#MdT 04/07/2018 - Un decreto ministeriale autorizza in fase sperimentale (in 11 città) l'impiego del taser in dotazione alle forze di polizia.
Pistola che trasmette una scarica elettrica.
Un iter iniziato tempo prima.
Esattamente nel 2014.
Iter iniziato con la legge n. 146 del 2014, che convertiva in legge l’articolo 8 (Misure per l’ammodernamento di mezzi, attrezzature e strutture della Polizia di Stato e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco) del decreto legge n. 119 del 2014, con l’aggiunta del comma 1-bis.
Il 20 marzo 2018 la Direzione Anticrimine del Ministero dell’Interno ha diramato una circolare a 6 questure italiane di grandi città (Reggio Emilia, Padova, Milano, Catania, Brindisi e Caserta), autorizzandole alla sperimentazione sull’uso della pistola Taser.
Sorge spontanea una domanda
Perché non è stata indetta una gara?
Nel decreto e nella circolare del 22 agosto emanata dal Ministero dell’Interno di parla chiaramente di Taser tipo X2.
Eppure il taser X2 è una tante pistole elettriche in commercio, non l’unica.
E l’X2 è pure datata
Il Ministro dell’Interno definisce il taser “un’arma non letale”.
E’ proprio così?
La risposta è sì.
Se usata correttamente e in situazioni sotto controllo come specificato nelle linee guida del costruttore.
E quali sono queste linee guida?
Vediamone alcune.
Il Taser non va usato su persone a rischio.
O soggetti con disabilità motoria, con disturbi cardiaci, accertati o latenti.
Soggetti con alta concentrazione di droga, alcool e con forte stress emotivo.
Non va usato assolutamente con donne incinte o in luoghi a rischio incendio.
Insomma.
Gli agenti, prima di usare il taser, dovranno richiedere il certificato medico al soggetto da colpire e alle donne il test di gravidanza.
Visti i tempi, anche un’autocertificazione dovrebbe andar bene.
Naturalmente sto scherzando.
E potete quindi capirne la pericolosità
Il taser viene considerato dall’Onu uno strumento di tortura.
Giusto ricordare che il giudizio riguardava però un tipo di pistola non più in uso.
Più interessante invece lo studio di Amnesty International che parla di centinaia di morti dopo l'utilizzo del taser.
Un altro studio dimostra che una volta inserito nelle forze di polizia queste tendano ad utilizzare il taser oltre il dovuto.
Ad abusarne, spesso senza motivo.
Come accaduto a Cincinnati su un pericoloso criminale che aveva appena rubato del cibo in un supermercato.
Visto che il pericoloso criminale si era dato alla fuga, l'agente ha pensato bene di fermarlo sparandole alla schiena con un taser.
Sparandole, perché il pericoloso criminale altri non era che una ragazzina di 11 anni che aveva fame.
Lui si fa chiamare “Reefa”, di origini colombiane.
Un ragazzo di 18 anni a cui piace correre con lo skateboard.
Un artista.
"Voglio cambiare il mondo in qualche modo attraverso l'arte".
Il suo lavoro presentato in diverse gallerie.
"Reefa" ha promosso una linea di skateboard.
Lei è Jacqueline Llach madre del 18enne artista “Reefa”.
Vicino a lei la fidanzata, Alexandria Morgan.
Altri camminano dietro la bara mentre assistono alla sepoltura di “Reefa”.
Cosa è successo a quel ragazzo di 18 anni?
Torniamo a qualche giorno prima.
#MdT 06/08/2013 - Ore 5.00 del mattino -
“Reefa” è lo pseudonimo di Israel Hernandez. Dicono sia un artista perché fa anche graffiti sui muri.
Oggi ha scelto il muro di un fast food abbandonato. Comincia con l’iniziale “R”.
Ha potuto scrivere solo la lettera “R”, l’iniziale del suo soprannome “Reefa”, poi è arrivata la polizia.
E lui fugge con lo skate tra le vie e i palazzi di Miami.
I poliziotti lo rincorrono, una mezza dozzina a piedi, altri sulle auto.
A un certo punto Israel tenta di scavalcare una recinzione, perde l'equilibrio e cade a terra.
I poliziotti gli sono sopra.
