“A volte mi chiedo: cosa c’è di male? Io mi sento una donna, vorrei truccarmi, vestire al femminile. Vorrei avere più spazio, essere tranquilla… non avere paura. Non so più che fare, mi sento in un labirinto senza uscita.”
Chiara, ragazza trans di 19 anni, si è tolta la vita.
Chiara era una ragazza trans di 19 anni. Il 24 ottobre, a Napoli, si è tolta la vita nella sua stanza, mentre la mamma non era in casa. A darne la notizia, il servizio Gay Help Line (800.713.713), numero verde contro l’omobitransfobia che Chiara aveva già contattato due anni fa.
A un operatore di Gay Help Line, Chiara raccontò la violenza, il bullismo e l’emarginazione che subiva da tempo, dopo aver fatto coming out come ragazza transgender, al punto di dover lasciare la scuola. Chiara, però, continuava a essere offesa per strada, e non accettata a casa.
Solitudine, emarginazione, invisibilità: l’incidenza di autolesionismo e suicidio tra i ragazzi e le ragazze LGBT+ è doppia rispetto alle persone che non fanno parte della comunità. Questi ragazzi, queste ragazze, non possono essere lasciatə da solə. Dobbiamo vederlə, ascoltarlə.
Un anno fa, il 27 ottobre 2021, il Senato affondava il #ddlZan, la legge contro l’omobitransfobia, l’abilismo e la misoginia, tra gli applausi di chi oggi siede al Governo.
Loro ci hanno lasciatə da sole. Chiara è morta da sola.
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Lo scorso 5 ottobre, Naomi Cabral è stata ritrovata senza vita in una camera d’albergo ad Ardea (Roma). Oggi, un uomo di 35 anni è stato arrestato con l’accusa di omicidio: avrebbe soffocato la donna.
Naomi, 47 anni di origini argentine, era una donna trans.
Il corpo della donna fu rinvenuto nel pomeriggio dello scorso 5 ottobre da una sua amica, allarmata dal fatto che Naomi non si fosse presentata a un appuntato che le due avevano quel giorno. Naomi era nuda sul letto, la porta della stanza era aperta. Era morta già da qualche ora.
L'evento destò parecchio scalpore nella provincia romana, date le circostanze sospette nelle quali fu rivenuto il corpo. Naomi, poi, non aveva molti amici nella zona: era una donna piuttosto solitaria, sulle sue, in pochi la conoscevano bene. Pare, inoltre, che si prostituisse.
Un’amica, presente alla manifestazione di studenti e studentesse de La #Sapienza, mi manda questi video. Manganellate, colpi violentissimi contro persone disarmate. Lei sta bene. Il ragazzo nell’ultimo video, no.
L’antifascismo non è mai stato un pericolo. Il fascismo, sì.
La settimana scorsa, un ragazzo di 28 anni originario del Pakistan si è tolto la vita all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) di Gradisca d’Isonzo, un’ora dopo il suo arrivo.
Dal 2019, 5 migranti si sono tolti la vita nella struttura-lager: un campo di morte.
I CPR sono luoghi di trattenimento di stranieri in attesa di espulsione. Sebbene dovrebbero garantite assistenza e dignità, la realtà è altra: i CPR sono luoghi disumani. Quello di Gradisca d'Isonzo, poi, lo è di più: persone costrette in gabbia, tutto il giorno, sempre.
Condizioni brutali: spazi ristretti, condizioni igieniche al limite, cibo di scarsa qualità, poche (inesistenti) ore d'aria. Molte persone trattenute ricorrono all'autolesionismo, pur di attirare l'attenzione e uscire momentaneamente. E, poi, c'è chi decide di togliersi la vita.
Nell’ultimo anno, assieme ad un gruppo di psicologhe e di volontariə, sono stato in alcune scuole medie e superiori della mia città per parlare di comunità #LGBT+ e omotransfobia per il progetto “A scuola per conoscerci”.
Voglio raccontarvi la mia esperienza.
Iniziamo presentandoci: nome, età, pronomi. La psicologa spiega cosa fa parte della nostra identità: sesso, identità e ruolo di genere, orientamento sessuale. Cosa significa fare coming out. Cosa sono il bullismo, l’omofobia, l’isolamento sociale. Che è importante intervenire.
Poi la psicologa fa un passo indietro, la scena diventa mia e dellə altrə volontariə. Rispondiamo alle loro domande, anonime o meno, scritte su un pezzetto di carta o pronunciate a voce alta. È importante che loro sappiano che questo è uno spazio sicuro.
Nella notte tra martedì e mercoledì, a Bologna, Alessandra Matteuzzi è stata uccisa a martellate dal suo ex, Giovanni Padovani.
Da giorni Alessandra viveva in uno stato di paura, dopo aver denunciato l’uomo per stalking, un mese fa. A nulla è valso: nessuno l’ha protetta.
Ci sono alcuni aspetti di questa storia sui quali è necessario riflettere. In primo luogo, la narrativa adottata da molte testate giornalistiche, che cadono nel solito tranello, sia o meno con intenzione: colpevolizzare la vittima e umanizzare il carnefice.
Di Alessandra si mostrano le foto in bikini, si raccontano i viaggi a Ibiza, l’amore per i social - poco o niente della sua professione, rappresentante vendite per uno show-room di abbigliamento. Di Padovani, l’assassino, si parla della sua carriera come calciatore ed ex-modello.
Considerare i disordini alimentari delle devianze non solo è inesatto, ma comporta una stigmatizzazione, fa sentire le persone che ne soffrono sbagliate, in qualche modo colpevoli. Chi soffre di DCA sta affrontando un problema di salute mentale, e merita rispetto, delicatezza.
I DCA sono patologie serie, delicate, che interessano donne e uomini, di tutte le età, e che ogni anno causano la morte di oltre 4mila persone. Queste situazioni non nascono da comportamenti devianti, ma sono espressioni di un malessere interiore da gestire con competenza.
L'idea dello sport come cura, poi, è superficiale, nonché pericolosa. Per pazienti anoressici, ad esempio, lo sport è spesso parte del sintomo - iperattività, bruciare calorie. Ci sono poi sport che richiedono il controllo del peso e possono diventare catalizzatori per i DCA.