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"Quale dovrebbe essere lo spirito di un giornale? Quello della verità".
Lo scrissi l’11 ottobre del 1981.
“Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società”.
"Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. Pretende il funzionamento dei servizi sociali. Tiene continuamente allerta le forze dell’ordine…”
“Sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. Persone uccise in sparatorie che si sarebbero potute evitare se la pubblica verità avesse ricacciato i criminali”
“Un giornalista incapace – per vigliaccheria o calcolo – della verità, si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni. le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento!”
A quel tempo ero direttore del Giornale del Sud e quello spirito mi aveva sempre accompagnato. Per esempio nel denunciare Cosa Nostra e il suo maledetto traffico di droga.
“La verità! Dove c’è verità, si può realizzare giustizia e difendere la libertà!”
Già, la verità. Quella stessa verità che a Catania neppure si sussurrava. Non feci sconti a nessuno. Chiamai a rispondere i notabili della città sul sacco edilizio. Non solo. Denunciai persino la rassegnazione degli onesti
La reazione fu immediata. Cominciarono col censurarmi le pagine di denuncia. Organizzarono persino un attentato con un chilo di tritolo. Fortunatamente riuscii a salvarmi. Non contenti mi licenziarono. E il giornale venne chiuso dagli stessi editori.
Rimasi senza lavoro. Molti giornalisti del Giornale del Sud mi avevano seguito, così feci nascere un nuovo progetto editoriale.
Una rivista mensile che si chiamava “I siciliani”. Primo numero nel novembre 1982
Le inchieste riguardavano soprattutto la mafia. Fu incredibile la reazione dell’opinione pubblica a quel mio articolo: “I quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa”.
Mi riferivo a quattro imprenditori catanesi collusi con la mafia.
Feci nomi e cognomi, tutti collegati al boss Nitto Santapaola. Così provarono a comprare il giornale per poterlo controllare. Rifiutai ogni offerta. “I Siciliani” continuò ad essere una testata indipendente. Pubblicammo foto di Santapaola con politici, imprenditori e questori
Ma non accadeva mai niente. Nessun arresto.

“Qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare, perdio. Tanto, lo sai come finisce una volta o l'altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa...”
Era il 5 Gennaio del 1984, intorno alle 21,30. Non feci in tempo a voltarmi né a stupirmi. Sinceramente non mi accorsi neppure di morire. Ma lo avevo messo in conto. Quanto fosse rischioso raccontare la verità, intendo.
Giuseppe Fava, detto Pippo aveva appena messo piede fuori dalla sua Renault. Doveva prelevare al Teatro Stabile di Catania la nipotina di 5 anni Francesca che recitava nella commedia “Pensaci Giacomino” interpretata da Turi ferro.
Nessuno vide chi gli sparò i cinque proiettili alla nuca. Nessuno. E inizialmente la stampa e la polizia parlò di un delitto passionale.
Poi passarono al movente economico.
La mafia a Catania? “Non esiste” dichiarò il sindaco Angelo Munzone.
Pure l'onorevole Nino Drago disse la sua.
"Le indagini deve essere subito chiuse altrimenti i cavalieri potrebbero decidere di trasferire le loro fabbriche al nord".
Per fortuna furono di diverso avviso l'alto commissario Emanuele De Francesco, e il questore Agostino Conigliaro
Ai funerali erano presente in pochi.
Giovani e operai, il questore, alcuni membri del PCI e il presidente della regione Santi Nicita.
Nessun altro.
"A coloro che stavano intanati, senza il coraggio di impedire la sopraffazione e la violenza, qualcuno disse: il giorno in cui toccherà a voi non riuscirete più a fuggire, né la vostra voce sarà così alta che qualcuno possa venire a salvarvi!" (Giuseppe Fava)
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