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Recentemente, mi sono passato un po' il tempo a rivedere le #ASRoma post-Capello e ad ammirare delle rose che hanno cercato, più e più volte, di raggiungere il successo "brasilianeggiando", cioè prescindendo dai tipici crismi catenacciari del pallone italico.
In questo senso, l' #ASRoma ha rappresentato un'eccezione che è andata ben oltre lo stesso #Napoli di #Sarri, che ha fatto ciò per appena un triennio. La Roma ha cercato infatti di dominare il pallone italiano con il gioco per ben due quinquenni (2005-10, 2013-18).
Ma poi, viaggiando in ogni singola stagione, ci rendiamo conto di come ad avvicinarsi al titolo, anzi ai titoli, siano state le #ASRoma più pragmatiche, e talvolta persino bruttine, di questi due cicli. Perché il sistema italico, nel gioco e non, lo puoi combattere solo...
...con modi, per dire alla Stanis La Rochelle, "molto italiani".
La speculazione, la resilienza, il cinismo e la cattiveria sono le uniche e sole armi che ti consentono di primeggiare, o meglio di puntare a primeggiare, nel nostro calcio. Lo capiamo già con il primo quinquiennio.
La prima #ASRoma di #Spalletti è tra le squadre più spettacolari (probabilmente tra le prime due, insieme al Napoli sarriano) della storia del nostro calcio. Aveva un unico difetto quella squadra: il portiere. Doni era una mezza sega e se vedete le sintesi ve ne accorgete.
Nel 2008, l' #ASRoma è stata scippata di uno scudetto meritato. Come disse Daniele De Rossi, la nostra rivale, l' #Inter, in un momento di acclarata difficoltà, riesce a vincere ben nove partite. Parliamoci chiaro: quell'anno, l'Inter si regalò una stagione più da Juve...
...con numeri sui rigori e gol in fuorigioco che nulla avevano da invidiare ai bianconeri di qualche anno prima e qualche anno dopo.

Ma dal canto suo, l' #ASRoma mancò di parecchia cattiveria: pareggiò a Empoli nel turno di Juve-Inter (da 0-2!) e due volte col Livorno.
L'impressione, era quella di una squadra che non si sentisse sufficientemente forte o tutelata, e negli scontri diretti di quegli anni la cosa appariva piuttosto evidente: perdiamo con l'Inter tre volte su tre tra il 2006 e il 2008 in casa, e in due casi prendiamo il poker.
Nel primo caso, prendiamo tre gol (una per chiara colpa di Doni, che aveva mancato la presa anche sul rigore dello 0-1) dopo aver pareggiato la partita, in 10 vs 11. Nel secondo caso, con una nostra conoscenza sulla panca avversaria, prendiamo gol pure da Obinna.
Parliamo, quindi, di una squadra spettacolare, che però si piange troppo addosso e pare impaurita di fronte allo strapotere calcistico - forse anche politico, ma l'Inter, alla fine, ha juveggiato solo per una stagione - della squadra avversaria. E alla fine cede.
La stessa roba la vediamo nel quinquiennio 2013-18. Dopo una stagione da "cattivi" (ci arrivo dopo), per quattro stagioni l' #ASRoma prova a "matare" la Juve con i triangoli, i colpi di tacco, i colpi di genio e le goleade spettacolari.
In tutti e quattro i casi, però, la Juventus ci tiene a distanza di sicurezza. La squadra bianconera viene sempre sospinta dal solito vento a favore. Qui ci sono però due cose da dire, rispetto al quinquiennio 2005-10.
La prima: a Pallotta vengono riconosciuti tanti demeriti, qualcuno di troppo. Uno di questi è certamente quel comunicato con cui getta acqua sul fuoco dopo l'unico Juventus-Roma giocato veramente alla pari con gli avversari, il celeberrimo Rocchi-Roma 3-2 del 5 ottobre 2014.
La seconda, è che mentre la prima Roma "brasilianeggiante" si sarebbe mangiata le mani nella città dove vivo e ho i natali, la seconda #ASRoma spettacolare sembra invece, per dirla alla Sabatini, vincere e perdere le partite allo stesso modo.
L'unica eccezione è proprio quel Juve-Roma 3-2, unico scontro diretto giocato col coltello tra i denti. Poi, analogamente agli scontri diretti con l'Inter, ciascuna partita giocata a Torino è disputata con spirito di rassegnazione, anche grazie a qualche fischio chirurgico.
Un esempio: il 17 dicembre 2016, nella stagione del nostro record di punti, andiamo a Torino a -4 dalla capolista per la gara d'andata. De Rossi viene ammonito per un fallo inesistente già al 10'. Sette minuti dopo segna Higuain con DDR che non può più giocarsi l'ammonizione.
In quella stagione - passata più a litigare che a godersi una squadra fortissima - l' #ASRoma è una all star che scende in campo e sai già che vince. Ma non dà mai l'impressione, eccetto per quelle ventiquattro ore tra Chievo-Roma e Juve-Crotone, di potersi avvicinare.
O di "volersi" avvicinare, forse. O di aver paura di non potersi mai avvicinare, molto più probabile. Una squadra spettacolare, ma poco cattiva, forse perché si sentiva poco tutelata come nel primo quinquennio e nel caso dell' #ASRoma pallottiana anche all'interno di Trigoria.
Per combattere il sistema italico - calcistico e politico - ci vuole cinismo, cattiveria. Lo spettacolo non basta, quasi non serve.

