Il 4 marzo 1947 l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
La seduta, sospesa alle 17,55, è ripresa alle 18,10.
Intervento di Piero Calamandrei.
La parte sulle disposizioni transitorie.
«C'è nelle disposizioni transitorie, del progetto, un articolo che proibisce «la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del partito fascista».
Non so perché questa disposizione sia stata messa fra le transitorie: evidentemente può essere transitorio il nome «fascismo,
ma voi capite che non si troveranno certamente partiti che siano così ingenui da adottare di nuovo pubblicamente il nome fascista per farsi sciogliere dalla polizia. Se questa disposizione deve avere un significato, essa deve esser collocata non tra le disposizioni transitorie,
e non deve limitarsi a proibire un nome, ma deve definire che cosa c'è sotto quel nome, quali sono i caratteri che un partito deve avere per non cadere sotto quella denominazione e per corrispondere invece ai requisiti che i partiti devono avere in una Costituzione democratica.
Sarà la organizzazione militare o paramilitare; sarà il programma di violenze contrario ai diritti di libertà; sarà il totalitarismo e la negazione dei diritti delle minoranze:
questi od altri saranno i caratteri che la nostra Costituzione deve bandire dai partiti, se veramente vuol bandire il fascismo. […]
In questa nostra Assemblea, mentre si discuteva della nuova Costituzione Repubblicana, seduti su questi scranni non siamo stati noi, uomini effimeri di cui i nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia stato tutto un popolo di morti,
di quei morti, che noi conosciamo ad uno ad uno, caduti nelle nostre file, nelle prigioni e sui patiboli, sui monti e nelle pianure, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti,
da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovinetti partigiani, fino al sacrificio di Anna-Maria Enriquez e di Tina Lorenzoni, nelle quali l'eroismo è giunto alla soglia della santità.
Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all'Italia libertà e dignità.
Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile; quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole;
quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno: di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini, alleati a debellare il dolore.
Assai poco, in verità, chiedono a noi i nostri morti.
Non dobbiamo tradirli».
"Finiremo tutti colpevoli per non aver capito che i mali grandi e irrimediabili dipendono dall’indulgenza verso i mali ancora piccoli e rimediabili”
(Vittorio Foa, uno dei padri fondatori della Repubblica italiana)
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Molte le invenzioni che hanno cambiato il mondo.
La stampa per esempio, o la macchina in grado di sfruttare la pressione del vapore per generare movimento di componenti meccaniche.
La lampadina, il telefono, l’aeroplano e i vaccini.
E molte altre. Tra queste una in particolare.
L’invenzione più fragorosa che ha cambiato il mondo. Incredibile a dirsi, nata nel silenzio di un convento. Un’invenzione che ebbe due padri.
Uno di questi era uno scolopio, un religioso dell’ordine dei chierici regolari della Madre di Dio delle Scuole pie.
Il suo nome?
Padre Eugenio Barsanti di Pietrasanta, professore di fisica, matematica, filosofia presso il Collegio San Giovannino di Firenze.
L’altro era Felice Matteucci, un tecnico idraulico che aiutava il religioso nello stesso convento a preparare le sue esperienze di fisica.
Siamo sempre stati abituati ai cataclismi.
Normale se vivi su un’isola dove i terremoti sono all’ordine del giorno da secoli.
Se al centro si eleva il monte Aso, il più vasto vulcano attivo del mondo.
Per non parlare del vulcano Kirishima e a sud quello di Sakurajima
Eravamo abituati ai cataclismi, noi dell’isola di Kyushu, la Sicilia nipponica.
Sapevamo cosa fosse la paura, vivevamo da sempre con la paura.
Perché proprio a noi?
Perché quella suggestiva città adagiata sulla costa ovest di Kyushu ricca di templi buddisti?
La città dove Pierre Loti aveva vissuto la sua avventura con Madama Crisantemo e in seguito pure quella del tenente Pinkerton con Butterfly.
Una città stupenda.
Sviluppata intorno alla baia dove confluiscono come una sorta di Y azzurra, quei due fiumi, l’Urakami e il Doza.
Ieri vi ho raccontato la pianificazione del bombardamento di Dresda.
(leggete qui threadreaderapp.com/thread/1625597…)
Dal Bomber Command (Comando Bombardieri), alla contrarietà del vicecomandante Sir Robert Saundby.
Il 13 febbraio però è arrivato.
Ore 22.04.
Iniziarono i Lancasters, con bengala a luce bianca e grappoli di target indicators, segnali luminosi a luce verde. Inconfondibili per i radar.
Due minuti dopo i Mosquitoes del 627° squadrone piombarono sulla città.
Uno centrò lo stadio Sportplatz.
Esattamente il punto di mira scelto.
Da quel momento, con bombe da 3.600 libbre, 244 bombardieri avevano rotta e sganci prestabiliti.
“Fatto il lavoro” si sarebbero allontanati per una tregua.
Il loro intento?
Far uscire allo scoperto la maggior parte della popolazione.
Qualcuno ha detto che esistono tre tipi di bugie.
Quelle grandi, quelle piccole e le statistiche.
Charles Bukowski spiega che “un uomo con la testa nel forno acceso e i piedi nel congelatore statisticamente ha una temperatura media”.
Alla domanda, quale città tedesca ha subito il peggior bombardamento nella II guerra mondiale, la statistica ci tiene ad informarci che è stata Wuppertal-Elberfeld, distrutta per il 94%.
Amburgo, per esempio, fu distrutta per il 74%, Düsseldorf per il 64% e Colonia per il 61%.
Eppure nessuno ha mai avuto dubbi sulla notte più tragica della II Guerra Mondiale.
Sulla città tedesca che più di tutte ha subito l’apocalisse dei bombardamenti.
Per tutti, ma non per la statistica, che la colloca solo al ventiseiesimo posto per percentuale di città distrutta.
Ieri la mia amica Mary Leigh mi ha chiesto: “Ho saputo che vai a vedere il Derby di Epsom. Come mai?”
Le ho risposto: “Lo capirai domani sera leggendo i giornali”.
Già, il Derby di Epsom, la corsa di cavalli più prestigiosa del Regno Unito.
Infatti sono qua, proprio al Derby d’Epsom, l'appuntamento mondano con tutta l’alta società britannica. Compresa la famiglia reale.
E’ il 4 giugno del 1913.
Perché sono venuta?
Una storia lunga. Iniziata anni fa.
Mi chiamo Emily Wilding Davison e sono nata a Londra l’11 ottobre 1872 in una famiglia numerosa.
Studiavo al Royal Holloway College di Londra.
Ero bravissima.
Ma fui costretta a lasciare la scuola perché mia madre, rimasta vedova, non poteva pagarmi la retta.
“Le decisioni devono essere prese il più vicino possibile ai cittadini. Cosa volete che sappia uno a Roma dei problemi di un comune della Lombardia”.
Si chiamava “Lega autonomista lombarda” il movimento fondato nel 1982 da Umberto Bossi.
Nata “per dare voci alle peculiarità culturali ed economiche della Lombardia”.
Il motto più gettonato a quei tempi?
"I terroni li manderemo via tutti". "
Ma erano stati i veneti, due anni prima, a fondare la “Liga Veneta”.
E sempre i veneti ad arrivare in Parlamento con una proposta.
La richiesta di Veneto a Statuto speciale su proposta Dozzo
Incredibile a dirsi (nemmeno troppo) fu proprio Bossi a chiedere ai suoi di non votarla.