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Sep 1, 2022, 14 tweets

"L'amministrazione ci dice compagni, lavoro, lavoro, lavoro; poi alzano la velocità media di trapanazione e riducono i salari, insistendo sul fatto che la nostra velocità è bassa e la nostra paga non corrisponde al lavoro prodotto. Ma per se stessi alzano gli stipendi." 1/14

Questa lettera alla Pravda del 18 aprile 1988 di un lavoratore sovietico spiega cosa è la #perestrojka di #Gorbaciov: una politica economica supply side volta a disciplinare il lavoro, legare i salari alla produttività, privatizzare e responsabilizzare il management.
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È lo stesso economista messo da Gorbaciov a capo della Perestrojka, Abel Aganbegyan, a confermarne la natura paragonando in quegli anni la sua azione a quella che Margaret Thatcher aveva compiuto nell'economia del Regno Unito, esprimendo stima nei suoi riguardi.
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La conferma viene anche Commissione di Pianificazione Statale (il famoso Gosplan che elaborava i piani quinquennali) che ha calcolato come previsione iniziale che la Perestrojka avrebbe comportato entro l'anno 2000 una disoccupazione di 16 milioni di lavoratori.
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Tutta la classe dirigente sovietica è consapevole che il sistema economico uscito dal periodo brezneviano sia in profonda crisi, nonostante gli ultimi piani quinquennali abbiano già provato a traslare la produzione industriale dai beni capitali ai beni di consumo.
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Ma il sistema rimane ancora quello del capitalismo di stato, basato su una pianificazione capillare da comunismo di guerra, instaurato da Stalin dal 1928, che era comunque riuscito a portare risultati eccezionali nel periodo di industrializzazione forzata e durante la WWII.
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Dove fallisce però è nella sua capacità di creare il benessere diffuso già promesso da Krushev e nell'incorporare nell'industria civile la tecnologia sviluppata per scopi militari, cosa in cui gli USA invece sono abilissimi, basti vedere il ruolo di Silicon Valley.
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Uscire dalla pianificazione ha però pesanti costi politici, per la nomenklatura che durante Brezhnev è diventata quasi classe: non possiede i mezzi della produzioni, ma li gestisce per lo stato. Ecco che la riforma è quindi top-down: è il lavoratore il suo oggetto.
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L'ostilità e la sfiducia dei lavoratori verso le riforme porta la Perestrojka a fallire già dall'inizio. Ma invece che usare il sistema di Lenin, la NEP, che sarà poi copiata da Deng in Cina, di ripartire dal basso liberalizzando le piccole imprese, si prende un'altra via.
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Si decide di introdurre nelle imprese statali la logica del mercato: autofinanziamento, possibilità di "monetizzare" i crediti, spesso solo virtuali, a bilancio, si iniziano a liberalizzare prezzi e salari.
Ma in URSS non esiste un vero mercato e il risultato è disastroso.
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La monetizzazione dei crediti a bilancio crea una massa di liquidità monetaria incredibile, a disposizione dei manager della nomenklatura, che permetterà a molti di questi di comprarsi pochi anni dopo le loro stesse aziende, diventando gli oramai famosi oligarchi.
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Le imprese poi, agendo sovente in condizioni di monopolio, riducono la produzione, provocando scarsità dei beni, l'esplosione del mercato nero e una ondata di proteste che la Glasnost, cioè la democratizzazione del regime, non riuscirà ad incanalare a favore di Gorbachev.
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Alla fine il partito si spacca, da un lato ci sono quelli che vogliono tornare al vecchio sistema, timorosi che si stia sfasciando tutto, dall'altro quelli che da questo sfascio vedono la possibilità di un futuro di arricchimento personale.
In mezzo Gorbaciov è oramai solo.
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Per approfondire: ho trovato veramente pochi lavori accademici sulla Perestrojka, la maggior parte dei libri sono "instant book" pubblicati negli anni in cui è poi nato il mito di Gorbaciov in occidente.
Consiglio però questo:
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