E' bloccato, a terra, seduto con la schiena verso la recinzione.
Inoffensivo.
Quando un poliziotto gli punta un taser e spara.
Gli altri poliziotti arrivano e vedono gli agenti esultare per avere preso Israel.
Solo dopo si accorgono che il ragazzo ha qualcosa che non va.
La corsa in ospedale, ma non c’è niente da fare. Israel è morto.
I genitori hanno citato in giudizio la città, accusando i poliziotti di "forza illecita, inutile e irragionevole senza fornire cure mediche adeguate quando mostrava segni di sofferenza".
I funzionari di Miami Beach hanno negato ogni responsabilità, ma hanno pagato 100.000 $
Come tutte le cose non è l’uso che se ne fa,ma l’abuso.
Sicuramente il taser è un sistema di difesa per le forze dell’ordine, una valida alternativa con chi fa resistenza.
Ma gli abusi sono tanti.
E possono colpire chiunque, non solo i delinquenti.
Altra storia.
Una vicina di casa chiami gli agenti perché non sopporta il ragazzo dell’appartamento vicino.
Lui è Trammell, 22 anni, e quando arrivano gli agenti sta facendo tranquillamente il bagno nel suo appartamento.
Non sente bussare.
Gli agenti sfondano la porta (senza mandato).
E’ nudo nella vasca da bagno.
Non ha armi.
Gli agenti gli ordinano di uscire.
“Brandon! Brandon! Brandon! Brandon! Brandon!” gridano gli agenti.
Lui sembra confuso, non ubbidisce.
E un agente usa il taser.
Trammell cade nella vasca.
Non è svenuto, da segni di poter reagire.
Ma l’agente spara ancora col taser.
2, 3, 5, 10 .
Fino a 15 cartucce.
E se usi 15 volte il taser la conclusione è una sola. Adam muore nella vasca da bagno.
Qualcuno di voi starà pensando.
“Sicuramente aveva fatto qualcosa e poi non ha ubbidito. Colpa sua”.
Già. Lui non ha ubbidito.
Come dirà il rapporto, il soggetto era agitato, con aggressività, angoscia acuta, forza fisica inaspettata.
Peccato che Trammell soffrisse di una malattia mentale.
Era schizofrenico.
Ricordate gli agenti gridare“Brandon! Brandon”.
Lui non capiva, era frastornato, agitato, confuso.
Perché?
Semplicemente perché non si chiamava Brandon, ma Adam.
Martha Al-Bishara è uscita in giardino con un coltello per recidere fiori. Un poliziotto l’ha vista con il coltello e le ha sparato con un taser.
Un pensionato cieco di 61 anni sta camminando usando il bastone. Sembra una spada
“Ops, scusi” sembra abbia detto l’agente.
La Taser International insiste col dire che è un'arma non letale.
Resta da chiedersi perché la Taser International, dopo che la gente ha cominciato ad associare il taser ad un’arma letale, abbia cambiato nome.
Non più TASER International, ma Axon.
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Nell'ultimo thread di qualche giorno fa, Johannes vi ha raccontato del problema della mancanza di carburante della Regia Marina Italiana durante la seconda guerra mondiale.
Almeno secondo l’opinione dell’ammiraglio Bragadin.
Fosse stato solo quello il problema.
L’ammiraglio Iachino lo mise nero su bianco, quando parlò di una guerra “più assurda che sfortunata”.
E uno dei motivi di quella guerra assurda riguardava proprio me che, laureato in ingegneria, lavoravo all'Istituto Superiore delle Trasmissioni.
Una guerra assurda, portata avanti da un irresponsabile.
Lui la Marina la voleva luccicante, una splendida Marina da parata e da propaganda.
E al diavolo se le navi da guerra non erano dotate di ecogoniometri per gli “avvistamenti” subacquei e di radar per quelli aeronavali.
Me la ricordo bene quella sera.
Era il 26 aprile 1942 e l’Ammiraglio Varoli Piazza mi convocò nel suo studio.
Lo faceva spesso con me, ufficiale della sezione “Attività del nemico”.
Per discutere sulle ultime notizie dei movimenti delle forze navali britanniche in Mediterraneo
La ricordo bene perché capii subito che qualcosa non andava.
