Tra gli anni Trenta e Quaranta numerosi scienziati ebrei di immenso talento abbandonarono l’Ungheria per sfuggire alle misure antisemite del regime filonazista e si trasferirono negli Stati Uniti, dove diedero un notevole impulso allo sviluppo scientifico.
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Alcuni di loro entrarono a far parte del Progetto Manhattan che sviluppò la prima bomba atomica e due membri del gruppo vinsero il premio Nobel. Almeno, così recita la versione ufficiale.
Leó Szilárd, uno di loro, aveva un’altra teoria, riferita da György Marx nel libro “La voce dei marziani”. Alla domanda di Enrico Fermi «Se l'Universo pullula di esseri tanto intelligenti, dove sono tutti ?» Szilárd rispose «Sono tra noi, ma si fanno chiamare ungheresi.»
Quando l’aneddoto fu riferito a Edward Teller, un altro membro del gruppo, egli apparve nervoso e borbottò: «Von Kármán deve avere spifferato.»
È per via di questo scherzo che gli scienziati del gruppo sono chiamati familiarmente “i marziani”, oltre che “il clan degli ungheresi”.
L’elenco dei “marziani” e dei loro curricula è impressionante. Molti di loro avevano un particolare talento in matematica. Tra questi:
Theodore von Kármán (nato Tivadar Mihály Kármán), matematico, fisico e ingegnere che ha dato il nome a qualche dozzina di concetti di aerodinamica, elasticità e cristallografia, nonché alla soglia convenzionale che separa l’atmosfera dallo spazio;
John von Neumann (János Lajos Neumann), genio universale, autore di scoperte importanti in matematica, statistica, meccanica quantistica, cibernetica, evoluzione biologica, teoria dei giochi, intelligenza artificiale;
Paul Erdős (Pál Erdős), matematico, risolutore di molti problemi matematici, autore di 1500 articoli scientifici;
George Pólya (György Pólya), matematico, autore di contributi fondamentali in calcolo combinatorio, teoria dei numeri, analisi numerica e teoria della probabilità;
John G. Kemeny (János György Kemény), matematico e informatico, co-inventore del linguaggio Basic;
Paul Halmos (Pál Helmos), matematico e statistico, allievo di von Neumann, arterfice di progressi essenziali in diversi campi della matematica;
John Harsanyi (János Károly Harsányi), economista, premio Nobel per l’economia per i suoi studi sulla teoria dei giochi.
Tra i membri del progetto Manhattan ricordiamo invece:
Leó Szilárd (Leó Spitz), fisico, scopritore della reazione nucleare a catena, autore della lettera (firmata ache da Einstein) che convinse Roosevelt a sviluppare la bomba atomica prima che lo facessero i nazisti;
Eugene Wigner (Jenő Pál Wigner), fisico, premio Nobel per il suo contributo alla fisica delle particelle elementari;
Edward Teller (Ede Teller), fisico, autore di scoperte determinanti di fisica nucleare e meccanica quantistica.
Nel luglio 1945, quando la bomba atomica era pronta, Leó Szilárd lanciò una petizione tra gli scienziati del progetto Manhattan per implorare Truman di non usarla e limitarsi a una dimostrazione, altrimenti avrebbe dato inizio a un periodo di devastazioni senza precedenti.
Ma era troppo tardi e la lettera non arrivò mai a Truman. Il vaso di Pandora era ormai aperto. Szilárd ne fu così angosciato che abbandonò la fisica per dedicarsi alla biologia, dove a dimostrazione della propria genialità fece altre grandi scoperte.
Nel 1962 si ammalò di tumore alla vescica e si curò con una radioterapia che aveva progettato lui stesso.
Teller rimase invece per tutta la vita un convinto militarista.
È ironico che il nazismo abbia costretto a fuggire dalla Germania e dalle sue nazioni alleate menti geniali che poi avrebbero contribuito a sconfiggerlo. C’è da chiedersi che cosa sarebbe potuta diventare l’Ungheria se tutti questi scienziati fossero rimasti nel loro Paese.
Questo naturalmente se crediamo alla versione ufficiale; altrimenti, si tratta semplicemente di marziani che sono venuti sulla Terra per difenderci dai nazisti.
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Sapevate che i razzi riutilizzabili con atterraggio in verticale sono stati ideati sessant’anni fa dal figlio di due poveri immigrati siciliani? La storia del geniale Philip Bono è ingiustamente poco conosciuta.