E infatti, come dicevo, le tre #ASRoma post-Capello che si sono avvicinate di più alla vittoria sono state le tre meno belle, forse anche brutte.
La prima è ovviamente quella di Ranieri del 2009-10. La più simile a quella di Capello e la più simile a quella dello scudetto e del post-scudetto, nei risultati, nella capacità di ribaltare risultati avversi e nella serie di imbattibilità.
- Vittoria a Torino, come nel 2001/02;
- Ventiquattro risultati utili consecutivi, come nel 2001/02;
- Sette vittorie dopo parziali di svantaggio, due in più dei cinque successi del 2000/01;
- Il cambio di De Rossi e Totti nel derby come Capello a Torino nel 2000/01.
Ma è proprio Roma - Inter la partita in cui il pragmatismo prevale sulla spettacolarizzazione forzata del pallone. Il 27 marzo 2010 l' #ASRoma si trova a vivere più di una situazione in cui con Spalletti ci saremmo un po' impauriti.
Il pubblico delle grandi (e che grandi!) occasioni, il gol di Milito (tra l'altro in fuorigioco), le occasioni sprecate nostre, l'Inter che ad una certa sembrava poterci far gol da un momento all'altro, il rigore non dato a Brighi e quell'infinito arrembaggio finale nerazzurro.
Ma vinciamo. E vinciamo per 2-1, ponendo le basi per il sorpasso.

