Ha scioccato innumerevoli osservatori la galleria di immagini pubblicata nei giorni scorsi @ytirawi, fotoreporter di Gaza e collaboratore del sito britannico @bellingcat, che da mesi rischia la vita per documentare gli effetti della guerra.
Tirawi ha spulciato le foto delle truppe IDF pubblicate sui loro profili social e canali Telegram, probabilmente aiutato da collaboratori occidentali e persino israeliani, e quello che si vede supera in orrore persino quello che proviene dai russi in Ucraina.
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Truppe che oltraggiano case devastate, indossano la biancheria intima di donne sfollate o uccise, bruciano ciò che non dev'essere bruciato, organizzano aperitivi tra le macerie e si fanno beffa dei poveracci cacciati via. L'elemento sessuale, diventato così centrale come sappiamo nella propaganda di guerra, emerge con prepotenza dalla documentazione di Tirawi.
I responsabili della diffusione di queste foto non sono tanto ragazzini strappati dalla scuola, ma soldati di grado superiore, scrive il giornalista.
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Mentre c'è una borghesia incattivita e «fallaciana» che organizza convegni per chiedere l'applicazione del termine «femminicidio» per i morti di una parte sola, allontanando così ancora di più la possibilità della riconciliazione, sono oltre 9mila le donne palestinesi morte nella rappresaglia.
Quasi 50 volte quelle morte nell'eccidio del 7 ottobre.
Qui sotto, soldati del 435° Battaglione Rotem (Brigata Givati) che condividono foto in cui mostrano della biancheria intima, reggiseni e infradito ritrovati nelle case di famiglie palestinesi sfollate o uccise.
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Sono immagini che creeranno i militanti di Hamas del futuro, nel migliore dei casi, o i futuri Bin Laden nel peggiore. Quando le piazze pro-Palestina chiedevano alla politica di frenare tutto questo, già l'8 ottobre, non lo facevano per antisemitismo, ma perché immaginavano quello che sarebbe successo.
Sotto, altri soldati del battaglione "Rotem".
Sono immagini che boicottano qualsiasi ipotesi di futura convivenza, con tutto l'oblio forzato che le negoziazioni di pace comportano.
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Dalle foto di Tirawi emerge uno scenario psicotico alla Full Metal Jacket, con una totale assenza di contegno e di senso del dovere da parte dei comandanti, nessun tentativo anche blando di moderarsi.
Ciò che indigna e indignerà sempre di più i giovani, i progressisti e i musulmani sparsi per il mondo non è l'orrore della guerra in sé, ma il fatto che siano i soldati stessi a pubblicare su Internet quell'orrore, in segno di vittoria di sfregio, sapendo che non ci sarà alcuna punizione.
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Per rimediare a questi errori, e al desiderio di vendetta che instigheranno nei popoli dell'area, non basterà il cessate il fuoco.
L'immagine di Israele è stata definitivamente compromessa, comunque vada a finire la guerra: la pulizia etnica definitiva di Gaza sarà una vittoria per Netanyahu, ma il tramonto di qualunque soft power possibile da parte del brand Israele. Per i filoisraliani più rigidi e ottusi è una situazione lose-lose.
Prima si ammetterà che in Europa e negli Stati Uniti il dibattito sulla questione è stato per molti anni ricattato, sequestrato e umiliato da gruppi di pressione spietati, con la complicità di intellettuali che hanno sbagliato tutto quello che potevano sbagliare, prima si potranno evitare tentativi radicali di vendicare le immagini che ci mostra Younis Tirawi.
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💥 Questa mappa che sta girando non è nient'altro che una mappa di tweet. Simbolicamente importanti, certo. Ma il rischio per l'Ucraina è che dopo l'orrore dello Studio Ovale finisca illusa dalla sfilza di espressioni di solidarietà vuote ("as long as it takes" etc.) dell'UE.
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Zelensky ha ragione a ricordare a Trump che l'apporto bellico UE non è stato di molto inferiore a quello USA. Ma, numeri alla mano, l'Ucraina dipende molto di più dagli investimenti (es. Droni) e dall'intelligence USA. Che potrebbe persino, per spingere alla resa, aiutare Mosca.
Kyiv, come ricorda @DM_Deluca, non è prossima al collasso. Ma senza i preponderanti aiuti militari USA, nel medio-lungo periodo la situazione diverrebbe insostenibile. Inoltre, gli USA potrebbero togliere le sanzioni alla Russia e aumentare il prezzo dell'energia per punire l'UE.
