Non è stato facile appassionarsi alla sfida che domani vedrà fronteggiarsi nelle “primarie aperte” del Partito democratico Stefano #Bonaccini ed Elly #Schlein. #PrimariePD
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Il #Pd, uscito con le ossa rotte dalle politiche dello scorso settembre, ha faticato a comunicare lo scopo di questo congresso, che pure sarebbe interessante di per sé, visto il desolante stato in cui versano i partiti in Italia – ormai tutti ridotti a comitati di leader.
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Il motivo per cui lo scopo è stato mal comunicato è che questo non è chiaro neanche a chi sta dentro il Pd. Si doveva fare una “rifondazione” (magari cambiando anche nome e “status sociale”) o era sufficiente un po’ di “manutenzione”?
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La traiettoria del Pd non lascia molto spazio a dubbi. Il partito, fatta eccezione per la fiammata rappresentata dalla vittoria nelle elezioni europee del 2014 (il 40,8% raggiunto sotto la guida appena insediata di Matteo Renzi),
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sembra avvitato in una parabola discendente irreversibile. In questi anni si sono alternate segreterie con priorità politiche diverse, alcune che guardavano più a sinistra (Bersani, Zingaretti), altre che guardavano più al centro (Veltroni, Renzi),
5/23
con in mezzo alcuni segretari traghettatori il cui impatto è stato per forza di cosa modesto (Franceschi, Epifani, Martina), ma il copione è stato sempre lo stesso:
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opposizioni che di volta in volta lanciano scissioni, dal centro e da sinistra (che si risolvono puntualmente in magri o magrissimi risultati elettorali), opposizioni rimaste dentro che fanno da controcanto al segretario in carica (con alterne fortune).
7/23
Molto noise, poco signal. Questo perché la direzione in fondo nessuno l’ha mai messa finora in discussione.
8/23
Di che direzione parlo? Il #Pd sta dentro con entrambe le scarpe a una tendenza che riguarda tutta la sinistra social-democratica europea: una progressiva “moderatizzazione”, partita dagli anni ‘80, accelerata fra il 1990 e il 2008,
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sostanzialmente arrestatasi (ma senza tornare indietro) dopo la Grande Crisi. In Italia la moderatizzazione è stata se possibile ancora più esplicita, dato che chi veniva dal maggior partito della sinistra repubblicana doveva lavare l’onta di essere stato *comunista*.
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Il #Pd è immaginato da chi lo fonda come il punto d’arrivo, il contenitore perfetto per una sinistra da “fine della storia”, post-ideologica e convinta che per essere votabile è meglio anche togliere la parola “sinistra” dal nome.
11/23
Una lettura spassionata degli eventi degli ultimi 30 anni ci porta all’amara conclusione che, con il tempismo e la fortuna che lo contraddistingue, il Pd è arrivato quando ormai quel treno (la moderatizzazione, la Terza Via, la politica post-ideologica) era passato.
12/23
Il Pd viene fondato mentre si dispiega la più grande crisi finanziaria dal 1929, che negli anni successivi porterà quasi ovunque recessione e impoverimento.
13/23
L’Italia, con la sua insita vulnerabilità, sarà poco tempo dopo (2011) sull’orlo del fallimento, e da lì in avanti sempre “osservata speciale”.
14/23
La vita del #Pd, quindi, è stata tutta in quest’epoca già nuova. La promessa di un domani sempre migliore, di una crescita garantita da liberalizzazione dei mercati e commerci aperti – fondamenta ideologiche del Pd del 2008 – erano capisaldi di quel mondo che finiva.
15/23
Continuare ad abbracciare, più o meno convintamente, quelle fondamenta senza riconoscere il cambiamento in corso, ha messo il Pd come fuori dalla Storia.
16/23
Unico partito con una classe dirigente di buono o almeno discreto livello, ha interpretato in questo mondo nuovo il ruolo di manutentore dell’esistente – malignamente potremmo dire di curatore fallimentare.
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Tornando alla sfida Schlein-Bonaccini, mi chiedo se non rischi di essere il solito copione già visto: la candidata più di sinistra contro il candidato più centrista, ma che alla fine non mettono in discussione quello che il partito è stato. Il rischio che lo sia è alto.
18/23
La discussione sul nuovo manifesto è stata emblematica. Mentre si elaborava il “Manifesto per un nuovo Pd”, che in parte aggiornava le posizioni del vecchio manifesto, specialmente sui temi economici e dell’intervento statale,
19/23
il segretario dimissionario Letta si affrettava a precisare che il vecchio manifesto non abrogava quello del 2008. Anche questa scelta, sfociata nel paradosso di un partito con due manifesti (caso credo unico al mondo), dimostra due cose.
