Sta facendo notizia un articolo pubblicato su Lancet Infectious Diseases il quale dimostrerebbe la possibilità di ridurre del 90% le ospedalizzazioni da Covid usando semplici antinfiammatori tipo il #Brufen (FANS)
Ma è davvero così?
Non proprio, vediamo meglio perché
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Prima cosa importante: questo articolo non è uno studio clinico, ma un riassunto di altri studi e che quindi elenca ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo.
Quindi non è uno studio che permette di confermare o smentire l’efficacia di una terapia.
Ma veniamo al contenuto.
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L’idea di base è che l’infezione da SarsCov2 causa una forte infiammazione che può degenerare e dare sintomi gravi. Quindi, spegnere l’infiammazione con antinfiammatori in fase precoce potrebbe evitare l’aggravarsi dei sintomi.
Per avere dati certi servirebbero i cosiddetti trial clinici randomizzati in doppio cieco. Purtroppo, la maggior parte degli studi riassunti in questo articolo non lo sono e non sono quindi conclusivi.
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Inoltre, si tratta spesso di studi con campioni piccoli, oppure con pazienti con caratteristiche molto specifiche e che quindi non rappresentano la popolazione generale. A volte sono pazienti con sintomi lievi (quindi a basso rischio), altre volte già ospedalizzati.
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Siccome l’idea è trovare terapie da usare a casa per evitare l’ospedalizzazione, se si testano pazienti a basso rischio sarà difficile vedere un effetto. Se invece sono già in ospedale, non rispecchiano la condizione delle persone che si vorrebbero trattare.
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A questo va aggiunto proprio il fatto che gli studi riassunti nell’articolo non sono costruiti per valutare l’efficacia di una terapia, e che quindi possono essere utili solo per generare ipotesi da testare poi in maniera più rigorosa.
Quindi cosa ci dice questo articolo?
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1. NON dice che gli antinfiammatori riducono le ospedalizzazioni da Covid del 90% 2. Antinfiammatori possono aiutare nelle prime fasi della malattia 3. Trial clinici rigorosi sono necessari per quantificare l’efficacia di questi farmaci nell’evitare sintomi gravi e ricoveri
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Questo thread è stato scritto a 4 mani con @marco_heffler
Non esistono dubbi: l’esposizione solare senza protezione causa il cancro della pelle. Le prove arrivano da studi epidemiologici su larga scala e da meccanismi molecolari ben documentati.
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Da tempo la comunità scientifica ha stabilito un nesso causale tra esposizione ai raggi ultravioletti (UV) e sviluppo di tumori cutanei. Non si tratta solo di associazioni statistiche: l’evidenza è ampia, solida e coerente.
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Gli studi epidemiologici mostrano che chi vive in aree geografiche con alta intensità solare ha un rischio maggiore di melanoma e di carcinomi cutanei non-melanoma. Il rischio aumenta anche in chi ha avuto frequenti scottature solari, soprattutto in età giovanile.
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Hanno sconfitto il vaiolo, tenuto a bada poliomielite e morbillo — e oggi si candidano a cambiare l’oncologia.
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Un’ampia rassegna, «Cancer vaccines and the future of immunotherapy» di Orrin Pail et al. (Mount Sinai), fotografa i progressi più promettenti.
• Vaccini profilattici
– HPV e HBV hanno già ridotto l’incidenza di tumori cervicali e epatocellulari.
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• Vaccini terapeutici
– Adjuvant: nei trial su melanoma e pancreas diminuiscono malattia minima residua e recidive.
– In-situ: in stadio avanzato di polmone, mammella e linfomi innescano regressioni sistemiche.
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Il vapore acqueo che esce dai motori degli aerei congela ad alta quota formando scie di condensazione.
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Analisi spettrometriche riportate dal ministero dell’ambiente inglese non rivelano bario, alluminio o altri additivi segreti. Durata e intreccio delle scie dipendono solo da umidità, temperatura e rotte di volo.
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Tre falsi miti da archiviare
“Restano a lungo, quindi contengono sostanze chimiche pesanti”
La persistenza è legata all’umidità: in aria satura d’acqua, i cristalli di ghiaccio si sublimano lentamente.
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Lo studio retrospettivo su 1,8 milioni di adulti del Clinical Practice Research Datalink (Iwagami M. et al., Lancet Healthy Longevity, 2021) certifica che ogni aumento di 39 mg/dL di LDL in età <65 anni innalza il rischio di demenza del 17 % dopo almeno dieci anni.
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Il colesterolo “cattivo” si conferma fattore di rischio modificabile, al pari di ipertensione e obesità.
– La finestra critica è la mezza età: intervenire prima dei 65 anni evita danni irreversibili al cervello.
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-Più è alto l’LDL, più salgono le probabilità di Alzheimer e altre forme di demenza. – Assenza di beneficio nelle HDL e nei trigliceridi: il bersaglio da colpire resta l’LDL.
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Bere acqua e limone al mattino non “alcalinizza” l’organismo, né depura il sangue. Il nostro pH ematico resta rigorosamente stabile tra 7,35 e 7,45 grazie a sistemi tampone, polmoni e reni: nessuna bevanda può spostarlo in modo significativo.
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Il succo di limone, anzi, è acido (pH ≈ 2) e viene neutralizzato già nello stomaco; ciò che arriva nel sangue è chimicamente irrilevante per l’equilibrio acido-base.
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Acqua e limone resta una bevanda gradevole, fornisce un po’ di vitamina C e può incentivare l’idratazione, ma non brucia grassi, non detoxifica e non cura l’acidosi (patologia che richiede trattamento medico, non rimedi fai-da-te).
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