Thread by @JohannesBuckler

«Troppo piccola» mi dissero.
«Non possiedi i giusti parametri fisici per giocare ad alto livello. Non potrai mai giocare in Nazionale». E io non capivo.
Amavo quello sport. Avevo cominciato a giocarci a dieci anni e dopo soli tre anni avevo esordito nel campionato nazionale.

Nel campionato nazionale riservato alla mia categoria? A quelle della mia età? No. Proprio nel campionato nazionale cubano di pallavolo femminile. Niente male per una di 13 anni. Ero piccola, è vero, rispetto alle altre, ma volevo giocare in Nazionale.Lo volevo con tutto il cuore

Se sei piccola e vuoi giocare a pallavolo ad alto livello non sono molte le possibilità.
Scelsi la più difficile, la più complicata.
Salto dopo salto, saltare il più in alto possibile. E da lassù farmi notare. Ci riuscii.
E a 15 anni il mio esordio in Nazionale.

Il mio primo grande trofeo a 16 anni.
Con la medaglia d'oro ai Giochi panamericani del 1983. Avevo 18 anni quando nacque mia figlia. Pochi mesi dopo ero già in campo giusto in tempo per vincere l’argento ai Campionati mondiali.
Dimenticavo.
Mi chiamo Mireya Luis.

E poi i Giochi panamericani, (vinti per quattro volte di fila). Nel 1989 la Coppa del Mondo, vinta anche nel 1991 e nel 1995. Nel 1992 a Barcellona la prima medaglia d'oro olimpica. Oro pure ai Giochi di Atlanta 1996 e alle Olimpiadi di Sydney 2000.

Per non parlare dell’oro nei Campionati del Mondo del 1994 e del 1998. In quelli del 1994 fui giudicata come miglior attaccante dei Campionati. Eravamo una squadra fortissima. Tanto da vincere tutte le partite con il punteggio di 3-0.

Lo so, la pallavolo femminile non ha il seguito che hanno sport come il calcio e il basket.
Ma c’è un motivo se Johannes mi ha inserita tra le sue storie.
Se per due anni è venuto in tribuna a vedere tutte le mie partite. A vedermi giocare.
Un motivo legato alla sua terra.

Tutto ebbe inizio nel 1998, quando finalmente il governo cubano prese una decisione storica. Quella di permettere alle giocatrici di pallavolo cubane di poter andare a giocare all’estero.
Vietato fino a quel momento.
Fu così che lasciai la mia Cuba.

Destinazione? Bergamo. La squadra?
La Foppapedretti Bergamo.
Una squadra giovane, che aveva esordito in Serie A solo nella stagione 1994-95.
Con l’arrivo della grande Keba Phipps aveva iniziato a vincere Campionati, Coppa dei Campioni, Coppa Italia e Supercoppa Italiana.

La grande Keba Phipps.
Dall’alto del suo metro e 93 era un gigante rispetto a me. Ai miei 1,75 scarsi.
In due anni che rimasi a Bergamo conquistammo altri due scudetti, la Supercoppa italiana e una Coppa dei Campioni.
Poi le mie ginocchia cominciarono a scricchiolare.

Già, perché ogni volta non era semplice scendere da lassù. Salire da un metro e 75 fino al cielo e poi scendere.
Già, salire in cielo, esattamente fino a 3 metri e 39. E da quell’altezza riuscire a schiacciare. Ma era stato l’unico modo per giocare ad alti livelli.

La nazionale cubana degli anni ’80-’90, malgrado le rinunce ed embarghi ai giochi olimpici di Los Angeles ’84 e Seoul ’88, fu una vera "macchina" da pallavolo. E Luis Mireya, la locomotiva. Dotata di una enorme potenza nelle gambe è una leggenda vivente della pallavolo mondiale.

«Troppo piccola» le avevano detto. «Non possiedi i giusti parametri fisici per giocare ad alto livello».
Eppure Luis Mireya è stata la giocatrice più forte al mondo. Inserita tra le dieci migliori di tutti i tempi con atlete come Serena Williams e Nadia Comaneci.

«Per questo voglio dire alle giovani pallavoliste di non arrendersi mai, nonostante le difficoltà, di allenarsi sempre con il massimo della serietà e di onorare in ogni gara la maglia che si indossa». Nella pallavolo, come nella vita. Non arrendersi mai.
bit.ly/3fqD60Q