20/23
La prima è che il Pd ha sempre paura di sterzare e vuole sempre dare un’impressione di continuità, a tutti i costi. La seconda è che nel Pd c’è ancora chi pensa che l’orizzonte di valori di un partito di centro-sinistra non sia tutto sommato così cambiato dal 2008.
21/23
Ma l’equilibrismo e l’ostinazione a indossare un vestito inadatto al presente rischiano di dare il colpo di grazia al Pd. Il ricambio necessario è generazionale, ma soprattutto ideologico.
22/23
In un mondo dove crescono le disuguaglianze e cresce la domanda di riduzione delle disuguaglianze (una domanda che trascende le divisioni tra destra e sinistra), un Pd che non si sintonizza (senza ambiguità) con questa domanda muore. Il resto è contorno.
23/23 [fine]
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Interessante da analizzare tutto ciò che il presidente del consiglio riesce a *NON* scrivere in questo messaggio. Andiamo con ordine: 1) Non si dà un nome (violenza, assalto, tentato golpe, fate voi) alle azioni dei bolsonaristi. Tutto ciò diventa “quanto accade in Brasile”. 🧵
2) Non si dice che è inaccettabile la violenza. No, nel furore eufemistico del non dire, a essere inaccettabili sono “le immagini”. 3) La definizione di “irruzione nelle sedi istituzionali” per quella roba là è un’ulteriore carezza.
4) Invece di dire che tutto ciò è incompatibile con la democrazia (suonava troppo diretto, vero?) si preferisce dire che è incompatibile “con qualsiasi forma di dissenso democratico” – che non vuol dire niente, ma offusca il messaggio quanto basta.
Al di là di punti specifici che sono stati già contestati (anche da me), mi preme dire una cosa, che forse non c’entra troppo ma secondo me sì: il *mercato* come lo conosciamo e lo pensiamo non è lo *stato naturale* dell’interazione umana. 👉
È un meccanismo di allocazione delle risorse reso possibile dal funzionamento combinato di molteplici istituzioni *politiche*: diritti di proprietà, forza pubblica, leggi e tribunali, una moneta, infrastrutture. Tutte cose che in assenza dello stato non esisterebbero.
I mercati moderni, poi, mercati finanziari con transazioni virtuali, sono quanto di più *artificiale* ci siamo mai inventati.
Nella #conferenzastampa di oggi #Draghi ha sostenuto che “i principali beneficiari della riforma fiscale sono i lavoratori e i pensionati a reddito medio basso”. Dati alla mano, quest'affermazione è falsa. #Irpef
E non lo dicono faziosi articoli di giornale, ma l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che penso non possa essere accusato di partigianeria.
L’UPB nel suo rapporto del 20 dicembre sulla riforma (upbilancio.it/flash-n-5-20-d…) scrive testualmente: “In termini distributivi si può osservare che la riduzione di imposta in valore assoluto è maggiore nelle classi di reddito medio-alte, [...]
Riguardo all'accordo sulla riforma #Irpef, mi pare di capire che:
– la fascia di reddito fino a 15k rimane invariata con aliquota al 23%;
– meno tasse per le fasce "di mezzo", con quella 15-28k che passa dal 27% al 25%, e quella 28-55k che diventa 28-50k e passa dal 38% al 35%;
– al posto delle due fasce più alte (55-75k e 75k+) ne avremo una sola (50k+) a cui viene applicata l'ex aliquota massima del 43%.
Quali risultati produrrebbe questa riforma?
Per i redditi bassi e medio bassi cambierebbe poco. Chi guadagna 20.000€ risparmia circa 100€ all'anno, chi arriva a 28.000€ risparmia 260€ all'anno.
Nelle misure decise dal governo per contenere la risalita dei casi (tutte condivisibili) manca una seppur minima marcia indietro sul "tutti in presenza" per la pubblica amministrazione. #Covid_19#supergreenpass
Non vaccinati: niente cinema e ristoranti ma per favore continuate a comprarvi il tramezzino al bar. 🙏
Spicca anche, stando alle anticipazioni, che il sistema dei "colori" vada in pensione per sempre. Ogni regione libera di allentare e restringere come crede. Il rischio di un contenimento "a macchia di leopardo" cresce, e non è una cosa buona.
Questo intervento, che critica quello delle allieve della #Normale alla cerimonia di consegna dei diplomi, mi sembra molto debole, sia nello stile argomentativo, sia nelle posizioni che sostiene. Provo a fare alcune critiche.
Gran parte del pezzo ruota intorno al fatto che le studentesse non avrebbero dovuto dire quello che hanno detto, nell'ordine:
– perché non in grado (paragonandole a persone che mettono benzina all'auto e pretendono di parlare di compagnie petrolifere);
– perché “quattro o cinque anni di frequenza universitaria come studentesse e studenti non bastano, di per sé, a mettere queste studentesse e studenti nella condizione di dire cose particolarmente profonde o interessanti sull’università” (neanche fossero delle adolescenti);