Il podestà Salvatore Zampaglione era sceso per strada col gonfalone del comune per salutare il battaglione di truppe USA che stava passando per il paese, inseguendo i tedeschi.
Siamo a #Calitri, provincia di Avellino, il 29 settembre 1943.
#storia #resistenza #WWII #Fascismo
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Lo spudorato voltafaccia del podestà fece infuriare i suoi concittadini, affamati da mesi di privazioni che, in un paese vicino, Rionero in Vulture, avevano già condotto ad una rivolta soffocata nel sangue dai nazifascisti.
Passate le truppe alleate, scoppiò la sommossa.
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I rivoltosi, braccianti e piccoli proprietari agricoli, assaltano il municipio e linciano il podestà, riducendolo in fin di vita, poi si dirigono al locale consorzio agrario dove, oltre all'ammasso del grano, si dice che il responsabile abbia imboscato quantità di cibarie.
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“Vari quintali di grano e vari di farina e circa un quintale di olio ed alcuni quintali di leguminose, varie pezze di formaggio, lardo, strutto e pezzi di lardo e prosciutto e due sacchi di pasta, oltre mezzo quintale di zucchero ed anche un sacco di sale.”
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Ne deriva uno scontro a fuoco: il responsabile del consorzio agricolo, Ricciardi, spara ed uccide un contadino, Pasquale Di Nora. La folla dà allora fuoco alla sua casa uccidendo lui e la figlia.
Per evitare altre violenze i rivoltosi decidono di darsi una organizzazione.
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Viene proclamata la repubblica autonoma di Calitri, detta “repubblica di Battocchio” dal nome di uno dei capi degli insorti, con punti programmatici ristabilire l’ordine, regolare distribuzione e prezzi degli alimentari di prima necessità ed espropriare i latifondi.
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Fra gli insorti ci sono anche due antifascisti al confino, Walter (o Carlo) Zavatti e Antonio Lucew, un comunista di origine croate, che danno alla insurrezione un tono nettamente antifascista e di lotta di classe rispetto ad altre "jacquerie".
Ma la "repubblica" dura poco.
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Il maresciallo dei Carabinieri riesce a contattare gli alleati che il 1° ottobre mandano una colonna di soldati che arrestano una quarantina di insorti, rilasciandoli però poco dopo.
La guerra termina, arriva la pace e la democrazia, ma la nostra storia non finisce qui.
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Tre anni dopo, il 27 settembre del 1946, vengono arrestate novantadue persone tra cui il sindaco socialista, nel frattempo eletto. Per cinquantasette viene confermato l’arresto, tra le accuse figura anche quella di strage.
La vicenda diventa un fatto politico.
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Il collegio di difesa viene infatti formato da avvocati socialisti e comunisti, tra cui la figura di maggior prestigio è il senatore Mario Palermo.
Il processo viene celebrato solo tre anni dopo, nel febbraio del 1949, con gli imputati nel mentre in carcere.
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Alla fine quarantacinque imputati vengono assolti ed altri dodici condannati a pene comprese tra i tre e gli otto anni. Soltanto ad un imputato venne comminata la pena di dieci anni di reclusione.
Contro la sentenza la Procura generale ricorre in appello.
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A causa di ciò ancora nel 1950 uno degli imputati, pure assolto, non può emigrare:
“Io mi sono animato di andarmine in Brasile ... per agricoltore e io vorrei fare questo sforzo per vedere se mi capitasse la fortuna che qui non ci possiamo mai saziare di pane..."
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Nel 1975 Manlio Talamo visita quei luoghi per raccogliere testimonianze per il suo libro "Lotte agrarie nel Mezzogiorno : 1943-1944":
"Da allora a Calitri, nulla è cambiato: ancora oggi alle stesse famiglie appartengono i signorotti del paese, legati ai partiti di governo.
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Calitri non appare quasi per nulla mutata; la fame, la povertà, lo sfruttamento sono quelli di sempre…
Da allora vi sono stati duemila emigrati; sono quasi scomparsi i piccoli agricoltori, è rimasto solo qualche anziano impossibilitato a partire”.
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