💥A rappresentare la Palestina a #Sanremo2025 c’è una cantante. Cristiana. In coppia con l'israeliana, manda in diretta una scena deprimente, contro il senso comune di quasi tutti: l'idea che a Gaza ci sia una guerra e non una pulizia etnica. È la correzione dell'anno scorso:
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La scena melliflua, conformista di oggi capita 12 mesi dopo che Ghali scrive e canta contro le bombe sugli ospedali e viene preso di mira dal #pappagorgismo editoriale. Allora, a 30mila morti già in conto, è massacrato anche il Papa, da una campagna attivistica online.
Il caso però esplode soltanto dopo la lettera di Walter Meghnagi, leader della comunità ebraica milanese, ultra-conservatore, vicino a La Russa, che accusa Ghali di diffondere «odio anti-Israele», nonostante il testo non menzioni il Paese. Solo pochi intellettuali reagiscono.
💥 Ma i nordcoreani, alla fine, hanno davvero combattuto in Russia? Probabilmente sì, ma—sembra incredibile—ancora non ne abbiamo la certezza, e forse non l'avremo per un po'. Il fatto che l'Ucraina abbia dichiarato all'improvviso che queste truppe sono andate via non aiuta.
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Ripercorriamo velocemente la storia: le prime notizie sulla presenza di soldati nordcoreani in Russia, diretti in Ucraina, emergono a ottobre da fonti sudcoreane e ucraine. Stati Uniti e la NATO prima smentiscono, poi definiscono questa eventualità una "significativa escalation".
Da lì, la decisione dell’amministrazione Biden di autorizzare l’Ucraina a colpire più in profondità il territorio russo con i missili ATACMS. Dopodiché la versione ufficiale è che i nordcoreani combattono nella regione russa di Kursk per respingere le truppe di Kyiv.
Questa oscena provocazione, tollerata dalle autorità ma controproducente, riassume 16 mesi di catastrofi comunicative e politiche dei gruppi filo-Israele radicali. Non fermerà le discussioni sul termine genocidio e la strumentalizzazione della lotta all'antisemitismo:
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La studiosa dell'ebraismo Anna Foa, sul Corriere spiega che chiudere la Shoah in una cassaforte identitaria del solo ebraismo è un errore. Accusa la comunità milanese di voler «evitare che si parli contro l'attuale governo israeliano» e rifiuta il paragone tra 7 ottobre Shoah.
Gad Lerner scriveva mesi fa: «Noi ebrei dovremmo ricordarci in questi momenti drammatici di diffidare di certi presunti nuovi amici. Oggi si proclamano paladini della lotta all'antisemitismo, mentre tra di loro ne coltivano proprio gli stereotipi più infami».
Bergoglio sta diventando un problema per la nuova destra reazionaria protestante e il #centroradicalizzato cattolico: rifiuta l'unilateralismo, non indossa l'elmetto e viene perciò attaccato come antioccidentale e antisemita.
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L’elemento problematico di Bergoglio, così com'era di Obama, è che nella sua mappa del mondo, il concetto di Occidente è assente. All'inglese, lingua del capitale globale, Francesco preferisce l'italiano, una scelta politica, non antagonistica. «Il gesuita è un decentrato», dice.
Francesco si è posto da subito come continuatore della linea di Giovanni Paolo II, che dopo il crollo del Muro aveva denunciato l’illusorietà del convincimento di onnipotenza - tipico della politica estera statunitense. Dieci anni fa presagiva una «Terza guerra mondiale a pezzi».
💥 La débacle di Più Libri Più Liberi a Roma va ben al di là del "caso Caffo" di cui tutti hanno parlato, o del problema dell'"amichettismo" di Chiara Valerio: è una brutta storia di un network culturale che non ha più molto da dire e da dare.
Ne esce un bilancio mortifero:
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Valerio è certamente un esempio di potere intimidente sui colleghi nel mondo culturale: come ricorda @ilTuffatoreVr, persino Annalena Benini, direttrice del Salone di Torino, ha recensito il libro di Valerio con toni forzati, quasi obbligati a un entusiasmo che sembrava assente.
In effetti Valerio appare, dopo anni editoriali e interventi TV, incapace di offrire qualcosa di significativo oltre provocazioni superficiali. Da @ilTuffatoreVr un paragone: Tina Cipollari con studi superiori. L’impressione è di una costruzione più di potere che di merito.