Il 1^ agosto 1917 il Papa Benedetto XV invia la sua famosa "Lettera ai Capi dei Popoli Belligeranti", esortandoli a intraprendere negoziati di pace e offrendo la mediazione della Santa Sede per raggiungere un accordo.
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Fin dall'inizio del primo conflitto mondiale il Papa ha cercato di mantenere una posizione il più possibile neutrale, prendendo le distanze dal concetto di "guerra giusta" ma anzi definendola un «immane flagello» non solo per i cristiani, ma per l'intera umanità.
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Le varie iniziative di pace, ultima quella del presidente USA Wilson, sono cadute tutte nel vuoto, nonostante la stasi nella situazione bellica sul fronte occidentale, dove i progressi dei contendenti si misurano in migliaia di morti e decine di metri.
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Sul fronte orientale invece la disgregazione del regime zarista, con l'abdicazione di Nicola II il 15 marzo 1917, e il fallimento della "offensiva Kerenskij" di luglio fa pensare allo Stato Maggiore tedesco, che ha di fatto esautorato il governo civile, di avere la vittoria in… twitter.com/i/web/status/1…
È chiaro quindi al pontefice, al riguardo consigliato dal nunzio apostolico in Germania, monsignor Pacelli, il futuro Pio XII, che una azione diplomatica per raggiungere la pace può essere esercitata solo verso le nazioni dell'Intesa (UK, Francia, Italia, Serbia e Russia).
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La lettera è quindi un tentativo che arriva dopo molti altri ma questa volta enuncia gli strumenti pratici che possono portare alla pace: disarmo e arbitrato, libertà dei mari, condono reciproco dei danni di guerra, restituzione dei territori occupati, esame delle questioni… twitter.com/i/web/status/1…
Un particolare poco noto è che la lettera non deve essere di dominio pubblico ma è riservata ai soli ambienti diplomatici dei governi.
La sua pubblicazione sul Times di Londra è quindi uno dei primi "leak", come vengono chiamati oggi, il cui scopo è ben chiaro anche allora.
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L'impatto che ha infatti soprattutto in Italia è molto forte, in particolar modo presso l'Esercito.
Alcuni generali inveiscono contro il Papa.
Uno dice che bisogna impiccarlo, mentre il generale Cadorna la commenta acido come «una pugnalata nella schiena dell’esercito».
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I comandi militari temono che le parole di Benedetto XV demoralizzino le truppe durante la battaglia della Bainsizza.
Cercano di impedire che i giornali raggiungano il fronte.
Ma ben presto la lettera «si diffuse in un baleno, invase d’impeto, a gran festa, l’intera fronte.»
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La stampa invero cerca di dare il minor risalto possibile alla Lettera.
Con qualche eccezione.
L'Avanti, l'organo del Partito Socialista, la definisce un «gesto coraggioso» con «un valore materiale, contingente, che noi riconosciamo e che i governi dovranno riconoscere».
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L’Azione Socialista, organo dei socialisti riformisti, guidati da Leonida Bissolati, la giudicano invece «manifestazione di propaganda banale e criminosa contro la guerra» temendo che questo «pacifismo disfattista» unisse i socialisti coi cattolici.
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Anche Mussolini dalle colonne del Popolo d'Italia attacca la Lettera papale chiamando il Papa "Pilato XV", uguale «al basso livello del legato romano» per la sua ostinata rinuncia a prendere posizione «nella più grande tragedia di tutti i tempi e di tutti i popoli».
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A questi giornali di emanazione politica si aggiunge anche il Corriere della Sera, nella persona del suo direttore Luigi Albertini, che trova le parole del Papa sulla guerra come «inutile strage» una «frase dolorosa» che nega il carattere di «crociata» del conflitto.
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La reazione del governo è affidata al ministro degli esteri Sidney Sonnino che alla Camera il 25 ottobre dice che la Lettera non ha «alcuna adeguata indicazione delle condizioni fondamentali della invocata pace» o basi per «una eventuale transazione».
Fuffa insomma.
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Queste reazioni negative decuplicarono al momento della disfatta di Caporetto alla fine del 1917.
Il corrispondente del Corriere della Sera Luigi Barzini afferma che soldati «incoscienti, allegri» scappano gridando «Viva il papa! Viva Giolitti! La pace è fatta!»
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Desiderosi di coprire la loro incapacità, i comandi militari addossano quindi la responsabilità della disfatta anche alla «influenza clericale pacifista» che attraverso «subdole preghiere» intrise del «veleno del pacifismo» hanno portato ad uno «sciopero militare».
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La polemica politica è ancora più esasperata. Inutile è la difesa da parte del Vaticano che, giustamente, afferma che la Lettera del Papa era destinata ai governi e che è eventualmente responsabilità di quello britannico di averla fatta trapelare alla stampa.
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Il 20 dicembre il deputato repubblicano di Ravenna Giovan Battista Pirolini, durante un discorso alla Camera, cita vari episodi che secondo lui dimostrano la connivenza con il nemico da parte del Vaticani e dei cattolici.
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Pirolini fa parte del "Fascio parlamentare di difesa nazionale", un raggruppamento di politici di diversi partiti, dai radicali ai repubblicani, dai nazionalisti ai liberali, nato per bloccare ogni iniziativa pacifista da parte di socialisti, giolittiani e cattolici.
