"Il fascismo sta cercando di rialzare la testa.
Posso dirlo con cognizione di causa perché io il fascismo l’ho visto in faccia.
Lo abbiamo visto in faccia.
E lo abbiamo sconfitto".
Per questo oggi l’Italia è antifascista.
Per legge, non per opinione.
La Resistenza di noi donne non fu marginale.
Eravamo crocerossine certo, staffette, assistenti, ma abbiamo subito arresti, torture, violenze, deportazioni e fucilazioni.
Migliaia le donne partigiane.
4.653 quelle arrestate e torturate.
2.750 deportate, 2.900 uccise.
E c’ero io
Ricordate i vostri 18 anni?
Immagino di sì, e spero siano stati sereni.
E' un’età importante.
L’affetto dei vostri genitori, gli amici, le giornate in biblioteca a studiare, le serate in discoteca.
O una passeggiata a cavallo.
Un momento della vita particolare, indimenticabile.
I miei 18 anni?
Un ricordo nitido.
Un giorno esatto.
L’11 agosto 1944.
Il luogo? Villa San Prospero.
Un salone, la bandiera della Repubblica di Salò e alla parete i ritratti di Mussolini e Hitler.
Non era una festa, ma un interrogatorio.
Violento, perché io stavo zitta.
Era lui che mi picchiava.
Lui, il camerata Raffaele Raffaeli, un fascista caratterizzato da un estremo fanatismo ideologico, come suo padre.
Mi avevano arrestato alle 10 del mattino.
Ero in bicicletta nei pressi di Marzeno quando i fascisti mi avevano riconosciuto.
“E’ Annunziata Verità, l’amica dei partigiani, di quel bastardo comunista di Marx Emiliani che abbiamo fucilato alla schiena il 30 dicembre del 1943”.
Già.
E in tre mi avevano tirato giù dalla bicicletta e picchiata.
Poi portata con altri contadini a Villa San Prospero.
E poi la decisione.
La fucilazione per me e per loro.
Io, Annunziata Verità, 18 anni;
Carlo Casalini, 50 anni, celibe;
Emilio Nanni, 35 anni, sposato, e con un figlio di 7 anni;
Luigi Sangiorgi, 33 anni, celibe;
Giuseppe Savini, 36 anni, sposato, e padre di due bambini.
“Condannata a morte” a soli 18 anni.
Quelle parole mi risuonarono nella testa tutta la notte. Fino alle 4.00 del mattino quando ci caricarono su un camion.
Con noi una decina di fascisti con mitra e moschetti e alcuni tedeschi.
Direzione?
Il cimitero di Rivalta.
Ci legarono tutti insieme e ci misero davanti al muro del cimitero.
Girati di schiena come si fa con i traditori.
Le braccia sollevate in alto contro il muro.
Non riuscivo nemmeno a piangere.
E poi l’ordine di Raffaeli.
“Plotone attenti!.
Caricare!
Puntare!
Fuoco!"
Oggi è il 25 aprile 2019.
E come ogni anno, io, Annunziata Verità, sono qui davanti alla lapide che ricorda i miei quattro compagni morti fucilati quel giorno.
Eppure dopo i primi colpi ero stata proprio io, Nunziatina, la prima a cadere.
Non so se fu voluto, ma la scarica mi colpì tutte due le braccia che tenevo in alto.
Sentii un gran bruciore e mi lasciai cadere.
Ho ancora le cicatrici dei proiettili che mi trapassarono le braccia.
Mi finsi morta.
Raffaeli diede il colpo di grazia in testa a tutti.
Ma la mia testa era finita sotto quei corpi e il colpo prese di striscio la mia testa.
Non credo ai miracoli.
So solo che sono sopravvissuta.
Mi slegai da sola dalle corde, con i denti.
Quando i fascisti scoprirono che non ero tra i cadaveri io ero già in fuga.
Salva.
Ricordate Raffaele Raffaeli che mi aveva picchiata durante l’interrogatorio e che aveva esploso o colpi di grazia sui miei compagni?
E’ morto tranquillamente nel suo letto nel 1981.
Mai condannato, come gli altri otto fascisti responsabili.
O meglio.
Furono condannati a pene pesanti in primo grado, poi arrivò l'amnistia Togliatti, poi la Cassazione ribaltò le condanne e alla fine degli anni Cinquanta erano tutti liberi.
E Raffaele Raffaeli, il crudele e sanguinario Raffaeli?
A Roma aveva agganci in campo ecclesiastico. Raffaeli non era laureato, ma un prete gli offrì la cattedra di insegnante di italiano al Liceo Classico del Cristo Re.
Con una nuova identità, Antonio Petani.
E’ difficile oggi raccontare l’orrore, il terrore e la paura di quella notte.
Condannata a morte, a soli 18 anni.
Torno sempre al cimitero di Rivalta.
A fianco del cancello di ingresso una lapide con le foto e i nomi dei miei compagni: Qui caddero fucilati il 12 agosto 1944…
Ogni volta che leggete queste storie, provate a chiudere gli occhi e a immaginare quei giorni.
Se vi dicessero che vostra figlia di diciotto anni è stata condannata a morte, come è successo a me?
Quello era il fascismo.
Per quello l'Italia è antifascista.
E questa è la mia storia.
Raccontata magistralmente nel libro "La ragazza ribelle. Annunziata Verità, storia, amori e guerra di una sopravvissuta alla fucilazione fascista" di Claudio Visani.