Dall’espressione del viso, e poi da quel gesto di vivo sconforto.
Quando mi mostrò quel foglietto.
Solo in quel momento pronunciò quella frase.
“Guarda qui, siamo a zero”.
L’intestazione del foglio era: “Situazione giornaliera delle rimanenze di nafta”.
Cioè il combustibile per far muovere le nostre navi.
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene quando lessi l’ultima cifra: 14.400 tonnellate.
Non era possibile.
Non era possibile.
Da tre anni eravamo al porto di Massaua, nel Mar Rosso, presso il Comando Navale dell'Africa Orientale Italiana in appoggio ai sommergibili.
Nel febbraio del 1941, l’Eritrea, dopo essere stata investita dalle forze britanniche, ormai era condannata.
Eravamo bloccati.
Ma qualche nave avrebbe potuto lasciare il Mar Rosso e salvarsi.
Tra queste la nave coloniale “Eritrea”, la mia nave. Duemilacento tonnellate di dislocamento, velocità massima sui 19 nodi, sei mitragliatrici e due coppie di cannoni da 120/50.
In totale 200 uomini d’equipaggio.
Mi chiamo Marino Iannucci, capitano di vascello e quella che sto per raccontarvi è la storia di un viaggio incredibile.
Una storia che meriterebbe maggior risalto.
Tutto ebbe inizio quando ricevetti l’ordine di abbandonare il Mar Rosso.
E mettere in salvo la nave.
Oggi è il 29 marzo 1941.
Ho scritto un ultimo messaggio alla mia famiglia.
Ho affidato poi il messaggio al mare, dentro una bottiglia.
Povera mamma mia.
Mi chiamo Francesco.
E sto per morire.
Ho solo il tempo di raccontarvi come siamo finiti in questo lembo del Mediterraneo Orientale.
Imbarcato sul Fiume, incrociatore pesante della Regia Marina italiana, classe Zara.
Lui, quello che ha fatto anche cose buone, era piuttosto contrariato per le continue delusioni e i ripetuti rovesci della nostra marina.
Prima la mazzata nella notte di Taranto dell’11 novembre del 1940.
La Cavour quasi colata a picco e la Littorio e la C. Duilio danneggiate.
3 gennaio 1942 – Oggi si sono arruolati nella Marina degli Stati Uniti, assegnati all'incrociatore leggero USS Juneau (CL-52).
Sono George, Frank, Joe, Matt e Al.
Hanno tra i 20 e i 27 anni.
Sono cinque fratelli.
I cinque fratelli Sullivan.
8 novembre 1942 – L’incrociatore USS Juneau (CL-52), con a bordo i cinque fratelli Sullivan, è assegnato alla Task Force 69 (TF 69) come scorta antiaerea della portaerei USS Enterprise.
Sono salpati dalla Nuova Caledonia con un convoglio diretto a Guadalcanal.
13 novembre 1942 – L’incrociatore USS Juneau è coinvolto nella prima battaglia navale di Guadalcanal. E' incaricato di fermare una squadra giapponese diretta a bombardare l'aeroporto di Henderson Field a Guadalcanal.
Un siluro giapponese lo colpisce sul lato sinistro
Oggi è il 31 gennaio 1944.
E non ho molto tempo.
Sta per toccare a me, quindi è il caso che mi sbrighi a raccontarvi la mia storia.
Sono nato a Solt, in Ungheria, il 16 aprile 1896.
A 15 anni iniziai a giocare a calcio nei ragazzi del Torekves.
A 17 ero già in prima squadra
Scusate, ma devo andare veloce.
Nella prima guerra mondiale partii volontario nell’esercito austro-ungarico e durante la 4a battaglia dell'Isonzo venni catturato da voi italiani e internato a Trapani.
Finita la guerra, tornai nella mia Ungheria, ricominciando a giocare a calcio
Tornai in Italia nel 1925 ingaggiato dall’Internazionale di Milano.
Giocai poco, troppi infortuni.
Smisi di essere un giocatore e, seppur giovane, l’Internazionale mi promosse allenatore.
Nel 1926-27 un quinto posto.
Ma l’anno successivo, dopo un settimo posto, venni licenziato.