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(l'ultimo sulla storia dell#universita di quel famoso sondaggio, tranquilli)

C'è stato un periodo della storia d'Italia in cui gli studenti universitari erano troppi: gli anni tra il 1870 e la fine della Grande guerra
Troppi in senso relativo, s'intende. Entra infatti a regime una legge, la Casati, che porta il sistema scolastico ad avere un corpo troppo esile e una testa troppo grande. Solo il 2% circa finisce il Liceo, scuola preuniversitaria, ma praticamente TUTTI i suoi diplomati ci vanno
Del resto le università nel Centro-Nord sono tante, anche se non sei proprio una cima ne hai una vicino casa e ci passi qualche anno, prima che papà (che, se tu hai fatto il Liceo, è qualcuno che conta qualcosa) ti trovi un posticino. Al sud sono poche, ma lì...
...se hai fatto il Liceo sei "signore" anche se la famiglia di soldi ne ha pochi, e allora i tuoi anni a Roma o a Napoli li devi fare, a costo di debiti, altrimenti sai che scorno al caffè?
Ecco, questi universitari, selezionati così, erano troppi anche quando erano troppo pochi
Perché parecchi di loro non aveva alle spalle il bagaglio culturale per uscire dai rigidi corsi di allora, dove si insegnava poco ma agli esami si chiedeva molto, con qualche possesso per la vita, e quindi sì, c'era bisogno di insegnanti medi, di funzionari pubblici, ma molti...
...che avevano il titolo per fare quelle professioni non erano un granché. Anche perché metà delle classi di età, le donne, fino al 1875 all'università non ci andava. La legge non lo proibiva, come non proibiva l'iscrizione all'università ai marziani, ma quando...
...qualche ragazza (di solito di origine straniera, che aveva già iniziato gli studi altrove) chiese di iscriversi, ci si interrogava se fosse davvero possibile che succedesse, e Ruggero Bonghi dovette regolare la cosa confermando che l'università era aperta anche alle donne...
...per evitare che qualcuno non ci credesse.
Ma questo corpo di studenti è eccessivo anche per un altro motivo: l'università casatiana ha solo 5 facoltà, che nel 1873 diventano 4 dopo che Teologia, mai vivace in Italia e ora inservibile per i noti contrasti con la Chiesa, chiude
Sono le facoltà classiche, Lettere Scienze Legge Medicina, che nei due ultimi casi soprattutto producono personale non sempre preparatissimo e (soprattutto per Legge) per un mercato ormai supersaturo. Il vero sviluppo della cultura professionale italiana si gioca altrove...
...Nelle scuole di applicazione per ingegneri, e negli istituti superiori che creano dirigenti d'azienda, veterinari, agronomi. E che aprono anche ai diplomati dell'Istituto tecnico, che a inizio '900 sono oltre il triplo, tra i diciottenni, dei signorini usciti dal Liceo
La Prima guerra mondiale fa esplodere, tra i tanti problemi educativi, anche quello dell'eccesso di iscritti all'università, che erano passati da 7000 a 28000 nel 1914 per poi essere 54.000 nel 1919. C'entra, per molti il tentativo (spesso fallito) di evitare l'arruolamento...
...ma ora il governo è di fronte a un bivio: o sviluppa seriamente l'istruzione tecnica superiore facendone un vero sbocco di studio con dignità e possibilità adeguate, o si limita a usare la mannaia per evitare di produrre nelle facoltà classiche gli "spostati"
A potersene occupare seriamente, nel 1923 è un certo prog. Gentile, uno che già dagli occhi non ha l'idea di voler progettare un'università inclusiva e aperta.
Con lui prendere i diplomi che aprono agli atenei (Liceo classico e scientifico) diventa difficilotto...
...a causa di un Esame di Stato che farà la fortuna di molti psicanalisti per 40 anni, e come se non bastasse raddoppia le tasse d'iscrizione (va detto, per finanziare le prime vere risposte organizzate ai bisogni degli studenti meno abbienti, le Opere universitarie)
Aveva un obiettivo e lo raggiunge: negli anni '20 gli studenti tornano sotto i 40.000, contando anche gli istituti superiori. Alla fine del decennio le esigenze di un regime che si regge sul consenso del ceto medio impiegatizio stregato dal sogno della laurea per i figli...
...prendono il sopravvento, si riaprono i battenti e si ricomincia a salire, ma mancando un cervello fino come Gentile al timone, uno che ha un'idea e fa esattamente quello che serve per ottenerla, non ci sono nuovi progetti. Quando studenti tornano troppi per essere gestiti...
... si pensa solo al "numerus clausus" (che detto in latino fa ancora più paura). E il secondo dopoguerra erediterà una comunità politica e accademica che, in quasi tutte le sue sfaccettature, guarderà alla frequenza universitaria come a un problema, e troverà nel mito...
...della selettività gentiliana la soluzione per tutto, dalla carenza di infrastrutture per gli studenti alla meritocrazia.
Solo intorno al 1960 la crescita di studenti verrà vista come qualcosa di utile, e non a caso lo stimolo verrà da fuori dell'accademia: è ricerca SVIMEZ...
...sul fabbisogno di "capitale umano" (grande novità teorica allora) italiano a dire che il miracolo economico ha bisogno di quadri dirigenti, di personale culturalmente preparato, sul quale è bene investire per servizi, assistenza, nuove sedi
Il ciclo di riforme tentato negli anni Sessanta si basa su queste idee, ma chi mi segue sa già come va a finire: nulla di fatto, e provvedimenti sconnessi, come quelli che tra 1961 e 1969 portano alla liberalizzazione delle iscrizioni...
...da qualsiasi scuola si può andare in quasiasi facoltà. E intanto gli studenti aumentano, sono mezzo milione nel 1968, quando cominciano ad agitarsi perché stanno stretti, e raddoppiano ancora nel decennio successivo.

Oggi, che gli studenti italiani siano pochi...
...non lo dovrebbe pensare nessuno. I dati OCSE parlano, noi a inizio anni 2000 abbiamo recuperato ma la nostra percentuale di 24-35 laureati è ancora di un terzo più bassa della media, e in una economia sempre più sostenuta dalla conoscenza è chiaro che non va bene
Ma ancora una volta dalla nostra storia ereditiamo strutture e mentalità: la difficoltà a progettare (e investire in) una didattica per questi numeri; la carenza di infrastrutture, di edilizia studentesca, di investimento nel diritto allo studio ecc.; l'idea ancora diffusa...
...che l'università possa essere ancora oggi una scuola per pochi, e che la nostra economia sviluppata, in una società della conoscenza, si possa reggere sui diplomati; finanche l'idea che l'università non debba essere un'esperienza ricca...
...e di conseguena impegnativa, ma possa limitarsi a essere parcheggio per un pezzo di carta utile solo alle formalità
*avevano
*conseguenza
*prof.
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