MASTERS OF METAL by @FabioLisci #MastersofMetal#KenzeNeke dedicated to @krakendas
Parlare dei Kenze Neke significa raccontare di una band che ha rappresentato una delle realtà più importanti ed eccellenti della scena rock sarda, italiana ed europea. Loro sono riusciti a
veicolare tematiche e messaggi di forte impatto sociale riuscendo a coniugare la millenaria tradizione folk contadina ed agropastorale Sarda con solide e moderne basi punk e rock. Per fare ciò non basterebbero 10 thread, provo a sintetizzare il tutto in un solo thread.
I Kenze Neke si formano a Siniscola nel 1989. Il nucleo storico della band nasce intorno a Renzo Saporito, voce e chitarra, ed al batterista Sandro Usai. A loro si aggiunge nel 1990 Toni Carta al basso e alla voce. Il nome “Kenze Neke” che in sardo significa “senza colpa” è
dedicato alla memoria dell’anarchico sardo Michele Schirru fucilato nel 1931 da un plotone di fascisti sardi, a seguito della condanna per aver manifestato l’intenzione di attentare alla vita di Mussolini. Nel 1990 pubblicano il loro primo demo tape, “Chin Sas Armas o
Chin Sas Rosas” con Luciano Sezzi al sax come ospite. La demo contiene 9 tracce tra cui l’omonima “Kenze Neke” dedicata appunto a Michele Schirru; “Amerikanos, A Balla Chi Bos Bokene” canzone di protesta contro le basi militari
americane presenti in Sardegna; “Bette Monkey” è invece presa in prestito da “Monkey Man” dei The Specials, mentre “Prusu A Fundu” è focalizzata sulla rabbia e gli eccessi delle nuove generazioni. Inizia a definirsi il loro stile musicale che mischia
punk, hard rock, blues, reggae bianco e ska a dei testi scritti rigorosamente in “limba” sarda. Già dalle prime canzoni emerge un forte interesse verso la musica tradizionale sarda grazie all’uso del canto a tenore. Nel 1992 incidono il loro primo disco “Naralu! De Uve Sese”
autoprodotto in collaborazione con la Gridalo Forte di Roma. Nella copertina campeggiano la bandiera dei Paesi Baschi e quella irlandese assieme ai quattro mori. La maggior parte della tracklist è composta da brani tratti dall'esordio, tra cui
“Amerikanos a balla chi bos bochene” e “Kenze Neke” ma con nuovi arrangiamenti ed una produzione che rende il sound più curato e pulito. Dalle nove canzoni presenti nel disco emerge il legame forte dei Kenze Neke con la propria terra, la Sardegna.
Nei testi il gruppo affronta tematiche come l’indipendentismo, la presenza delle basi militari sull’isola, la disoccupazione e il disagio dei giovani, la lotta sociale, la solidarietà verso i popoli oppressi, il rifiuto di una società in cui i valori morali e l'etica contadina
e genuina, basata sulla convivenza pacifica ed il rispetto della terra sono visti solo come ostacoli. Musicalmente c’è il recupero in chiave moderna delle sonorità popolari appartenenti alla cultura sarda. Il loro è un crossover trascinante e rabbioso, in bilico tra punk,
il combat rock dei Clash e dei Kortatu, ska, metal e reggae che si fonde con il canto a tenore, alle launeddas e agli altri strumenti sardi. Nel 1994 vede la luce Boghes de pedra, il capolavoro dei Kenze Neke. Puro crossover tra punk, hard rock e folk, sax, launeddas, canto a
tenore e parti recitate; ritmi frenetici che si alternano a passaggi più ricercati. L'album è un omaggio alla Sardegna ed al suo spirito millenario. Fra i brani storici presenti ritroviamo “Su Balente”, “A Nanni Sulis” una dedica folk al poeta Peppino