Alla fine, come sapremo, vincerà purtroppo l'Inter di Mourinho (e meritatamente, tocca stacce e lo dirò sempre), ma quella rincorsa dell' #ASRoma di #Ranieri quasi vincente dimostra quale siano le armi da usare.
Questo calcio estremamente speculativo viene presa dalla seconda di queste #ASRoma che più si sono avvicinate a quella dello scudetto per cattiveria e voglia di vincere: quella del 2013-14. Difesa impenetrabile, centrocampo di qualità e classe, Totti e Gervinho e daje Roma.
Le dieci vittorie consecutive di inizio stagione vengono sigillate con due 1-0 meravigliosi di quanto abbiamo giocato da schifo: Udine (in 10 vs 11) e Chievo. Ma c'è ben più di una vittoria sofferta ed estremamente significativa, come il 2-1 sull'antipatico Toro di Ventura.
Quell'anno veniamo però puniti da una classifica che premierà la Juventus ben oltre i suoi reali meriti. Ma quell' #ASRoma meravigliosamente rosicona, per niente passiva di fronte alle sconfitte (ricordate De Rossi su Chiellini?) prometteva parecchio bene.
La terza, e ultima #ASRoma di stampo "capelliano" che si è vista e che metto in questa speciale classifica al secondo posto delle Roma "bastarde", dietro solo a quella del 2010, è... sì, lei, la Roma di Di Francesco.
Sicuramente è più merito dei giocatori (in particolare di uno...) se quell' #ASRoma appariva così "cattiva". Diciamo che non credo proprio che Di Francesco sia fautore di un calcio dove vinci le partite sfinendo gli avversari, però quella Roma questo era.
Un concentrato infinito di grinta e voglia di vincere. Una mentalità che dal 2014-15 al 2016-17 francamente non si era vista. A San Siro con il Milan ci prendiamo la vittoria di prepotenza e a Londra ci potevano fare dieci gol, ma noi gliene avremmo fatti undici.
Una Roma che non si rassegnava alla sconfitta, salvo poi piegarsi alla pochezza del suo attacco - Dzeko ad una certa sparì e a momenti spariva davvero - tanto da perdere troppi punti, di cui uno storico a Torino con Schick che mamma mia come cazzo si fa a rimpiangerlo!
Ma quell' #ASRoma, guidata da un portiere fenomenale, non poteva che raggiungere un risultato importantissimo: la semifinale di Champions League. I tre gol al Barcellona che hanno cambiato la storia del calcio (soprattutto del Barcellona) sono la sintesi perfetta di quel team.
Ma, vuoi per la pochezza di Di Francesco e vuoi, soprattutto, per la decadenza di #Pallotta e per i disastri di Monchi, quello non poteva che essere il canto del cigno.

Queste tre #ASRoma "bastarde" sono state, comunque, tutte e tre una brutta copia della Roma di Capello.
Una Roma vincente e bastarda, che però ha originato anche quella dei secondi posti e accontentamose di quelli, prima con quei punti buttati alle ortiche nel 2001-02, e poi con quel 2004 in cui abbiamo ceduto di schianto al Milan, dopo quell'1-2 del 6 gennaio all'Olimpico.
Quella doppietta di Shevchenko ha un po' ammazzato la Roma di Capello. Anzi l'ha cancellata. Il dopo, è stato un susseguirsi di grandi rincorse finite male, di #ASRoma spettacolari finite col cerino in mano e di squadre bastarde che si sono arrese all'ultima curva.
A #Mourinho, l'uomo che ci tolse l'ultimo vero scudetto che avremmo potuto vincere (e con merito, sottolineo purtroppo), il compito di riannodare quel filo e ridarci quella Roma bastarda e vincente. Niente tacchi e punta. Calcio da grandi bastardi. Stavolta per sempre.

#ASRoma

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8 Aug
[THREAD: #Messi]

La verità, è che fin qui tutto andava bene.

Cioè... non proprio benissimo. Ma 9 volte su 10 l'underdog non fa il terzo gol e tu vai avanti, fai un megapippone sulla sofferenza e poi tanto vinci. Vero Leo? Già: è proprio la storia del calcio che va così. Image
L'unico ad essere riuscito a infrangere la legge dell'underdog che poi se lo pija ner culo era stato un greco, sempre su calcio d'angolo: Angelos Charisteas, 4 luglio 2004.
E anche in quell'area, dove tu, Leo, avevi fatto uno dei gol più importanti in carriera, c'era un greco.
Ma che vuoi che sia, Leo!
Siete er Barcellona. De Rossi dopo il gol aveva sbagliato un gol di testa, El Shaarawy era stato fermato da Ter Stegen... dai, la legge dell'underdog si confermerà e tu vinci tutto. Ancora.
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