Quando scrivo una storia riguardo la Shoah mi pongo ogni volta la stessa domanda: “Quante storie, passate dai campi di sterminio e dai loro camini, sono state raccontate?
E quante invece dimenticate?
Quante?
“Scommetto che se tu dipingessi quello che hai nel cuore, finirebbe appeso in un museo” scrisse un giorno Chuck Palahniuk.
Io vi dirò di più.
Sono certa, che se ognuno potesse dipingere la propria vita, tutti i quadri finirebbero in un museo.
Perché in un museo ci sono finita anch’io.
In quel quadro c’è solo una bambina, è vero, ma dentro c’è la mia vita e quella dei miei figli. Vite che vanno raccontate.
E la mia, comincia proprio da quel quadro.
E da lui. Che lavorava su commissione.
Era stata mamma a conoscerlo e a chiedergli di dipingere me e le mie sorelline.
Mamma, Luisa de Morpurgo, triestina, che aveva sposato papà, il conte Louis Raphaël Cahen d'Anvers.
Famiglie di banchieri.
Entrambi ebrei.
Già, lui, Pierre-Auguste Renoir.
Fu lui che nel 1880 realizzò il mio ritratto.
Un dipinto a olio su tela che voi conoscete con il mio nome.
“Ritratto di Irene Cahen d'Anvers”.
Avevo otto anni all’epoca.
Renoir non dipinse solo me.
L’anno dopo dipinse anche le mie sorelline, Alice ed Elisabeth.
Alice, a sinistra aveva cinque anni. Elisabeth di anni ne aveva sei.
Il quadro lo conoscete come "Pink and Blue". Povera Elisabeth.
A differenza di Alice, che è vissuta fino al 1965 ed è morta a Nizza all'età di 89 anni, Elisabeth finì ad Auschwitz a causa della sua discendenza ebraica, malgrado si fosse convertita al cattolicesimo in giovane età.
E’ morta lì nel marzo del 1944.
Questi due quadri oggi voi li considerate dei capolavori. Non fu così per i miei genitori. Tanto che evitarono di esporli nei saloni di casa. Almeno io non li vidi mai.
Forse furono appesi negli alloggi dei domestici o chiusi in qualche armadio.
Per questo ritardarono il pagamento.
Renoir alla fine ricevette solo 1500 franchi, una miseria per l’epoca.
La mia vita? Nel lusso. Un fantastico via vai di letterati, diplomatici e politici.
Marcel Proust e Paul Bourget tra questi.
Se ho avuto figli? Certamente.
Dopo aver sposato nel 1891 il conte Moïse de Camondo, un banchiere e collezionista d'arte francese, avemmo due figli.
Nel 1892 nacque Nissim.
Due anni dopo, nel 1894, Béatrice.
Divorziammo nel 1897 quando scoprì la mia relazione con il conte Carlo Sampieri (che poi sposai).
Mio marito riponeva molte speranze in Nissim. Come erede del suo impero.
Ma Nissim si unì all'esercito francese per combattere nella Grande Guerra. Morì durante un’azione nel 1917
L’altra nostra figlia Beatrice, unica erede della sterminata fortuna ereditata dal padre, nel 1918, sposò il compositore Léon Reinach.
Ed ebbe due figli, Fanny e Bertrand.
Si sentiva al sicuro dopo l’arrivo dei nazisti a Parigi.
Aveva ereditato la nostra passione: i cavalli. Partecipava, portando una piccola stella gialla sulla sua giacca da cavallo, ai concorsi ippici cui prendevano parte anche gli ufficiali tedeschi che in quel momento occupavano il nostro Paese.
Avrebbe dovuto ascoltare suo marito quando le consigliò di lasciare la Francia portandosi dietro i loro figli.
Pensava che la sua posizione sociale fosse di fatto inattaccabile. Si sbagliava.
Era il maggio del 1942 quando arrestarono suo marito e i due figli.
“Perché non indossano la stella ebraica” scrissero i nazisti. “Presenta tipici caratteri ebraici” scrissero del marito di Beatrice. Furono portati nel campo di internamento e transito di Drancy. E poi, il 20 novembre 1943, al campo di concentramento di Auschwitz. Convoglio n. 62.
Béatrice fu arrestata e deportata più tardi. Partì per Auschwitz, sul convoglio 69, il 4 marzo 1944.
Fanny fu la prima a morire. Dopo solo una settimana. Nessuno di loro è mai tornato.
Io, Irene Cahen d'Anvers, la bambina dai capelli rossi dipinta da Renoir, fui l’unica superstite. Grazie al nome italiano del mio secondo marito riuscii a nascondere le mie tracce.