Scusate.
Vi ho già detto che l'Italia è antifascista?
Per legge, non per opinione.
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Nel thread di ieri sera, che potete leggere nel link sotto, vi ho raccontato perché io, Serse I, sono arrivato alle Termopili.
E come ha aggirato i greci grazie a un certo Efialte che mi ha rivelato un sentiero nascosto tra le montagne. Proseguiamo.bit.ly/3Fya151
Anni fa i Focesi hanno costruito un muro alle Termopili per difendersi dai Tessali.
Quando i miei uomini sono andati in avanscoperta hanno visto alcuni greci “intenti in parte a compiere esercizi fisici in parte a pettinarsi le chiome”.
Il resto allora sarà dietro quel muro.
Ho saputo che dopo varie consultazioni Leonida ha preso la decisione di rimandare indietro il grosso dell’esercito greco rimanendo con i suoi 300 spartani e i 700 opliti tespiesi a difendere le Termopili.
Un sacrificio per permettere loro la ritirata?
Se è così è un folle.
Esagerato.
Parlo dello storico Erodoto, considerato da Cicerone come il «padre della storia».
Secondo lui oggi il mio esercito è composto da oltre cinque milioni di uomini tra guerrieri e personale di supporto.
In più ho 1.207 triremi e circa 3.000 navi da trasporto.
Ma dai.
Siamo tanti, non discuto, ma mai quel numero.
Messi su una strada sola, fossero cinque milioni di uomini, oggi l’avanguardia sarebbe qui alle “porte calde”, mentre la retroguardia ancora ai confini della Persia.
Assurdo.
Come potrei sfamare e dissetare milioni di uomini?
Sinceramente non mi sono messo a contarli uno per uno, ma penso di avere a disposizione circa 200.000 uomini e circa 1.000 navi tra triremi e trasporto.
Un bell’esercito comunque.
Sufficiente per fare quello che non è riuscito a mio padre.
Avevo 13 anni, forse 14, quando entrai nel gineceo di Tai Zong come «concubina di talento».
Tranquilli, era uno dei gradi più bassi.
Ero nata nel 624 nell’odierna provincia di Shanxi, figlia di un piccolo funzionario militare, molto stimato dall’imperatore Taizong.
Ero una delle tante e l’Imperatore non si occupò mai di me.
Ne approfittai per studiare.
Studi classici, poesia, musica, filosofia.
Mi appassionavano anche la storia e la condizione politica del mio Paese.
E soprattutto le condizioni delle donne cinesi.
Fino alla fondazione della dinastia Han la vita per noi donne era stata piuttosto difficile.
Potevamo esse uccise alla nascita, non potevamo avere proprietà private ed eravamo escluse da qualsiasi forma di politica.
Poi qualcosina era cambiato per noi donne.
Se sono arrabbiato?
Se sono arrabbiato?
No, tranquilli, non sono arrabbiato, SONO INFURIATO!!!
Ma cosa vi è venuto in mente di dare a quella storia quell’assurdo significato?
La mia storia voleva renderlo uno spauracchio, da cui stare lontani.
Altro che incentivo.
Me l’aveva raccontata, simile alla mia, un mio arciere, Pellegrino si chiamava, mentre a cavallo percorrevamo insieme la strada che da Gradisca porta a Udine.
Forse per distrarmi, forse per convincermi che in fondo se ne poteva fare a meno, perché nascono solo guai e disastri.
Nel 1524 vivevo, seppur nobile conte, una vita da invalido, dopo aver servito nell’esercito della Repubblica di Venezia.
Ero riuscito a raggiungere il grado di capitano dei cavalleggeri, ma le troppe ferite mi avevano costretto a ritirarmi nella mia villa di Montorso.
Non ero certo diversa dalle altre donne.
Però, malgrado la vita non certo facile, avrei voluto preservare se non la giovinezza almeno un minimo di bellezza.
Sapevo che non era possibile, perché tutti invecchiamo.
Quello che allora non potevo immaginare era il come.
Sì, perché bella ero bella da giovane.
Mi chiamo Mary Ann Bevan e sono nata a Londra il 20 dicembre del 1874 da una famiglia povera e numerosa.
Una delle otto figlie.
Per questo avevo dovuto cominciare presto a lavorare.
Trovando un posto come infermiera.
Avevo ventinove anni quando incontrai Thomas Bevan.
Lui faceva il fiorista e tra noi fu subito amore a prima vista.
Eravamo felici insieme.
Una vita normale.
Quando cominciai ad avere problemi di salute.
Cominciai a soffrire di forti mal di testa e dolori muscolari.
L’uomo è sempre più convinto di essere il padrone incontrastato della terra.
Da millenni ha la convinzione che non esista forza capace di ostacolarlo e di piegarlo a una volontà contraria alla sua.
Se valutiamo le innumerevoli conquiste realizzate certo non si vanta a torto.
Fin dall’inizio.
Dal fuoco alla leva, dalla scrittura all’elettricità, dal motore a scoppio al razzo, dall’aereo supersonico al calcolatore elettronico.
Giusto dire però che quando la natura si scatena nessuna forza umana è in grado di fermarla.
E qui le cose cambiano.
Di fronte a terremoti, uragani e tempeste l’uomo spesso riconosce la propria impotenza.
Come in altre mille piccole cose, l’uomo deve rassegnarsi a non essere il vincitore, bloccato da misteriosi elementi che la natura erge a baluardo della sopravvalutazione umana.