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Forse non avrei dovuto venire ai mondiali. Sento di non essere pronta, di non essere all’altezza dopo tutto quello che mi è successo. Ma oggi è il 13 agosto 1995, compleanno del Líder Máximo, il mio più grande sostenitore.
E qualcosa vorrà dire, visto che mi chiamo Ana Fidelia.
Ma basterà? Non sono più l’atleta di un tempo.
Non sono più nemmeno la donna di un tempo.
In attesa dello start vi posso raccontare qualcosa di me e di quello che ero.
Cominciando dall'atleta.
La mia specialità? I 400 e gli 800 metri piani.
Il primo risultato importante fu l'argento mondiale del 1991, cui fece seguito il bronzo ai Giochi olimpici dell'anno successivo a Barcellona.
Ero destinata ad una grande carriera dopo quei risultati.
E che risultati.
Era il 9 settembre 1989 quando corsi a Barcellona gli 800 metri sotto l’1’55”. Esattamente 1’54”44. Una delle pochissime donne al mondo (ancora oggi) ad esserci riuscita. E poi il giro della morte, come vengono chiamati i 400 metri.
A L'Avana, il 5 agosto 1991, corsi in 49”61.
Era l’inizio di un dominio che durò tre anni. Trentanove vittorie consecutive tra 400 e 800. Con quei tempi oggi non avrei problemi a vincere.
Però sono arrivata alla finale in questi mondiali di Goteborg.
E me la voglio giocare malgrado quello che ho passato.
Mi chiamavano Tormenta del Caribe, tempesta dei Caraibi per come sprintavo negli ultimi metri.
Quello che si abbattè su di me quel 23 gennaio del 1993 fu qualcosa di più di una tempesta. Fu un autentico tornado.
Che sconvolse la mia vita.
Ero innamorata di Javier Sotomayor, primatista mondiale e oro a Barcellona.
Ero al settimo mese di gravidanza e come tutti i cubani, causa l’embargo, alle prese con problemi di riscaldamento.
Non so perché scoppiò quella bombola in cucina.
Una fiammata. E poi l’ospedale.
In gravissime condizioni.
Con ustioni sul 38% del corpo.
Ustioni di terzo grado: sullo stomaco, sul collo, sotto le braccia.
Dovettero farmi partorire prematuramente. Ma la bambina morì una settimana dopo.
Povera mia bambina.
Castro venne a trovarmi e gli giurai che sarei ritornata a correre. E a vincere.
Poi mi portarono uno specchio.
E il mondo mi cascò addosso.
Perché non ero più la stessa donna.
Ero orribile.
“Non ero più una donna. Ero un mostro. Nulla, non potevo fare nulla: chiudere le mani, alzare le braccia, mangiare da sola. Ho solo urlato. Ho odiato i medici, mia mamma, le mie sorelle. Piangevo e gridavo: dovevate farmi morire”.
La storia con Sotomayor finita. Poi la perdita della mia bambina. Mi restava solo il mio primo amore. La corsa.
Le gambe non avevano subito danni e dopo pochi mesi mi presentai al campo dal mio allenatore Leandro Civil.
Nemmeno lui era convinto che ce l’avrei fatta.
Invece sono ritornata. E sono qui a correre la finale degli 800 metri ai mondiali.
Con dei buchi nelle ascelle, dove i medici hanno estratto pelle da applicare sulle braccia. Segnata in più punti. Con la faccia che non è più la faccia di un tempo.
L’ultima operazione un anno fa
Ma non voglio essere considerata un caso umano.
Voglio tornare ad essere una grande atleta.
L’avversaria più forte, la Mutola, è stata squalificata nel turno precedente per invasione di corsia. Mi dispiace.
Perchè lei era stata l’unica a venirmi a trovare in ospedale.
Ana Fidelia Quirot, questo il suo nome completo, quel giorno vinse l’oro ai mondiali di Goteborg con un grandissimo tempo. Tornata ad essere la splendida atleta che tutti avevano ammirato.
Ma non finì lì.
bit.ly/2AdfSeq
Continuò a vincere. E ad Atene, il 9 agosto 1997, a 34 anni e alla fine della carriera, vincerà ancora l’oro battendo tutte le più forti. Dimostrando al mondo cosa significa avere forza di volontà per superare un incidente che l'aveva quasi distrutta.
bit.ly/2SNCHfd
Ana Fidelia Quirot ha sposato un italiano di Torino. Hanno due figli, Alberto Alejandro e Carla Fidelia.
Era a Torino a gennaio quando è scoppiata la pandemia. E’ riuscita a tornare nella sua Cuba. Dove cuce mascherine per la sua famiglia e gli amici
“Ai miei figli ma a tutti i giovani, maschi e femmine non importa, mando un messaggio: se volete un futuro migliore tocca a voi dire di NO a tutto questo male perché per ogni essere umano vivere in pace è un bene imprescindibile”.
Grazie a @silvana74615271 per avermi suggerito di raccontare la storia di Ana Fidelia Quirot, la Tormenta del Caribe.
Una donna che non si è mai arresa.
Che è tornata a vincere in pista.
Perché la sua battaglia con la vita, l’aveva già vinta.
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