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Per #artistantecolore voglio parlarvi del marrone. Anche se è impopolare, brutto, smorto, anche se è il colore della merda, il marrone è il colore che ogni pittore, in cuor suo, ama e teme. Sebbene, a dirla tutta, non sia neppure un colore.
Dalla terra siamo stati tratti e alla terra ritorneremo: il mito della creazione dell’uomo a partire dall’argilla ha radici antiche e comuni a diverse culture. Di certo, dalla terra è nata l’arte, perché le ocre sono state i primi colori disponibili,utilizzati nell’arte rupestre.
Come ripeto spesso, l’umanità ha imparato prima a dipingere che a scrivere e, quando questo miracolo è avvenuto, per esprimersi gli uomini avevano a disposizione appena tre ingredienti: la terra, il fuoco e il sangue.
Dicevo all’inizio che il marrone non è un colore. Non lo trovate in nessuna ruota cromatica e non è presente nell’arcobaleno, perché è una sfumatura. Per ottenerlo, bisogna sporcare i colori, mescolandoli fra loro, lavorando sempre sul confine fra il colore e il grigio.
È talmente difficile mescolarli nella giusta quantità per ottenere la sfumatura desiderata, che molti pittori preferiscono creare da soli le proprie sfumature di arancione, viola o verde, ma non rinunciano ad acquistare le sfumature di marrone già pronte per l’uso,
nelle varietà più note, ossia la Terra di Siena, le ocre gialle e rosse, la Terra d’Ombra e il Bruno Van Dyck.
La Terra di Siena è forse la più nota. Come le ocre e le altre terre, si tratta di un pigmento inorganico contenente ossidi di ferro e di magnese, in una miscela caratterizzata da un bella tonalità giallo-dorata.
Deve la sua popolarità alla pittura rinascimentale Toscana, ma esiste in diverse parti del mondo: ad esempio, una delle più pregiate viene da Cipro. A dirla tutta, la cava più famosa in Toscana non si trova neppure a Siena,
ma a Grosseto, sulle pendici del monte Amiata, che però era territorio senese durante il rinascimento. Non varrebbe la pena specificarlo, ma sono Toscana anche io e il campanilismo è un vizio antico.
Comunque, questo attaccamento alla Toscana, insieme all’attrazione per le terre e per le origini dell’arte, mi hanno portata ad indagare più a fondo, scoprendo il lavoro di una designer colombiana che ha voluto pubblicare un lavoro sulla cava dell’Amiata
e sulla sua personale esperienza con la Terra di Siena, che ha ricavato andando di persona ad estrarre la materia prima. Il suo nome è Laura Daza e mi ha fatto venire un desiderio incontrollabile di armarmi di paletta, secchiello e pentolino.
Grazie al suo lavoro, scopriamo le diverse sfumature del Terra di Siena. Potete sfogliarlo qui: issuu.com/lauradaza0/doc…
Tramite la calcinazione, ossia il riscaldamento della terra già setacciata e macinata, si ottengono sfumature brune tendenti al rosso, che variano a seconda della temperatura di riscaldamento. Nel suo lavoro, Laura applica temperature tra i 200° e i 900°C
Un lavoro pleonastico, se si pensa che le terre non hanno mai smesso di essere utilizzate e che tutte le sfumature del marrone sono ampiamente note, ma l’indagine sul campo e il ritorno al colore naturale è un manifesto e una necessità sentita da molti artisti contemporanei.
Se è vero che il marrone è sempre esistito, c’è da dire che fino al rinascimento svolgeva solo una funzione di supporto agli altri colori e, in generale, non godeva di grande considerazione. Nel medioevo e fino al 1400, un marrone valeva l’altro.
Ma il Rinascimento, si sa, cambia tutto. Il marrone diventa davvero importante quando gli artisti cominciano a dedicarsi alla luce: da un’illuminazione diffusa e idealizzata, si passa, nelle tele e negli affreschi, al volere rendere il realistico contrasto tra chiaro e scuro
con scene messe in risalto da fasci di luce direzionati e da volumi che si percepiscono proprio grazie al passaggio sfumato dall’ombra al primo piano illuminato.
Fu la luce e fu l’ombra: si abbandonò l’oro per illuminare e divenne indispensabile cercare la giusta profondità nelle tenebre. Già lo si nota nei ritratti di Antonello da Messina e nei volumi del Mantegna, si afferma con Leonardo da Vinci.
Infine, il marrone diventa predominante nella pittura del 1600 e del 1700, grazie all’uso che ne fa Caravaggio prima e i caravaggisti poi, ma anche Rubens, Rembrandt e un po’ tutta la pittura fiamminga.
Van Dyck ha addirittura dato il suo nome ad un marrone-nerastro, detto anche terra di Cassel, che si ottiene dalla lignite.
Snobbato dagli impressionisti, che preferiscono i colori puri, il marrone conserva il suo fascino ombroso presso gli espressionisti e i primitivisti.
Il Primitivismo non fu un vero e proprio movimento, ma una tendenza trasversale comune a molti artisti di diversa estrazione, che esprimevano una nuova libertà espressiva, alla ricerca di quella scintilla primordiale e vergine, non ancora canonizzata.
Va da sé che l’intento rimanga in parte inespresso, proprio perché frutto di un esercizio intellettuale che, alla fin fine, non ha niente di primitivo, ma, a differenza dell’impressionismo,
circoscrivibile in un determinato tempo (e anche spazio), il primitivismo non smette di fiorire in luoghi e tempi diversi, facendo la fortuna delle tinte “naturali”, dei colori del legno e della terra, ma anche della pelle umana.
Sul primitivismo intendo tornare presto, ma intanto, vi fosse venuta la curiosità di scoprire altri colori, trovate i miei appunti qui: artistante.com/colore/
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