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Questa ricerca dovrebbe far capire 2 cose: il livello di arretratezza delle PMI italiane dal punto di vista della cultura aziendale e la tragica impossibilità dei dipendenti di poter negoziare condizioni di lavoro più sicure neppure in un contesto emergenziale di pandemia. /1
Curiosamente, questi numeri vengono utilizzati a sostegno di una tesi opposta (e a mio avviso errata), formulata dallo stesso autore circa 1m prima, in cui parlava di "consolidata reciprocità di interessi che accomuna datori di lavoro e collaboratori".
ilsole24ore.com/art/troppi-pre…

/2
Sorvolando su quel "piuttosto che" disgiuntivo avanzo la proposta di ripetere oggi quella ricerca indipendente effettuata ad aprile, così da vedere se questa "reciprocità di interessi" è ancora certificabile sul campo e se i lavoratori si sentono ancora "come a casa". /3
Non serve infatti essere un genio per comprendere come quelle percentuali bulgare fossero viziate dal fatto non trascurabile (ma ahimé trascurato dall'articolo) che ad aprile le imprese erano OBBLIGATE a venire incontro ai dipendenti, visto che c'era un lockdown in corso. /4
Partendo da queste premesse, proviamo a descrivere una realtà che possa dare un senso a questi numeri.

A marzo le imprese, per la prima volta nella storia recente di questo paese, sono costrette ad anteporre la salute dei dipendenti al proprio profitto, ovvero a implementare /5
con estrema urgenza forme di lavoro a distanza (o in totale sicurezza) per le funzioni che possono farlo e a interrompere l'attività di tutte le altre.

Ad aprile viene effettuata una ricerca che evidenzia come la quasi totalità dei lavoratori apprezzi questo "sforzo etico" /6
compiuto dalle imprese: uno sforzo, è bene ricordarlo, fatto malvolentieri, con la pistola alla tempia, accompagnato dalle grida di Confindustria e dei suoi riferimenti politici (Renzi, Sala, Fontana, etc) nonché sabotato da iniziative dissennate in stile "MilanoNonSiFerma". /7
Insomma, nonostante le quotidiane urla di dolore e i numerosi tentativi di far saltare il tavolo, si viene inopinatamente a concretizzare quella "consolidata reciprocità di interessi che accomuna datori di lavoro e collaboratori", certificata dalla ricerca di cui sopra. /8
Quanto dura questa "reciprocità di interessi", dove chi può lavora in sicurezza e chi non può viene persino (in parte) sostenuto dallo stato grazie a una pioggia di aiuti (leggi: cassa integrazione) mai vista prima?

Meno di sei mesi.

Nell'istante stesso in cui il governo /9
ha stabilito che le scuole potranno riaprire la maggior parte delle PMI italiane ha deciso che è ora di finirla con questa "grande pacchia" del remote working: chi se ne frega se c'è una pandemia in corso e se il lavoratore rischia di ammalarsi a lavoro o prendendo i mezzi; /10
chi se ne frega se per i dipendenti sarà IMPOSSIBILE dimostrare se il contagio è avvenuto in ufficio oppure no, cosa che rischia di mettere la maggior parte di chi si ammalerà sul lavoro fuori copertura INAIL e di non aver diritto ad alcun risarcimento degli eventuali danni; /11
chi se ne frega se è dimostrato che il remote working, se implementato bene e con la dovuta cultura aziendale, può consentire livelli di produttività pari o addirittura superiori per moltissime funzioni. Le PMI italiane hanno bisogno di presenza, controllo e culi sulla sedia. /12
Questo è, in estrema sintesi, lo scenario lavorativo attuale; ovviamente il discorso sul remote working riguarda soprattutto le aziende che operano nei servizi, ma il problema dell'impossibilità di provare il contagio sul lavoro e accedere al sistema di tutele riguarda tutti. /13
In entrambi i casi non mi risulta che siano allo studio delle soluzioni che vadano in direzione di quella favoleggiata "consolidata reciprocità di interessi che accomuna datori di lavoro e collaboratori" o del voler far sentire il dipendente "come a casa": /14
al contrario, c'è un gran parlare del ripristino dei licenziamenti (c'è persino qualche verme che ha osato dire che toglierlo "avvantaggerebbe i giovani lavoratori", facendoli passare letteralmente sul cadavere dei colleghi più anziani), del blocco all'aumento dei salari /15
e dell'introduzione "rivoluzionaria" di nuovi contratti, ovviamente all'insegna di una serie di vantaggi per gli imprenditori. Ma no, come dice l'articolo siamo noi a pensar male, "come se i titolari fossero tutti arcigni Scrooge interessati esclusivamente al profitto."

/END
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