Thread su clinical trials. Come si pianificano, quali domande cercano di rispondere, chi puo’ accedere etc. Quando abbiamo un farmaco che ha dato buoni risultati in laboratorio, inizia la sperimentazione in pazienti.
Normalmente si inizia con un processo chiamato in gergo “dose escalation”, il che significa che dosi crescenti di farmaco, inizialmente molto basse, vengono somministrate a gruppi ristretti di pazienti al fine di trovare la dose ottimale (non tossica).
Poi inizia la fase I vera e propria, principalmente usata per valutare la tossicità del farmaco. Le tossicità si misurano in gradi (grado 1, 2, 3 e 4) con gradi 3 e 4 ritenuti tollerabili, per le quali comunque si interviene con farmaci adeguati per mitigarle.
Ogni ricercatore è però attentissimo già in questa fase a eventuali risposte cliniche che si possono osservare, anche in soggetti con malattia molto avanzata. Per risposta clinica si intende una riduzione del diametro tumorale di almeno 30% rispetto al volume iniziale.
Ovviamente se il tumore scompare (succede) si parla di risposta “completa”. Una variazione di meno del 30% e fino ad un aumento del 20% è considerato come stabilità tumorale. Se aumenta più del 20% si considera progressione e il paziente normalmente esce dallo studio.
Questi “primi segnali” in fase I sono spesso usati per disegnare studi clinici di fase II, cioè su un campione più numeroso di pazienti con patologie e/o caratteristiche tumorali ben precise.
In questa fase, una parte dei pazienti riceve il nuovo farmaco (o nuova combinazione di farmaci) e un’altra parte riceve le cure normalmente date nella pratica clinica per quelle patologie a quegli stadi.
Sono infatti ormai rarissimi i casi dove un nuovo farmaco viene comparato ad un vero e proprio placebo, per ovvi motivi etici. La fase successiva è la III, dove un campione ancora più numeroso di pazienti viene trattato con il farmaco, magari anche con differenti dosi e o schemi.
Questi studi sono canonicamente quelli che, se positivi, forniscono i dati alle autorità competenti per l’approvazione del nuovo farmaco. Tuttavia non è sempre così. Ci sono esempi di farmaci che, grazie alla loro indiscutibile efficacia...
...(normalmente in soggetti con alterazioni genetiche tumorali particolari), sono approvati prima di approdare alla fase III. Normalmente sono casi dove l’efficacia è talmente evidente che sarebbe non etico non somministrare...
...il nuovo farmaco al più presto al maggior numero di pazienti. Per esempio, il larotrectinib fu approvato senza arrivare alla fase 3 perché’ quasi tutti i pazienti rispondevano benissimo pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/29466156/.
Mi hanno chiesto sul potenziale sviluppo di CAR-T cells in tumori solidi. Mentre per le patologie ematiche questi trattamenti sono già approvati, le cose sono più complicate per altri tipi di tumori.
Nonostante ci siano attualmente trials che stanno arruolando pazienti, molti di questi studi trovano problemi comuni, tra i quali:
1) il tumore solido è più difficile da raggiungere dalle CAR-T cells, 2) i tumori solidi sono normalmente più eterogenei e non tutti esprimono l’antigene a cui sono dirette le CAR-T cells ingegnerizzate.
Per ogni studio, è importante avere un biomarcatore predittivo di risposta, che può essere usato anche per decidere chi può accedere o meno allo studio clinico in questione.
Questo può essere una proteina espressa dalle cellule tumorali o una specifica mutazione genetica che, se presenti, suggeriscono che il tumore sia particolarmente sensibile a determinate terapie mirate.
Per esempio, i farmaci che bloccano la funzione del recettore per gli estrogeni si usano solo nei tumori che esprimono questo recettori, lo stesso vale per il recettore HER2 e così via.
Un esempio più recente può essere la recente approvazione di alpelisib per pazienti con tumore al seno che hanno mutazioni di un gene che si chiama PIK3CA. Solo i pazienti con questa mutazione rispondono a alpelisib pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31091374/.
L’arruolamento dei pazienti può essere anche esclusivamente dipendente dall’alterazione genomica presente nel tumore. Nei cosiddetti “basket” trials, i pazienti vengono arruolati solo se il loro tumore ha una determinata alterazione nel DNA...
...senza contare che tipo di tumore si tratti. Per esempio, in questo articolo viene descritta l’efficacia di neratinib in pazienti con diversi tipi tumorali che hanno in comune una mutazione di HER2.
I biomarkers sono importanti anche per pazienti trattati con immunoterapia. Alti livelli di una proteine chiamate PD1 o PD-L1 sono, ad esempio, predittivi di risposta ai più diffusi agenti immunoterapici.
Anche tumori con molte mutazioni nel DNA (indipendentemente da quali siano) sembrano più sensibili a questi farmaci. Perciò si cerca di arruolare pazienti con queste caratteristiche per aumentare la probabilità che lo studio sia positivo...
e per evitare inutili terapie a pazienti che non risponderebbero. Voglio sottolineare che, anche se a volte sembra che questi studi siano troppo “restrittivi”, è importante che lo studio sia positivo per avere il farmaco approvato e disponibile ai pazienti.
Per quanto riguarda i farmaci verso target “metabolici”: ci sono attualmente farmaci in vari studi, qualcuno con successo.
Inibitori di IDH sono un esempio di successo di questa strategia, ma solo in pazienti con tumori con mutazioni in IDH (sempre per sottolineare l’importanza dei biomarkers). Questi farmaci “toccano” vulnerabilità cellulari molto “downstream”.
In altre parole, interferiscono con meccanismi molecolari fondamentali per tutte le cellule (maligne e non) ed è relativamente difficile trovare una “finestra” terapeutica nella quale il farmaco è specificamente attivo nella cellula tumorale.
In generale, gli studi clinici sono ancora spesso visti come l’ultima spiaggia. Sempre più spesso invece questi studi sono “mirati” a specifiche popolazioni di pazienti e, in alcuni casi, potrebbe persino essere la miglior opzione anche rispetto allo standard of care.
Culturalmente, secondo me, è necessaria una rivoluzione culturale sia negli oncologi che nei pazienti. I pazienti dovrebbero almeno sapere cosa è possibile fare e cosa no dal punto di vista dell’analisi molecolare del loro tumore...
...e cosa questo potrebbe supporre dal punto di vista terapeutico, per l’appunto, l’accesso a clinical trials con farmaci che possono essere efficaci, anche quando sembra che le opzioni terapeutiche siano esaurite.
Infine, si parla molto dei pazienti che hanno partecipato ai trials con i vaccini anti-Covid e che sono sicuramente da lodare. Vorrei solo ricordare che ci sono anche altri eroi che ogni giorno...
...partecipano a centinaia di studi clinici con farmaci o combinazioni di farmaci sperimentali, che magari hanno meno visibilità mediatica, ma che sono sicuramente da ringraziare per il loro contributo.
PS: l'articolo come esempio di "basket trials"...pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/29420467/

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