Ragioni per cui questo spot Esselunga non funziona, al di là della sua retrograda posizione antidivorzista.
Su tutte, non c'è alcuna significazione del valore di Esselunga: è uno spot generico su quanto la spesa sia parte del menage familiare. (segue)
Dire che ogni spesa è importante vale per il PAM e la Coop, così come per mille altre catene della GDO. Certo, Esselunga è tra i marchi leader del settore e può fare da rompighiaccio (cioè tracciare una strada di cui beneficiano anche altri), ma a che pro? (segue)
Quello che si vede in quei 2 minuti di spot (che la gente vedrà in gran parte in tagli da 30" o probabilmente addirittura da 15") è sì uno "spesa pride", che mette del valore affettivo in un atto quotidiano e necessario, ma lo fa in un contesto un po' triste (segue)
Semmai quello che si vede è una donna che fa la spesa sola, perché il compagno non c'è, e deve pure badare alla bambina. Non è una spesa allegra. Non solo, le immagini in-store sono ansiogene e nessuno pensa "che bei peperoni" mentre è in ansia per la bambina smarrita (segue).
Quindi non si vedono la qualità dei prodotti e del servizio, la convenienza, anzi se non fosse per una inquadratura rapida non si capirebbe nemmeno che siamo all'Esselunga, cosa che trasforma il supermercato in una commodity (cioè i prodotti in cui uno vale l'altro) (segue)
Perfino la pesca poteva essere migliore come look, poteva essere - se proprio si vuole sposare la linea vagamente speculatrice (sul dolore dei figli dei divorziati: cosa per me terribile e scorretta) dello spot - "la pesca dell'ammmore", perfetta come un frutto divino. (segue)
Fare un'iniezione di sentimenti in pratiche commerciali quotidiane non è una novità (dai tempi di "The secret ingredient is love" per lanciare i piatti pronti da scaldare e assolvere le mamme da un patriarcalissimo "senso di colpa"), ma è un'arma a doppio taglio. (segue)
Lo è perché i sentimenti non sono qualcosa che si controlla benissimo e il modo in cui vengono rappresentati, erogati e gestiti nella narrazione si scontra con la soggettività di chi riceve il messaggio, che è selvaggiamente diversa da persona a persona. (segue)
Quello che sicuramente resta, al di là di uno spot mal riuscito, tecnicamente ordinario e molto triste, è la scelta di speculare a fini commerciali su un tema non banale (e quasi sempre doloroso) come lo stato d'animo dei bambini durante le separazioni. (segue)
Non solo, questa leva sul dolore dei bambini è fatta senza contesto, senza approfondimento, senza tenere conto che a volte una separazione è dolorosa ma evita dolori più grandi e prolungati (es. un padre/marito violento in casa), solo per dire "ehi, la spesa è importante" (segue)
Come tutte le forme di pornografia, anche la quella del dolore è superficiale e afasica. Punta tutto sull'effetto dopo pochi secondi e se ne frega della storia che racconta. Per questo lo spot Esselunga per me è non solo inutile a fini comunicativi, ma anche scorretto (fine).
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Ho appena visto la cosa più WTF della settimana nei bagni di un fast food in piena bassa padana in cui ero entrato per lavarmi le mani e la faccia (fa caldo, non so se avete notato).
(segue)
Avete presente gli asciuga-mani ciclonici della Dyson (in questo caso un’imitazione), quelli in cui infili le mani e una lama d’aria le asciuga portando via l’acqua? Ecco, un tizio nel bagno aveva scambiato uno di quelli per un orinatoio.
In sostanza era lì, col pisello infilato di lato che si lamentava ad alta voce del fatto che quello che lui considerava un avveniristico pisciatoio non scaricasse e fosse anche un alto da usare (era sulle punte e non sembrava avere dubbi sul ruolo di quella macchina).
(segue)
Provo a dire una cosa con un po’ più di lucidità, perché di primo acchito mi sono lasciato andare alle bestemmie e credo siano giustificatissime, in questo caso.