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Giulio Bono e Maria Culcasi sbarcano da Trapani a Ellis Island il 7 gennaio 1920. Trovano casa a Brooklyn e Giulio viene assunto in un pastificio. Philip, il loro secondo figlio, nasce l’anno seguente e la famiglia si trasferisce prima in New Jersey e poi in Pennsylvania.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Philip Bono presta servizio in marina e nel 1947 si laurea in ingegneria meccanica. Lavora per molti anni nell’industria aeronautica, prima alla North American Aviation, poi alla Douglas e infine alla Boeing.
Mi chiamo Vera Florence Cooper e sono nata a Philadelphia nel 1928. I miei genitori sono ebrei immigrati dall’Europa orientale e lavorano come impiegati della compagnia telefonica Bell. Incoraggiano me e mia sorella Ruth a studiare qualsiasi cosa ci appassioni.
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Mia sorella diventerà un importante giudice. Io da grande voglio fare l’astronoma. Mio padre ma mi aiuta a costruire un semplice telescopio con due lenti e un tubo di cartone e mi accompagna regolarmente alle riunioni degli astrofili.
I miei professori delle superiori si stupiscono che una ragazza voglia studiare astronomia: se mi piacciono i corpi celesti, perché non provo a studiare arte e poi dipingerli? Non li ascolto e mi iscrivo al Vassar College, dove nel 1948 sono l’unica laureata in astronomia.
Il 21 luglio 1961 a Cape Canaveral è una giornata nuvolosa. In rampa di lancio c’è un razzo pronto a partire, il Redstone. Gli USA stanno per lanciare il loro secondo uomo nello spazio, due mesi e mezzo dopo Alan Shepard: è un altro ex pilota militare, Gus Grissom.
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La missione durerà solo 15 minuti: è un volo suborbitale, non un’orbita completa intorno alla Terra come quella compiuta il 12 aprile dal russo Jurij Gagarin, perché gli americani vogliono fare altra esperienza prima della loro missione orbitale con un razzo più grande, l’Atlas.
La capsula Mercury 11 raggiungerà una quota di poco meno di 200 chilometri e inizierà la sua discesa, per poi ammarare a circa 300 chilometri dalla costa della Florida.
Il 1° febbraio 2003 lo Space Shuttle Columbia si disintegra durante il rientro in atmosfera, provocando la morte dei sette componenti dell’equipaggio. La tragedia è innescata da un danno avvenuto durante il lancio al “sistema di protezione termica”.
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È un rivestimento necessario per proteggere dal surriscaldamento tutti i veicoli che rientrano in atmosfera, non solo sulla Terra ma anche su altri pianeti, come Marte.
Come le meteore, che rientrando in atmosfera si incendiano e ci appaiono come stelle cadenti, i veicoli spaziali si surriscaldano a causa di due fenomeni distinti.
Ha formato le matematiche che hanno permesso agli Stati Uniti di vincere la corsa allo spazio e ha contribuito a uno dei più importanti razzi della NASA, ma da viva era quasi sconosciuta. Si chiama Dorothy Vaughan ed è la prima manager nera nella storia della NASA.
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Dorothy Jean Johnson nasce a Kansas City nel 1910. È una studentessa fuori dal comune e dopo il diploma riceve una borsa di studio per studiare matematica in un'università dell’Ohio riservata agli afroamericani. Nel 1932 emigra in Virginia con il marito Howard Vaughan.
Nel 1941 Roosevelt vieta la segregazione nell’industria militare. Molti uomini sono impegnati al fronte e c’è bisogno di aumentare la produzione di aerei da guerra, così entrano in fabbrica sempre più donne, anche di colore.
Come si fa a simulare sulla Terra l’ambiente che un satellite trova nello spazio?
Occorrono due cose: il vuoto e il freddo.
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(Avvertenza: questo thread è un po’ tecnico, ma la matematica è ridotta al minimo indispensabile. È sufficiente sapere che un numero elevato alla quarta potenza è uguale allo stesso numero moltiplicato per sé stesso quattro volte e che
la temperatura in Kelvin è pari alla temperatura in gradi Celsius più 273. Per esempio 4 alla quarta fa 256, mentre 27 gradi Celsius sono pari a 300 Kelvin).