Questo periodo è cominciato esattamente il 4 giugno 2017, il giorno dopo la finale di Cardiff, quando il pensiero nella mente di #Allegri è di lasciare.
Non tanto per l'allenatore, che è la punta di un iceberg moooolto grosso.
A mente molto fredda, e ad anni da quel momento, girandoci indietro vediamo infatti una serie di scelte che si collegano a una smania di vincere che lascia da parte tutti i pilastri che hanno permesso di arrivarci, a Cardiff: programmazione, prospettiva, coraggio.
È in quella sede che la società comincia a sfaldarsi dall'interno, non tanto come uomini, ma come visione. Il coraggio di rinnovare si perde in una serie di bias: abbiamo vinto fino a oggi, continueremo a farlo. Lo scollamento è fra il fatto e il come, quasi sia roba elettiva.
La conferma di Allegri è la superficie. Non si sarà capaci di chiudere il rapporto con un allenatore che da quel momento vivrà di rendita e vincerà di inerzia (checché ne dicano le groupie che hanno perso razionalità in favore del dogmatismo) pur sapendo di aver raggiunto l'hype.
Non si sarà capaci di rinnovare la progettualità, puntando sui calciatori "finiti", un modello che gonfierà progressivamente il bilancio di costi inutili e dannosi. Si rinuncerà a valorizzare il lavoro di un centro di competenze che fino a quel momento aveva portato vittorie.
Nel tempo, da quel giugno, verranno progressivamente detronizzate figure centrali (Mazzia, Marotta), spostate le professionalità senza un criterio meritrocratico (Paratici CFO), avviate riorganizzazioni senza un perché. Mese dopo mese, perdendo di vista il "come".
Il granitico modello juventino che aveva avviato Agnelli era una specie di macchina perfetta in grado di autogenerare il valore con cui si alimentava la crescita. Aver sfiorato la UCL da dominatori è un cortocircuito che sembra annebbiare la visione, intaccando quel meccanismo.
Anche la scelta di tesserare CR7 sembra coerente con questo approccio: prendere un calciatore epocale inserendolo in un contesto che, forse con arroganza, si considera invincibile a dispetto di chi ci lavora, tralasciando di nuovo il "come" si costruisce una vittoria.
La girandola sulla guida tecnica è una delle cartine di tornasole di una società che a quel punto è più in balia di una specie di autoreferenziale ricerca di sé stessa. Incolpare oggi Allegri è esercizio pretestuoso, se si considera anche il perché sia stato richiamato.
Una scelta arbitraria che sembra presa più per la ricerca di un porto sicuro sul "come", come se bastasse un uomo (per quanto bravo) per determinare una vittoria. Come se nel calcio di oggi ogni traguardo non fosse frutto di un lavoro collettivo e complesso.
Anche il caos societario di questi giorni, con le inchieste che di nuovo sporcano una storia sportiva ultracentenaria, sono comunque effetto di una gestione che sembra essere talmente convinta di essere nel giusto da poter anche derogare al sistema.
Su quest'ultimo punto, da tifoso, mi sento più in difficoltà del resto. Perché per quanto la penalizzazione cui siamo incappati mi sembri monstre rispetto al contesto, sono anche conscio che sul caso stipendi qualcosa possa esserci. E la cosa mi inquieta.
Sono inquieto in particolare perché la Juve "pre 2017" non avrebbe mai derogato ai processi, perché forte di una gestione a prova di tutto, per quanto il COVID sia stata una variabile unica. È pur vero che però quella manovra viene fatta anche per i conti non proprio rosei.
Se oggi non siamo in grado di battere il Monza quindi non è perché Allegri non sia adatto, o i calciatori non siano forti, o perché ci sia un peso psicologico dato dalla sanzione, ma per tutti questi fattori, che hanno origine quando la Juve ha smesso di aver paura del futuro.
Ecco perché la soluzione, per me, è fare tabula rasa. Intanto nelle menti. La Juve del 2017 non esiste più. I nove titoli sono storia, ma appunto: appartengono al passato. Questo capitolo è finito e ora tocca ripartire, e sì: senza più collegamenti con quei giorni.
Un nuovo allenatore, un nuovo capitano, tutti i giovani al centro del progetto. Conti in ordine e nuovo direttore sportivo, nuovo direttore tecnico e magari nuovo presidente. Governance a livello dei top club. Un piano industriale con i tifosi al centro.
E, infine, la consapevolezza che la traversata sarà lunga e si potrà perdere. Sì, perché ogni vittoria è frutto del lavoro, e ci va tempo, e non si può sempre vincere. E se perderemo, costruendo, avrà un senso.
Se perderemo come in questi anni, senza che rimanga nulla (perché sì, care groupie di vario genere, in questi anni non si è costruito NULLA), allora avremo solo perso tempo, e passione. E se si perde quella, è proprio finita.
