Il cul-de-sac in cui è finito il Regno Unito, e la trasformazione della sterlina in una valuta da paese emergente, sancisce il fallimento del cosiddetto modello neoliberale basato sulla delocalizzazione produttiva/1
C’è da dire che per decenni il modello ha funzionato: da Volcker in avanti i rendimenti obbligazionari hanno mantenuto un trend discendente grazie alle pressioni deflazionistiche e alla stabilità geopolitica mondiale…/2
…permettendo alle banche centrali di allentare la politica monetaria al primo segnale di crisi e dando il via a nuovi massimi in Borsa. Tuttavia, tale modello ha poi la cattiva abitudine di collassare ogni qualvolta soffiano venti di guerra/3
Lo abbiamo visto nel 1910, 1920, 1930 e lo vediamo ora oggi. Il #decoupling in corso dalla Russia accompagnato alle folli politiche climatiche e ai maxi incentivi fiscali durante la pandemia hanno dato il via alla crisi energetica che ha mutato in maniera irreversibile…/4
… i fondamentali dei paesi sviluppati le cui élite si trovano oggi totalmente impreparate ad affrontarla. Il caso britannico è esemplare. A causa dell’energy crunch, Londra vara un maxi stimolo fiscale privo però di adeguati piani di razionamenti/5
Risultato: la sterlina - cinicamente chiamata il peso britannico - crolla. Cosa che costringerà la BOE ad alzare fortemente i tassi con effetti ancora più recessivi sull’economia e sui costi di finanziamento/6
Il Giappone offre un altro esempio: malgrado gli interventi del governo di Tokyo sui mercati valutari, lo yen rimane sui minimi storici nei confronti del dollaro Usa. Come se ne esce da questo vicolo cieco?/7
Alcuni paventano una riedizione dell’Accordo del Plaza che diede il là nel 1985 a un forte deprezzamento del dollaro. Ma allora gli squilibri riguardavano in larga parte Usa-Giappone, mentre oggi riguardano Usa-Resto del mondo! Molto più complicato insomma/8
Più fattibile pensare a dei salvataggi mirati dalla Federal Reserve attraverso delle swap line che sosterranno però esclusivamente quelle economie considerate vicine a Washington. Gli Usa insomma daranno soldi a chi sarà pronto a servirà gli interessi dell’industria americana/9
Il caso pilota australiano è indicativo: Canberra di fatto investirà mei sottomarini nucleari prodotti negli Usa anziché produrli in casa. Naturalmente starà poi alla capacità di negoziazione di ogni singolo governo trovare delle compensazioni/10
Gli Usa rimangono un impero e conoscono fin troppo bene l’importanza di mantenere un minimo di benessere nelle zone di influenza. Siete scandalizzati? È la realpolitik bellezza!/FINE
• • •
Missing some Tweet in this thread? You can try to
force a refresh
Hanno prima sottovalutato clamorosamente l’inflazione. Ora stanno sottovalutando la forza della spesa al consumo Usa che costringerà la FED al a spingere i tassi oltre il 4%. La corsa del dollaro non è finita.
Bene per le nostre esportazioni, si dirà, con un EURUSD verso 0,90. Fino a un certo punto: oltre all’energy crunch, a pesare sulle imprese sara’ (dopo 5 mesi di consolidamento) il nuovo rally del prezzo dei metalli determinato dalla stabilizzazione dell’economia cinese.
Con il cambio che non potrà offrire un cuscinetto come solitamente avviene (un dollaro forte abbassa generalmente prezzo commodities) dunque il costo in EUR delle materie prime per le nostre imprese potrebbe costituire uno shock ulteriore.
Mi fa molta tenerezza chi pensa veramente che l'attuale crisi energetica possa essere risolta disaccoppiando l'energia prodotta da fossile da quella prodotta da rinnovabile. E' certamente un passo dovuto per ragioni di equità, ma non muta il quadro di fondo/1.
Poi per carità siamo in campagna elettorale e quindi pochi vogliono prendersi la responsabilità di parlare chiaro alla popolazione (ammesso che si abbia compresa la gravità della situazione in cui ci troviamo)/2
Quello che va compreso il prima possibile è che ci troviamo in una condizione di economia di GUERRA che manterrà i prezzi dell'energia e delle materie prime elevati per ANNI/3
Liz Truss, candidata per il dopo Johnson, intende rivedere l’indipendenza della banca centrale. D’altronde, con l’inflazione alle stelle, quale migliore ricetta se non quella di adottare uno ‘yield cap’ per finanziare incentivi fiscali? Vedremo come reagirà la sterlina.
Insomma, la Bank of England potrebbe essere costretta a seguire le orme della Bank of Japan. Non che la cosa mi sorprenda: che il cap sui rendimenti sarebbe stato adottato da un crescente numero di paesi è proprio lo scenario descritto in #materiarara.
Il punto è: come reagirebbero i mercati? Nel caso britannico, vendendo la sterlina (come è accaduto con lo yen) e acquistando commodities, alimentando così un circolo vizioso che potrebbe innescare una crisi finanziaria.
La fase di restrizione monetaria da parte della FED è solo iniziata. Basta guardare ai tassi di interesse reali che rispetto a quelli nominali sono molto più importanti per la crescita. Quelli a 10 anni rimangono sotto di 48pb rispetto al 2018 e sono appena in territorio positivo
Tale processo continuerà ad avere ripercussioni sui mercati ancora troppo compiacenti sul raggiungimento del picco inflazionistico. L'economia Usa sta assistendo a uno shift di consumi dai beni durevoli ai servizi e questo manterrà l'inflazione più alta del previsto.
Non appena il mercato assimilerà la dinamica in atto, eserciterà nuova pressione sui credit spread tra cui quelli dei paesi periferici europei. Il Btp-Bund dunque rimane un sorvegliato speciale e questo impone lo sviluppo di un cap sugli yield da parte della BCE.
Pochi lo hanno notato ma, nel corso dello Shangri-La Dialogue, il Giappone ha lanciato l’allarme sul rischio di conflitto simile a quello ucraino nell’area dell’Indo-Pacifico. Superfluo evidenziare il livello di stress a cui si giungerebbe sul lato logistica/1.
Il punto è che il dibattito in Occidente continua a essere confinato all’inflazione e non all’ approvvigionamento, tanto che da alcuni giorni circolano rumors secondo cui la FED potrebbe alzare i tassi fino a 100 punti base. Proprio come la bc di un paese emergente qualsiasi/2
Probabilmente si pensa che sia sufficiente alzare i tassi e creare recessione per frenare inflazione, sottovalutando enormemente invece il processo di ‘weaponization‘ sulle materie prime e logistica che Russia e Cina adotteranno con sempre maggiore aggressività contro di noi/3
Ricoperture in atto stamane sugli indici azionari cinesi e metalli di base in scia all'ultima azione di stimolo monetario intrapresa dalla Banca Centrale di taglio del 'prime rate' a 5 anni al 4,5%/1
Il quadro macro rimane tuttavia negativo (come sancito tra l'altro dalla fuga di capitali in atto negli ultimi mesi). La leadership cinese si trova davanti a un bivio: gli stimoli monetari fin qui implementati hanno fallito nel tentativo di stimolare l'economia/2
Di fatto il meccanismo di trasmissione del credito è saltato. Solamente un allentamento della CZS potrebbe cambiare il quadro ma non sembra sia ancora questa l'intenzione del governo almeno fino al congresso del PCC di ottobre/3