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Infine per tutto il 1918, persino dopo la resa dell'Austroungheria, rimane in piedi nel discorso pubblico la narrazione del "tradimento" cattolico, cosa che avrà il suo influsso anche nelle dinamiche politiche del dopoguerra, in special modo nel movimento fascista.
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Il 20 febbraio del 1958 il Parlamento italiano approva la legge N° 75 con la quale viene abolita la regolamentazione della prostituzione, contestualmente punendo il suo sfruttamento e sopprimendo le case di tolleranza.
È la Legge Merlin.
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La regolamentazione pubblica della prostituzione ha origini antichissime, ma la sua forma contemporanea nasce nel 1802 con l'esigenza da parte di Napoleone di tenere sotto controllo la diffusione delle malattie veneree nell'esercito francese.
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Ben presto è traslata anche nell'ambito civile in Francia, mentre in Italia nel 1860 Cavour emana il “Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione” che, con poche successive modifiche, resta in vigore appunto fino al 1958.
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Si discute nella sinistra se dare priorità ai così detti "diritti civili" oppure a quelli "economico-sociali" o se vanno portati avanti assieme.
Storicamente la discussione è vecchia di decenni ed ha avuto l'apice proprio all'ONU.
Perché, di fondo, è una faglia ideologica.
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Dopo la stesura della Dichiarazione dei Diritti Umani nel 1945 si continua a discutere all'ONU per redigere anche una convenzione contenente impegni vincolanti per gli stati membri.
Ma sorgono subito contrasti sull'importanza dei diritti negativi rispetto a quelli positivi.
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I diritti negativi sono quelli civili e politici, essi definiscono la libertà come assenza d'impedimento, cioè che qualcuno abbia di agire senza che nessuno intervenga a ostacolarlo o anche la decisione di rimanere passivo senza che nessuno lo costringa ad agire.
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Fra il 1959 e il 1963, la produzione annua di autoveicoli quintuplica salendo da 148.000 a 760.000 unità, i frigoriferi da 370.000 diventano 1.500.000, le lavatrici passano da 72.000 a 262.000 e i televisori a 634.000.
Benvenuti nell'Italia del Boom!
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A metà degli anni '50 l'Italia è ancora un paese sottosviluppato: la maggior parte della popolazione è ancora occupata nell'agricoltura, spesso in situazioni di sottoccupazione in specie al Sud e con percentuali appena migliori anche nel Centro e nel Veneto.
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Gli altri italiani lavorano in piccole aziende arretrate, pubblica amministrazione, negozi e piccoli esercizi commerciali. Il reddito medio è molto basso e solo poco più del 7% delle case ha i servizi essenziali.
L'emigrazione è ancora spesso l'unica soluzione.
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Siamo nel dicembre 1952.
La DC di De Gasperi alle ultime elezioni locali ha ottenuto un ottimo risultato, ma ha suonato un campanello di allarme: ha perso 2 milioni di voti rispetto alle politiche del 1948.
Nel giugno '53 ci sono di nuovo le politiche.
E questo è un problema.
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«Il dato obiettivo è che a quattro anni dal 18 aprile (1948 N.d.R.) le sinistre si sono consolidate, la destra risorge e il margine della democrazia è al 51%.» sostiene Zaccagnini in una riunione del gruppo parlamentare DC di giugno.
Anche gli USA sono parecchio nervosi.
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La situazione internazionale è infatti notevolmente peggiorata.
La “Guerra Fredda” è diventata calda in Corea, dove le forze ONU, capeggiate dagli USA, combattono direttamente contro delle forze comuniste.
In Italia il Vaticano spinge per emarginare le forze di sinistra.
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Nella Germania Est comunista pochi altri beni sono considerati essenziali dalla popolazione come il caffè.
È un simbolo del benessere che il governo di Honecker ha promesso ai suoi cittadini.
Ma nel 1977 accade l'imprevedibile.
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I cattivi raccolti l'anno prima in Brasile, il maggiore produttore di caffè al mondo, quadruplicano il suo prezzo.
La DDR deve già fare fronte a pesanti costi per importare petrolio, a causa dell'Oil Shock e della minore generosità di Mosca.
Le riserve valutarie sono esauste.
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Le prime misure per ovviare alla situazione sono quelle classiche in ogni sistema a prezzi amministrati che non possono essere lasciati esplodere verso l'alto: si crea una nuova miscela chiamata Kaffee Mix, costituita al 51% da caffè e al 49% da cicoria, segale e barbabietola.
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In una giornata d'state parigina, il 27 agosto 1928, una folla di curiosi si accalca davanti al Quay d'Orsay, la sede del ministero degli esteri.
Diplomatici e giornalisti esibiscono all'ingresso un invito con scritto “Signature du pacte générale renonciation à la guerre”.
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Aristide Briand, ministro degli Esteri francese, è il cerimoniere dell'evento.
Accanto a lui ci sono Frank Kellog, il segretario di stato degli USA, e Gustav Stresemann, il ministro degli esteri tedesco.
«Questo giorno segna una nuova data nella storia dell'umanità.»
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Con loro ci sono i ministri plenipotenziari di Belgio, Cecoslovacchia, Giappone, Italia, UK ed i suoi Dominions, dal Canada all'Irlanda.
Gli articoli del trattato che firmano sono solo due il cui testo ci è molto familiare, risuona nell'art.11 della nostra Costituzione.
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