Capii in quel momento che per me non sarebbe stato un soggiorno sereno.
A tavola spesso mi sputavano nella scodella dicendomi: “Mangia, altrimenti rimarrai un plebeo nanerottolo”. Qualche volta reagivo.
E fioccavano i demeriti.
Tutti si prendevano gioco di me.
E lo scrissi a mio padre. “Strappatemi da questa scuola” gli scrissi, ”oppure datemi i mezzi per sostenermi più onorevolmente, altrimenti vostro figlio continuerà ad essere lo zimbello di questi cafoni”.
Come poteva rimanere indifferente di fronte al dolore di un figlio e a quello che doveva subire a scuola.
Il bullismo nei miei confronti intanto continuava. Ricordo che il bullo che guidava il gruppo si chiamava Alexandre de Fontaine. Ma dovevo tenere duro.
In attesa del giorno che avrebbe cambiato tutto.
Un giorno che cambiò la mia vita.
Era l’inverno del 1783, avevo quattordici anni e il cortile della Scuola militare di Brienne-le-Château era ricoperto di neve.
Fu il bullo Alexandre ad avere l’idea.
Quella di organizzare una battaglia di palle di neve.
Io, il piccolo “la paille au nez” a capo di compagni mingherlini.
Capii all’istante che dovevo fare in fretta. Stabilire alla svelta la mia autorità.
E dopo la difesa, mi misi a capo della squadra d’attacco.
Creammo delle sfere di neve che disponemmo lungo il muro di cinta dietro la nostra base.
Fu allora che mi accorsi che tutti mi ascoltavano ammirati. Avevo stabilito persino il riscatto dei prigionieri. E poi le truppe di rincalzo, le riserve di munizioni. In quel momento nessuno stava mettendo in dubbio la mia leadership.
Anche quelli che mi avevano contestato
Carlo Maria Buonaparte e Maria Letizia Ramolino facevano parte resistenza corsa.