Un 🧵radente sul rapporto del Consiglio d’Europa che ha fatto impazzire il governo.
Che la polizia faccia profilazione razziale non è una novità: ci sono decine di testimonianze, per non parlare dei processi – tipo quelli sui carabinieri di Piacenza o sulla questura di Verona.
Ma cos’è la profilazione razziale?
Per la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) è una “pratica persistente” compiuta dalle FdO quando fanno controlli sulla base di “pregiudizi fondati sulla razza, il colore della pelle, la lingua, la nazionalità”.
Secondo il rapporto “Essere neri nell’UE” di qualche anno fa, un quarto del campione intervistato ha detto di essere stato fermato dalla polizia nei cinque anni precedenti alla ricerca.
Il 70 per cento del campione italiano parlava poi di profilazione razziale.
Il rapporto dell’ECRI si è dunque limitato a constatare l’ovvio, aggiungendo che l’assenza di dati ufficiali porta a una sostanziale ignoranza del fenomeno.
Di conseguenza, si fatica pure a considerare la profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionale.
L’ECRI ha poi raccomandato al governo di effettuare uno studio indipendente (com’è stato fatto in UK anni fa) per affrontare la “profilazione razziale” da parte della polizia “che riguardi in particolare i rom e le persone di origine africana” – ossia le persone più colpite.
Di tutta risposta, il governo ha reagito istericamente.
Meloni ha parlato di “ingiurie”. Salvini, con la solita delicatezza, ha detto al Consiglio d’Europa di “portare i rom a casa loro”. Piantedosi ha fatto sarcasmo sul Consiglio, dicendo che nessuno sa di cosa si occupi.
Ma ancora più significativa – e grave, secondo me – è stata la reazione del presidente della Repubblica.
Mattarella ha infatti chiamato il capo della polizia per esprimere “stupore” nei confronti del rapporto e “ribadendo stima e vicinanza alle forze di polizia”.
Di fatto, dal capo dello stato in giù, c’è stata una completa negazione della realtà.
Qui va tutto bene: non esiste la profilazione razziale, né c’è un problema di razzismo all’interno delle FdO.
Il problema è chi lo fa notare; e chi lo fa notare è un nemico della patria.
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Un giovane neonazista di Roma è stato arrestato oggi perché ritenuto "pronto" a commettere un attentato.
È l'ennesima riprova della pervasività e persistenza del terrorismo di estrema destra di nuova generazione - anche in Italia.
Un breve 🧵
A livello ideologico, il 20enne rientra nel modello dell'estrema destra "post-organizzativa": non apparteneva infattina nessun gruppo.
Agiva principalmente online, idolatrando altri attentatori suprrmatisti: su tutti quello di Christchurch, che continua a essere un modello.
L'aspetto più significativo - e preoccupante - è quello operativo.
Oltre ad avere già due armi da fuoco, il 20enne si era procurato il materiale per costruire un'arma stampata in 3D: la cosiddetta FGC-9 (che sta per Fuck Gun Control).
Nel corso di un’operazione internazionale, la polizia italiana ha individuato due giovanissimi neonazisti appartenenti a un gruppo accelerazionista chiamato “Sturmjäger division”.
È l’ennesima riprova che il terrorismo bianco riguarda anche l’Italia.
Di seguito, un 🧵sul caso.
Anzitutto, cos’è l’accelerazionismo di estrema destra?
È una corrente di pensiero che punta al collasso della società attraverso atti di violenza sia casuale che organizzata.
Dalla macerie della democrazia liberale dovrebbe poi emergere un nuovo ordine nazionalsocialista.
Il suo principale teorizzatore è l’americano James Mason.
Mason è stato un militante dell’American Nazi Party.
Tra gli anni ’70 e ’80 ha curato la newsletter “Siege” (“Assedio”), poi raccolta in un libro dei primi anni ’90.
Da settimane influencer, politici e gli account ufficiali di Israele stanno rilanciando una velenosa teoria del complotto: quella secondo cui i palestinesi starebbero fingendo le proprie sofferenze - e persino la loro morte.
La teoria ha anche un nome: "Pallywood". 🧵
Ecco un esempio.
Ofir Gendelman, portavoce del primo ministro israeliano presso il mondo arabo, ha postato una clip che mostrerebbe dei palestinesi intenti a simulare ferite, scrivendo: “NON CASCATECI”.
Quel video però è il dietro le quinte del film libanese “The Reality”.
L’account ufficiale di Israele ha pubblicato tweet in cui: accusa un giovane palestinese di essere un “crisis actor”, scambiandolo per un’altra persona; mostra dei corpi muoversi dentro i sacchi; e dice che i bambini morti sono dei “bambolotti”.
Dopo la presidenza Rai, il giornalista Marcello Foa è tornato con una trasmissione su Rai Radio 1 partita subito col botto, tra elogi a Vannacci e i soliti lamenti sugli “eccessi del politicamente corretto”.
Per l’occasione, un bel 🧵rinfrescante su chi è Foa e come la pensa.
Per inquadrare la questione va detto che il feed Twitter di Foa è una specie di catalogo Ikea in cui trovare di tutto: teorie del complotto qanoniste; elogi a Putin; notizie false sull’immigrazione; retweet compulsivi di account neofascisti; e così via.
La lista è bella lunga.
Qualche esempio.
Foa ha rilanciato – prendendolo dal sito di Maurizio Blondet, uno dei più noti complottisti italiani – la falsa notizia delle “cene sataniche” di Hillary Clinton, uno dei pilastri della teoria del complotto del Pizzagate poi confluita in QAnon.
Il 22 luglio di dodici anni fa, Anders Breivik uccideva 77 persone – 8 con un’autobomba a Oslo, 69 sull’isola di Utøya.
Ancora adesso, si tratta del più letale attentato individuale di estrema destra.
Un 🧵 sull’attentato che ha segnato uno spartiacque nel terrorismo bianco.
Partiamo dalla pianificazione.
Il piano originario era molto, molto più ambizioso.
Erano previste tre autobombe e tre attacchi armati contro il centro sociale Blitz, la redazione del quotidiano Dagsavisen e la sede del Partito socialista di sinistra.
Nel suo manifesto (su cui tornerò dopo) Breivik aveva catalogato i nemici in varie categorie.
La A, B e C contenevano leader politici, giornalisti e collaborazionisti di vario genere.
I bersagli primari erano tutti di classe “A” e “B”, per le quali era prevista la morte.
Il murales di Jorit – o meglio: la propaganda pro-invasione – su un palazzo bombardato di Mariupol è un’operazione che fa già schifo sotto tutti i punti di vista.
Ci sono però alcuni dettagli che la rendono ancora più odiosa, ripugnante e vomitevole.
Un breve 🧵
In un’intervista Jorit ha detto di aver dipinto una “bambina viva del Donbass” che ha “vissuto i suoi primi anni nella guerra”, e spera che “possa vedere il suo ritratto dal vivo”.
Bene: quella “bambina” non è del Donbass, ma la figlia della fotografa australiana Helen Whittle.
Jorit non solo ha preso la fotografia di una bambina a caso su Internet, ma l’ha pure spacciata per un’adolescente del Donbass vittima degli ucraini, ovviamente.
Ora, immaginate cosa può voler dire trovarsi il volto di vostra figlia sul palazzo bombardato di una città occupata.