Kennedy e per lui, James Howard Meredith, era stata una sfida.
Dopo aver frequentato due anni la Jackson State University, con ottimi voti, aveva deciso di iscriversi in una università statale per soli bianchi.
Lui, un nero.
Malgrado la sentenza "Brown v. Board of Education" del 1954, dove la Corte Suprema aveva stabilito che la segregazione era incostituzionale nelle scuole pubbliche mantenute da tutti i contribuenti, quella Università continuava, nel 1962, ad accettare solo studenti bianchi.
Malgrado l’opposizione dell Governatore dello Stato, che aveva provocato scontri con morti e feriti, la mattina del 1º ottobre 1962, scortato da avvocato e sceriffo, Meredith si immatricolò all'Università statale,.
Primo studente afroamericano della sua storia