“Sono contrario alla mescolanza perché Il sangue dei neri è di minor valore.
Se lo mescoliamo col sangue dei bianchi finirà per far scomparire la cultura europea”.
L'allievo Josef annuì.
In fondo nessuno poteva contraddire l’affermazione del suo maestro, il dottor Eugen Fischer.
Quelle del suo maestro non erano semplici teorie.
Lui le aveva sperimentate sul campo.
Esattamente nel campo di concentramento tedesco di Shark Island.
Era stato proprio il suo maestro, alcuni mesi prima, a raccontargli tutta la storia.
Fin dall'inizio.
Tutto era cominciato nel 1885, dopo la Conferenza di Berlino, in cui le potenze europee si erano spartite il continente africano.
Alla Germania era stato assegnato anche il territorio noto come Deutsch-Südwestafrika (Africa tedesca del Sudovest), l'attuale Namibia.
Il cancelliere aveva inviato come Commissario imperiale Ernst Heinrich Göring (vi ricorda qualcuno? Era il padre) che istituì un regime basato su lavori forzati, confisca di terre e schiavitù.
I nativi impiegati come schiavi nelle piantagioni di cotone e nelle miniere di diamanti
Non durò molto.
Inizialmente furono il popolo dei Nama a ribellarsi.
Poi nel 1904, stanchi dei continui soprusi, si unirono a loro anche gli Herero.
Fino alla Battaglia di Waterberg, l'11 agosto del 1904. In realtà non fu una battaglia, ma un vero e proprio massacro.
"Tranquilli", li avevano rassicurati i tedeschi, "avvieremo presto i negoziati di pace".
E gli Herero e i Nama avevano deposto le armi.
Senza armi, indifesi erano stati accerchiati dalle truppe tedesche e a colpi di mitragliatrice erano stati annientati.
Sterminati.
“Ripulire, impiccare, fucilare fino a quando non saranno spariti tutti”.
Ma, aveva continuato il maestro, fortunatamente qualcuno si salvò, perlopiù donne e bambini e li rinchiudemmo nel campo di concentramento di Shark Island.
Li usavamo come manodopera gratuita.
Non solo.
Iniziammo ad usarli come cavie.
E così gli aveva raccontato dei suoi esperimenti. Centinaia di esperimenti che avevano avuto sempre gli stessi risultati, diceva.
Mescolare sangue dei neri con i bianchi significava la fine della razza bianca.
Aveva prelevato sangue e tessuti, nonché effettuato misurazioni invasive craniali.
Aveva inventato una scala che si basava sul colore dei capelli: i più puri erano quelli che avevano i capelli biondi, i meticci più “impuri” avevano i capelli neri o con gradazioni di rosso.
Gli studi si erano conclusi nel 1910 con un appello mondiale per impedire la prosecuzione di una "razza mista", e quindi il divieto del matrimonio interrazziale. I discendenti meticci non avrebbero più dovuto continuare a riprodursi.
La lezione era finita.
Josef era euforico.
Non vedeva l'ora di iniziare il suo nuovo lavoro.
Era stato assegnato in un campo dove avrebbe potuto fare qualsiasi esperimento senza responsabilità. L'unico posto al mondo dove avrebbe potuto svolgere tranquillamente le sue ricerche.
“Un giorno il mondo mi sarà grato” pensò.
Stava per arrivare a destinazione e sapeva che questo nuovo lavoro era un'occasione unica e irripetibile: poteva avere tanti bambini per i suoi esperimenti. Poteva analizzarli, operarli, sezionarli e persino ucciderli.
Tranquillamente.
“Oggi è una bellissima giornata di maggio” pensò Josef entrando nel campo di concentramento di Auschwitz .
“Un giorno tutto il mondo parlerà di me, dell’uomo che ha difeso la razza ariana”.
L'allievo Josef avrebbe superato il maestro.
L'allievo Josef, per tutti, Josef Mengele.
Si calcola che dal 1904 al 1908, le vittime complessive Nama ed Herero furono oltre 100.000. Secondo molti storici si trattò delle prove generali in vista del successivo Olocausto nazista.
Solo nel 2015 è arrivato il riconoscimento da parte tedesca delle responsabilità di questo sterminio.
Ma escludendo qualsiasi indennizzo.
La Namibia però non si è arresa.
I discendenti delle popolazioni Herero e Nama hanno citato in giudizio la Germania davanti a una corte federale di New York per ottenere un “equo indennizzo” da parte delle autorità tedesche.
Il processo si è aperto all’inizio del 2017.
Nel maggio 2021, dopo anni di negoziati, il governo tedesco ha firmato un accordo di riconciliazione con la Namibia, in cui ha riconosciuto ufficialmente il genocidio.
L'accordo prevede anche un programma di sviluppo e assistenza finanziaria per le comunità colpite.
Per non dimenticare.
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Nell'ultimo thread di qualche giorno fa, Johannes vi ha raccontato del problema della mancanza di carburante della Regia Marina Italiana durante la seconda guerra mondiale.
Almeno secondo l’opinione dell’ammiraglio Bragadin.
Fosse stato solo quello il problema.
