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"Vai a vedere il Derby d’Epsom? Come mai?” mi aveva chiesto Mary, la mia migliore amica.
“Lo capirai domani sera leggendo i giornali”, le avevo risposto.
Già, il Derby d’Epsom, la corsa di cavalli più prestigiosa del Regno Unito.
Infatti sono qua, all'appuntamento mondano più importante per l’alta società britannica.
E' presente anche la famiglia reale.
Che giorno è? Il 4 giugno del 1913.
Che ci faccio ad una corsa di cavalli?
Una lunga storia, iniziata anni fa.
Mi chiamo Emily Wilding Davison e sono nata a Londra l’11 ottobre 1872 in una
famiglia numerosa.
Studiavo al Royal Holloway College di Londra. Ero bravissima, ma fui costretta a lasciare la scuola perché mia madre, rimasta vedova, non poteva pagarmi la retta.
Lavorando misi da parte dei soldi e mi iscrissi al St Hugh's College di Oxford per studiare Lingua e Letteratura Inglese.
Ottenni i voti più alti, ma alle donne non era ancora consentito conseguire la laurea in
quella università.
Vi sembra una cosa normale?
“No, una donna proprio non può conseguire il titolo legale, neanche se la più brillante
del corso”.Fu allora che feci mie le parole di Emmeline, fondatrice del movimento suffragista. "Dobbiamo liberare una metà della razza umana: solo così potremo aiutare l’altra metà a liberarsi
E cominciai la lotta. Entrando e uscendo di galera. Se Christabel e Annie avevano interrotto un discorso di Winston Churchill per rivendicare il diritto di voto alle donne, io feci molto di più.
Le donne non potevano entrare nel Palazzo di Westminster?
Io ci passai la notte.
Non solo. Nel 1912 aggredii il politico David Lloyd George. Dopo averlo riempito di botte, mi accorsi di aver sbagliato persona.
Va beh, mi rifeci mesi dopo piazzando una bomba nel cantiere della casa in
costruzione dello stesso Cancelliere dello Scacchiere.
Quando mi arrestarono iniziai lo sciopero della fame.
All’inizio mi imposero l’alimentazione forzata, poi intervennero con quella legge schifosa.
Il Cat and Mouse Act, il rilascio anticipato, poco prima di morire, di prigionieri
indeboliti dallo sciopero della fame
In pratica ci scarceravano quando le nostre condizioni di salute si aggravavano, così
da lavarsene le mani in caso di decesso.
Non potevano permettersi una morte dietro le sbarre, una martire per il movimento.

Un attimo, non vedo quel cavallo.
Eccolo. Ho riconosciuto Anmer dai colori della divisa del suo fantino Jones, il rosso e il blu della Casa Reale.
Anch'io ho indosso i miei colori da suffragetta.
Il porpora della dignità, il bianco della purezza e della libertà e il verde della speranza.
Libertà e indipendenza per noi donne si possono conquistare anche nel 1913, per questo devo compiere un’azione che arrivi dritto al cuore dell’opinione pubblica.
Basta scioperi della fame, basta attacchi ai politici, ma un atto dimostrativo di straordinario impatto mediatico.
Ci sono cinquecentomila spettatori. Pure Re Giorgio V e la Regina Mary.

I cavalli sono schierati ai nastri di partenza.
Un colpo di fucile dà il via alla corsa, e i destrieri si lanciano al galoppo.
E’ l’ultima cosa che ricordo. O meglio. Ricordo di essermi messa davanti ad Anmer il
purosangue di Re Giorgio, con le mani alzate.
Dopo avermi colpita ha continuato la corsa senza il fantino Jones, lievemente ferito alla testa.
Io a terra, priva di sensi.
Prima dell’impatto avevo urlato “Votes for women!. Poi più nulla.
So che mi hanno portato all’Epsom Cottage Hospital, dove sono rimasta quattro
giorni in coma prima di spirare all’alba dell’8 giugno 1913.
Per finire su tutti i giornali.
“Increscioso fuori-programma durante una corsa” scrissero.
Ma il 14 giugno 1913 cinquantamila persone videro il mio feretro percorrere il tragitto
da Epsom a Victoria Station su un carro funebre trainato da quattro cavalli neri.
La regina, augurandogli una pronta guarigione, espresse a Herbert Jones, il fantino rimasto ferito, il suo rammarico per l’accaduto.
Scrisse: “conseguenza della abominevole condotta di quella brutale e lunatica donna”.
Brutale e lunatica io.
Certo, come no.
Oggi nel Palazzo di Westminster c'è una targa per lei, Emily Wilding Davison
“Questo è il modesto tributo ad una grande donna che si è dedicata ad una grande
causa, che non ha vissuto abbastanza per vederla realizzata, ma che ha avuto un ruolo
importante nel renderla possibile".
Il suffragio universale in Gran Bretagna fu proclamato solo nel 1928, in concomitanza
con i Giochi Olimpici di Amsterdam aperti per la prima volta ad atleti di sesso femminile, anche nell’atletica.
Emily Wilding Davison non partecipò a quelle Olimpiadi.
Anche se aveva dimostrato di poter correre più veloce del suo tempo.
Sulla lapide fu inciso anche il motto della WSPU (Women's Social and Political Union): “Atti, non parole”.

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