Mereu, “Su patriotu sardu a sos feudatarios” ballata folkrock basata sull'omonimo inno di Francesco Ignazio Mannu . Il resto del disco si snoda tra rock di matrice etnica (“Eia”, “Una cuppa de cannonau”, “Ammenta”) e brani più veloci ed energici
(“Tempus pertu”, “Tribulios”, hard rock che si fonde al folk). Al disco segue un intensa attività concertistica sia in Italia che all’estero che li vede esibirsi in tutta europa. La band non si ferma, arrivano le compilation assieme ad altri gruppi, “Fabbrika Bulloni” (LP, 1994)
e “Radioira” Il manifesto (CD, 1997), ed uno split mini-CD di 4 brani, “Gherramus tott'impare” del 1996 realizzato assieme ai compaesani Askra. Nella primavera del 1998 esce il terzo album, “Liberos, Rispettatos, Uguales”. E’ la svolta verso l'appesantimento del sound,
già a partire dalle note iniziali della titletrack. Chorus, canto a tenore e chitarre abbassate, mai così lontani dagli esordi. “Pantanu” è una rielaborazione di un canto popolare corso, “Pratobello” racconta la rivolta popolare antimilitarista
dei cittadini di Orgosolo che, nel giugno 1969, fece desistere l’esercito dall’utilizzare la zona come poligono di tiro. “Entula” è il brano più famoso ed apprezzato, anthem generazionale e canzone di rara bellezza. “Mira”, “”Black Panther”
e “Gridu de Vittoria” sono graffianti e rocciose e fanno da contraltare alle ibride “Happo'o latu” e “Muru e' preta”. I suoni sono molto tirati, quasi ska. Si sente la mano in studio di Kaki Arkarazo, chitarrista e ingegnere del suono dei baschi Negu Gorriak. Il 2000 è l’anno
dell'ultimo lavoro in studio pubblicato a nome Kenze Neke, prima dell'ultimo memorabile concerto tenutosi a Solarussa il 19 agosto 2006, davanti a oltre 15.000 fans arrivati da tutta l'isola, con una formazione composta dal nucleo storico
e da altri compagni di avventura che hanno contribuito e rendere mitica l'esperienza dei Kenze Neke . Il disco è una raccolta di grandi classici e due b-sides, con tanti ospiti, iniziando da Lalli (ex-Franti, voce in Barboni e Zente),
Sigaro e Picchio (Banda Bassotti, voce in Kenze Neke), Francesco Di Giacomo (del Banco del Mutuo Soccorso voce in "Gridu de Vittoria") e Maxx Furian (Batteria in tutti i Brani, tranne che in Gridu de Vittoria dove il batterista è Giampaolo Conchedda).
Dallo scioglimento alcuni componenti confluirono qualche anno dopo negli Askra. Verso la seconda metà del 2000 vengono fondati da Renzo Saporito prima i KNA (Kenze Neke-Askra), e poi gli Tzoku. I primi sono semplicemente una fusione delle due bands che
ripropongono live ed unplagged canzoni tratte dalle rispettive discografie. Vi consiglio davvero di riascoltare tutti i lavori dei Kenze Neke, non rimarrete delusi.
Saludos Sorres e Fradis de sa Patria Sarda❤️
• • •
Missing some Tweet in this thread? You can try to
force a refresh
NO! QUESTA NON E' LA SOLITA RECENSIONE SUL SERGEANT PEPPER!
Mi sembra giusto avvertirvi anticipatamente, perchè so che esistono già una decina di recensioni. Quello che dirò in questa però è totalmente diverso da tutto quello che avete letto già.
Almeno per me è così, se non lo sarà per voi potrete sfogarvi tranquillamente nei commenti. Accetto anche insulti pesanti.
