Il 28 Giugno 1969 la comunità #LGBTQ+ reagì ad una retata della polizia presso lo #Stonewall Inn di NY, dando inizio ad una protesta che seguì per giorni: quella notte nacque il #Pride.
Tra le prime a ribellarsi, due donne trans e non bianche: Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera.
Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera erano trans, erano povere e con la pelle scura, e lottavano perché questo non fosse una condanna. E quella notte di luna piena del 28 Giugno ‘69, l’estate di Woodstock, tra storia e mito, loro furono tra le prime a far sentire la propria voce.
Marsha P. Johnson nasce nel 1945 in New Jersey, e già da bambina, di nascosto, per gioco, inizia ad indossare vestiti femminili. Quando dirà a sua madre di pensare di essere gay, questa risponderà "essere gay è peggio di essere un cane".
Dopo il diploma si trasferisce a New York e cambia il suo nome in Marsha P. Johnson. A chi le chiede per cosa sta la P., Marsha risponde: “pay it no mind” (non pensarci). In quegli anni diventa famosa come drag queen, tra le più note di NY. Viene fotografata anche da Andy Warhol.
La storia vuole che Marsha sia stata una delle prime ad aver acceso la rivolta di #Stonewall: la giovane si ribellò ai poliziotti e alla loro retata contro il cross dressing, l’uso di capi di abbigliamento non conformi, e la sua rivolta divenne presto contagiosa.
Marsha P. Johnson è stata una figura di riferimento per l’attivismo trans degli anni ‘70, in particolare per la sua lotta contro l’AIDS e per aver fondato la Sweet Transvestite Action Revolution insieme a Sylvia Rivera, prima associazione fondata da donne trans e non bianche.
A partire dagli anni ‘80, Marsha inizia a soffrire di problemi di salute mentale, non ha una fissa dimora e si guadagna da vivere come sex worker. Nel luglio ‘92, il suo corpo viene trovato senza vita nel fiume Hudson.
Come spesso accade nel caso di donne transgender, il caso viene archiviato come suicidio senza particolari indagini: nessuno ha tempo di occuparsi della morte di “un altro omosessuale”. Marsha continua, testarda, a essere scomoda anche dopo la morte.
Nata a NY nel 1951, in un taxi di fronte al Lincoln Hospital, di origini portoricane e venezuelane, Sylvia Rivera visse sempre a NY. Abbandonata dal padre, orfana dopo il suicidio della madre, Sylvia cresce con la nonna venezuelana che presto si accorge dei suoi “modi femminili”.
Per fuggire da una famiglia incapace di accettarla, a soli 11 anni Sylvia scappa di casa e diventa una senzatetto, guadagnandosi da vivere come sex worker. A NY viene accettata e aiutata dalla comunità di drag queens: in loro Sylvia trova la sua vera famiglia.
Leggenda vuole che fu proprio Sylvia a dare inizio alla protesta di #Stonewall lanciando una bottiglia contro un poliziotto. Per anni Sylvia continuerà ad esibirsi come drag, allo stesso tempo prodigandosi per aiutare le persone della comunità #LGBTQ+ abbandonate dalla famiglia.
Nel ‘94, delusa dall’emarginazione delle persone trans da parte della comunità gay, Sylvia decide, in occasione del #Pride, di mettersi alla testa della cosiddetta "marcia illegale", che accoglie tuttə quellə manifestanti esclusə dalla marcia ufficiale.
Negli anni che seguono, l’uso eccessivo di sostanze stupefacenti determinerà un tracollo nella sua esistenza, e il ritorno alla vita da senzatetto. Sylvia tenterà il suicidio più volte, a causa di una profonda solitudine ed emarginazione. Muore a 50 anni, per un tumore al fegato.
“Quanti anni ci vorranno per capire che siamo fratelli e sorelle, esseri umani?” - Marsha P. Johnson
“Non possiamo più essere invisibili. Non possiamo più vergognarci per ciò che siamo.” - Sylvia Rivera
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