L’ammiraglio Iachino lo mise nero su bianco, quando parlò di una guerra “più assurda che sfortunata”.
E uno dei motivi di quella guerra assurda riguardava proprio me che, laureato in ingegneria, lavoravo all'Istituto Superiore delle Trasmissioni.
Una guerra assurda, portata avanti da un irresponsabile.
Lui la Marina la voleva luccicante, una splendida Marina da parata e da propaganda.
E al diavolo se le navi da guerra non erano dotate di ecogoniometri per gli “avvistamenti” subacquei e di radar per quelli aeronavali.
Me la ricordo bene quella sera.
Era il 26 aprile 1942 e l’Ammiraglio Varoli Piazza mi convocò nel suo studio.
Lo faceva spesso con me, ufficiale della sezione “Attività del nemico”.
Per discutere sulle ultime notizie dei movimenti delle forze navali britanniche in Mediterraneo
La ricordo bene perché capii subito che qualcosa non andava.
Dall’espressione del viso, e poi da quel gesto di vivo sconforto.
Quando mi mostrò quel foglietto.
Solo in quel momento pronunciò quella frase.
“Guarda qui, siamo a zero”.
L’intestazione del foglio era: “Situazione giornaliera delle rimanenze di nafta”.
Cioè il combustibile per far muovere le nostre navi.
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene quando lessi l’ultima cifra: 14.400 tonnellate.
Non era possibile.
Non era possibile.
Da tre anni eravamo al porto di Massaua, nel Mar Rosso, presso il Comando Navale dell'Africa Orientale Italiana in appoggio ai sommergibili.
Nel febbraio del 1941, l’Eritrea, dopo essere stata investita dalle forze britanniche, ormai era condannata.
Eravamo bloccati.
Ma qualche nave avrebbe potuto lasciare il Mar Rosso e salvarsi.
Tra queste la nave coloniale “Eritrea”, la mia nave. Duemilacento tonnellate di dislocamento, velocità massima sui 19 nodi, sei mitragliatrici e due coppie di cannoni da 120/50.
In totale 200 uomini d’equipaggio.
Mi chiamo Marino Iannucci, capitano di vascello e quella che sto per raccontarvi è la storia di un viaggio incredibile.
Una storia che meriterebbe maggior risalto.
Tutto ebbe inizio quando ricevetti l’ordine di abbandonare il Mar Rosso.
E mettere in salvo la nave.
Oggi è il 29 marzo 1941.
Ho scritto un ultimo messaggio alla mia famiglia.
Ho affidato poi il messaggio al mare, dentro una bottiglia.
Povera mamma mia.
Mi chiamo Francesco.
E sto per morire.
Ho solo il tempo di raccontarvi come siamo finiti in questo lembo del Mediterraneo Orientale.
Imbarcato sul Fiume, incrociatore pesante della Regia Marina italiana, classe Zara.
Lui, quello che ha fatto anche cose buone, era piuttosto contrariato per le continue delusioni e i ripetuti rovesci della nostra marina.
Prima la mazzata nella notte di Taranto dell’11 novembre del 1940.
La Cavour quasi colata a picco e la Littorio e la C. Duilio danneggiate.
3 gennaio 1942 – Oggi si sono arruolati nella Marina degli Stati Uniti, assegnati all'incrociatore leggero USS Juneau (CL-52).
Sono George, Frank, Joe, Matt e Al.
Hanno tra i 20 e i 27 anni.
Sono cinque fratelli.
I cinque fratelli Sullivan.
8 novembre 1942 – L’incrociatore USS Juneau (CL-52), con a bordo i cinque fratelli Sullivan, è assegnato alla Task Force 69 (TF 69) come scorta antiaerea della portaerei USS Enterprise.
Sono salpati dalla Nuova Caledonia con un convoglio diretto a Guadalcanal.
13 novembre 1942 – L’incrociatore USS Juneau è coinvolto nella prima battaglia navale di Guadalcanal. E' incaricato di fermare una squadra giapponese diretta a bombardare l'aeroporto di Henderson Field a Guadalcanal.
Un siluro giapponese lo colpisce sul lato sinistro
Oggi è il 31 gennaio 1944.
E non ho molto tempo.
Sta per toccare a me, quindi è il caso che mi sbrighi a raccontarvi la mia storia.
Sono nato a Solt, in Ungheria, il 16 aprile 1896.
A 15 anni iniziai a giocare a calcio nei ragazzi del Torekves.
A 17 ero già in prima squadra
Scusate, ma devo andare veloce.
Nella prima guerra mondiale partii volontario nell’esercito austro-ungarico e durante la 4a battaglia dell'Isonzo venni catturato da voi italiani e internato a Trapani.
Finita la guerra, tornai nella mia Ungheria, ricominciando a giocare a calcio
Tornai in Italia nel 1925 ingaggiato dall’Internazionale di Milano.
Giocai poco, troppi infortuni.
Smisi di essere un giocatore e, seppur giovane, l’Internazionale mi promosse allenatore.
Nel 1926-27 un quinto posto.
Ma l’anno successivo, dopo un settimo posto, venni licenziato.