Fatta questa piccola premessa di carattere personale, ne faccio un altra che riguarda l'opera: Il Sgt Pepper è sicuramente l'album più incompreso
#Top80 by @gloriapoch72
Run to the Hills è un singolo del gruppo britannico @IronMaiden, pubblicato il 12 febbraio 1982 come primo estratto dal terzo album in studio The Number of the Beast
Raggiunge la 27ª posizione nella classifica stilata da VH1 delle 40 migliori canzoni metal
La canzone parla dell'arrivo dell'uomo bianco nell'America del Nord e delle devastazioni che questo ha portato, raccontato da tre punti di vista: prima quello dei nativi, poi quello degli invasori, infine quello di un osservatore esterno.
Il brano si introduce con le percussioni di Clive Burr, subentra la coppia di chitarre Smith/Murray, uno dei lead più famosi della discografia degli Iron Maiden
Su queste note entra la voce di Dickinson, possente, evocativa, pronta a lanciarci in battaglia
#BluesWorld By @DonPiricoddi
I CANNON'S JUG STOMPERS, 1928 circa. Da sinistra a destra: Gus Cannon (banjo), Ashley Thompson (chitarra) e Noah Lewis (armonica).
Gus Cannon iniziò a registrare, come Banjo Joe, per la Paramount Records nel 1927.
In quella sessione è stato sostenuto da Blind Blake.
Gli Stompers furono registrati per la prima volta al Memphis Auditorium per la Victor Records nel gennaio del 1928. Hosea Woods si è unito a loro, suonando la chitarra, il banjo e il kazoo e fornendo alcuni vocali.
Erano una delle jug band più popolari di Beale Street negli anni '30, suonando i loro numeri classici: "Minglewood Blues", "Pig Ankle Strut", "Wolf River Blues", "Viola Lee Blues", "White House Station", e "Walk Right In",
#Newprogressive@ophet by @boomerhill1968 e @FabioLisci
facciamo un salto in avanti nel nostro racconto del new progressive e ci trasferiamo in Scandinavia dove a partire dagli anni novanta si assiste ad fioritura di band progressive, gruppi che declinano il prog. con tratti e
sound originali e caratteristici. Non si fa riferimento soltanto agli svedesi Flowers Kings di Roine Solt, ma anche agli Änglagård agli Anekdoten ai Landberk ai Sinkadus per citarne solo alcuni, tutti gruppi capaci di dare una propria personale impronta al prog. in alcuni casi
persino contaminandolo con musica folk (White Willow). Un posto a sé occupano gli Opeth, band svedese attiva sin dal 1990. Perchè gli Opeth (e lo dimostra il primo disco che viene poi presentato da Fabio Lisci) fanno soltanto in parte progressive che alternano con naturalezza con
#AlmanaccoRock by @boomerhill1968 il 16 gennaio del 1957 inizia la gloriosa e mitica storia del Cavern Club. In quella data per la prima volta si aprono le porte dell'ex magazzino (warehouse cellar) al 10 di Mathew Street di Liverpool
Alan Sytner il fondatore, si era ispirato ad un jazz club di Parigi, Le Caveau De La Huchette ed aveva l'intenzione di creare il miglior locale jazz fuori Londra.
A suonare per la serata inaugurale sono i Merseysippi Jazz Band supportati dai Wall City Jazzmen, dalla Ralph Watmough Jazz Band e dal Coney Island Skiffle Group. Forse il 31 luglio 1957 vi suona per la prima volta Richard Starckey
La band è composta da musicisti allora molto quotati nel circuito dei turnisti di studio per la loro maestria esecutiva, Flavio Premoli tastiere e voce Giorgio Piazza Basso e Voce Franz Di Cioccio batteria e voce Mauro Pagani flauto violino e voce e Franco Mussida chitarre e voce
Di Cioccio Premoli Mussida e Piazza suonavano ne I Quelli band sostanzialmente beat nella quale per un periodo canta anche Teo Teocoli. Con l'arrivo di Mauro Pagani che aveva suonato nei Dalton la band cambia nome in Premiata Forneria Marconi e abbandona il beat