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Sulla penalizzazione comminata alla Juventus si sta scrivendo tutto e il contrario di tutto, e come tifosi possiamo lamentarci e invocare lotta senza quartiere contro il sistema. Come osservatori però dobbiamo fermarci un attimo e riflettere.
Che la Juventus abbia approfittato dell'ufficio finanziario delle plusvalenze è acclarato. Ci sono intercettazioni chiare, e non possiamo non fare autocritica. La gestione degli ultimi anni è stata ricca di errori al netto dei soliti ululati dei devoti del "vaituismo".
Questa vicenda però dovrebbe aprire una serie di riflessioni a livello strutturale che l'ingessato sistema Italia (dalla federazione al governo) continua a non riuscire a fare mettendo in evidenza come il problema sia proprio di competenze più che di volontà.
Il problema è sempre quello: la vittoria. Se siamo arrivati a questo punto è per un'ossessione portata all'esasperazione che si è ibridata con dei principi a mio avviso sempre più discutibili: l'immediatezza, l'urgenza, l'incapacità di progettare.
C'è un momento dove la Juve sceglie di derogare a ciò che è stata: è l'estate del 2016. La ricordate? Higuain, Pjanic, le clausole, il sogno UCL che si spezza contro una corazzata, un Real Madrid stellare che gli occhi degli ebeti considerano frutto dell'improvvisazione.
A nulla serve far notare a lor signori che per vincere l'UCL 3 anni di fila il Real Madrid schiererà una squadra costruita in sette stagioni, con uomini arrivati pian piano e amalgamati con intelligenza: il tifoso medio bianconero concepisce ormai solo il tutto e subito.
IL RACCONTO DEL CALCIO (CHE RISCHIA DI NON AVER FUTURO)
A me non stupisce che tanti giornalisti difendano un allenatore basandosi dalla sua storia più che su argomenti di campo. È un fenomeno che va allargato a livello analitico a come si raccontano le cose al di là del calcio.
L'aggancio a una tradizione, a ciò che è stato e ai risultati conseguiti è un topos ricorsivo per giustificare il valore: "Una volta si stava meglio". Una tendenza radicata che esprime il perché siamo uno dei Paesi più incapaci di integrare i giovani ed esaltarne i talenti.
Insieme al fenomeno del clientelismo e del machismo italico è parte della nostra cultura. Ed è per questo che è difficile uscire fuori da questi canoni: non a caso lessico, tematiche, insomma modalità di esposizione e racconto del reale si vincolino a luoghi comuni ricorsivi.
Alcuni chiedono l'esonero di Allegri. L'allenatore però è solo la punta di un iceberg, che certo ben rappresenta ma che non incarna da solo: la VISIONE. Il tanto decantato #LiveAhead, che ancora non abbiamo scaricato a terra.
Quando nel 2017 Guardiola viene assunto dal City Group per guidare il Manchester, l'idea non è semplicemente "fare show", ma è costruire un sistema che generi valore in tutte le squadre del gruppo. Viene imposto a tutti i team il gioco di posizione, Pep messo al centro.
L'idea è generare una coscienza collettiva, un network di competenze, dove l'allenatore spagnolo è catalizzatore e snodo. Tutti gli allenatori ricevono i suoi update su allenamenti, idee, tecniche, tutti gli allenatori condividono con lui ciò che fanno in campo.
Dato che sono uno di quelli che per andare a vedere la Juve ha speso migliaia di euro, e leggo tanti "teorici" parlare dello stadio, vi racconto la mia esperienza da abbonato e dico la mia sul perché dello Stadium sempre più vuoto.
1) Andare allo stadio è un impegno anche per chi vive a Torino. Al di là dello spostamento fisico c'è il tempo: uno sceglie di andare allo stadio, magari durante la settimana o alla domenica sera per rilassarsi e godersi una passione sacrificando famiglia, affetti, riposo.
Lo Stadium ha un sistema d'accesso a tripla barriera. Per entrare, nelle serate di punta, fai anche 30' di coda. In settimana devi prendere permesso se lavori e devi andare a casa, posare il pc, cambiarti e mangiare. Questo perché, appunto, poi devi arrivarci, parcheggiare etc.
VINCENTE
Ho conosciuto un professionista tronfio e proprio scarso nonostante il CV ricco di esperienze in grandi aziende. Ci lavorai assieme 3 anni e ogni volta ci facevo un meeting insieme ero tentato di mandarlo a stendere dalle castronerie che diceva. Cosa aveva di speciale?
Molto tempo prima, aveva avuto l'idea di fare una campagna con una partnership particolarmente azzeccata. Un'idea sola che fece storia. Da allora questo signore campò di rendita, nonostante negli anni affastellò non pochi fallimenti (che copriva con coltellate alle spalle).
Mi sono sempre chiesto se una grande cosa che facciamo possa metterci al riparo dal futuro. Se infatti non siamo in grado di confermarci in ciò che facciamo, difficilmente potremo raggiungere i risultati che ci hanno resi grandi. Questo, almeno, mi ha insegnato l'esperienza.