Il virgolettato è sempre dalla chat odiosa dei maschi di We Are Social ed è gravissimo per alcune ragioni (segue)
La prima è che parla di una persona che ha realmente abortito. Una reazione così perversa, così crudele, così snuff è una mostruosità indegna di un essere umano. Ma chi può essere così disturbato, crudele e sadico? E davvero nessuno degli altri ha detto niente, qui? (segue)
La seconda è che un intervento di questo genere non è un (già esecrabile, sessista) “gruppo di maschi che parlano di figa” e nemmeno un terribile “gruppo di maschi che degradano sessualmente le colleghe”. Questa è violenza pura, è cultura dello stupro, è cattiveria marcia (segue)
Cosa non va nell'articolo di @Primaonline sullo scandalo #MeToo nelle agenzie pubblicitarie italiane e, nel caso specifico, nella famigerata "chat odiosa" dei dipendenti maschi dell'agenzia We Are Social.
La prima cosa che non funziona è il formato: un'intervista a uno dei tre "capi" della sede italiana di We Are Social, senza che le voci delle vittime abbiano dignità di stampa (e senza che la testata si prodighi a riportare per bene gli elementi oggetto di scandalo) (segue)
La seconda può sembrare una finezza ma è enormemente parte del problema: l'intervista è fatta da uno dei "capi", affiancato dalla responsabile delle HR. Le HR, insomma, schierate a fianco dell'azienda e non realtà terza e neutra tra azienda e dipendenti. (segue)
Tra i commenti alla questione #MeToo nelle agenzie, @Gianuvola ha condiviso l'esperienza della sua agenzia, in cui - dice - c'è una cultura condivisa di rispetto e integrazione e, cosa importante, ci sono in campo precisi strumenti di educazione, controllo e sanzione. (segue)
Ho raccolto qui (malamente, sono pur sempre un copy) il racconto i tweet in cui @Gianuvola spiega (per sommi capi, per questioni di riservatezza aziendale) come fanno e cosa fanno in agenzia da lui per contrastare sessismo, odio, ecc. (segue)
Avrei preferito condividere tutti i singoli tweet ordinati a thread, ma purtroppo non erano twittati uno sotto l'altro e non era possibile (limiti della piattaforma, sorry). Nel caso, li trovate facilmente seguendo il suo profilo, tra le risposte. (segue)
Ricordate la questione del #metoo nella pubblicità di cui avevo scritto giorni fa? (nel caso, seguite il link). Tra le cose più odiose emerse, c’era la notizia di un’agenzia con una chat in cui 80 maschi riempivano di insulti sessuali le colleghe.
È stato uno dei 3 soci dell’agenzia a confermare la voce che già girava da un po’ tra gli addetti ai lavori: l’agenzia della chat odiosa (e quella del file Excel con la classifica della scopabilità delle colleghe) è We Are Social (la sede italiana). (segue)
Finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di parlarne apertamente e, grazie all’intervista di un ex dipendente, sappiamo qualcosa di più.
A quanto pare la chat è andata avanti per anni e vi partecipavano *tutti* i maschi di We Are Social. Tutti.
Ascolto le parole di Romano Prodi al funerale di sua moglie Flavia Franzoni. Parlano di tenerezza, amore, rispetto per le istituzioni, dignità della persona, valore dello studio.
Un altro mondo rispetto ai cori da stadio di pochi giorni fa. (segue)
Alberto Savinio, nella prefazione di “Casa la vita” diceva che la morte è una sineddoche: il modo in cui te ne vai racconta cosa sei stato, come hai vissuto.
Personalmente sento fortissima la differenza tra i due mondi, quello dei cori volgari e quello della dignità. (segue)
Qualcuno dirà che questi sono pensieri divisivi.
Concordo. E mi chiedo: ma è davvero obbligatorio unire? Bisogna fare la media, trovare un compromesso per forza tra due mondi così diversi? (e non ho nessuna remora a dirvi che penso che uno dei due sia migliore). (segue)