Sono morta nel 1963.
E il quadro con il mio ritratto?
Trafugato nel 1941 dai tedeschi e consegnato a Goering. Ricomparve nel 1946 In una mostra parigina intitolata "Capolavori delle collezioni francesi trovate in Germania". Acquisito da Emil Georg Bührle , un industriale svizzero, oggi si trova a Zurigo, nella Collezione Bührle.
Grazie a @A__Lamborghini per avermi chiesto di raccontare la storia di Irene Cahen d'Anvers e della sua famiglia.
Una delle tante storie di vittime della follia nazista.
Una delle tante storie che vanno raccontate.
• • •
Missing some Tweet in this thread? You can try to
force a refresh
Agli inizi del XX secolo non era permesso a noi donne di gareggiare individualmente.
Sempre e solo con un maschietto.
Fu così anche per me.
E chi scegliere, se non Edgar, che avevo sposato nel 1900 e che era anche il mio allenatore.
Ai miei tempi il pattinaggio era ritenuto uno sport estremamente virile.
Insomma per soli uomini. Noi donne tagliate fuori.
Il primo campionato del mondo fu disputato nel 1896.
Solo per uomini naturalmente.
Le gare femminili sono nate nel 1906, quelle per le coppie di artistico nel 1908 e quelle di danza nel 1952.
Indovinate grazie a chi.
Alla sottoscritta naturalmente, Florence Madeleine Cave in Syers, detta Madge.
Johannesssss!!! Johannesssss!!! Questo quando serve non c’è mai. Dove sei finito? Dobbiamo parlare in una questione importante.
«Sono qui. Calmati, non urlare»
Sai chi sono vero?
«Certo. Sei Gaio Giulio Cesare Augusto, nato Gaio Ottavio Turino meglio conosciuto come Ottaviano»
Per tutti sono Augusto ormai.
Devi assolutamente spiegarmi una cosa.
Ne va del mio onore. Del nostro onore.
Mi è giunta all’orecchio una notizia. Spero per voi che non sia vera. Sono di carattere mite, ma posso scatenare le mie legioni in un attimo.
«Vedo che sei in buona compagnia. Ci sei tu e gli altri Imperatori della dinastia giulio-claudia.
Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone. Poi vedo che ci sono anche Traiano e Vespasiano.
Mi sfugge la ragione di questa rimpatriata.
Vi ascolto, ditemi»
Qualcuno ha scritto che “i numeri costituiscono il solo linguaggio universale”.
Vero. Anche perché i numeri non sono mai solo numeri.
100
1.000.000
Cento
Un milione.
Oppure 7 come le persone che incontrai quando tornai a Kigali il 21 luglio del 1994.
2, come le esplosioni che udimmo quella sera del 6 aprile 1994 quando tutto ebbe inizio.
Subito dopo la telefonata della mia segretaria.
«Hanno abbattuto l’aereo del Presidente Habyarimana»
Quella notizia significava una cosa sola. Guai.
E scontri in città.
Quella notte dormimmo tutti in bagno, l’unica stanza della casa che non poteva essere raggiunta da eventuali colpi esplosi dalla strada.
Mentre il telefono continuava a squillare.
“Un giorno nella foresta scoppiò un gigantesco incendio: animali ed uccelli fuggirono impauriti.
Mentre tutte le razze raccolte si disperavano e si lamentavano della loro cattiva sorte, il colibrì volò verso il fiume e raccolse una goccia d’acqua.
Tanta quanta ce ne stava nel suo becco.
Ritornando verso l’incendio, gli altri animali lo derisero dicendo: “Ma cosa fai?”, gli chiesero.
Il piccolo colibrì, paziente, rispose: “Faccio quello che posso!”
E fu proprio per quel “faccio quello che posso” che mi premiarono.
De Amicis avrebbe fatto di noi personaggi da libro “Cuore”. Era il 22 novembre del 1954 quando in Campidoglio assegnarono i Premi della Bontà.
Un premio per Dario Tosi, 11 anni. Aveva portato a spalle a scuola tutti i giorni, per un chilometro, il suo compagno malato alle gambe.
Non hanno tutti i torti a chiamarmi “Mago Bakù”, il fachiro.
Mangio pochissimo, dormo quasi niente, giro sempre seminudo e a piedi scalzi.
E non sono le uniche stranezze.
Colleziono anche libri antichi, amo la psicologia, la magia, l’ipnosi e le teorie di Freud.
I miei uomini lo sanno.
Finché sono sveglio non hanno niente da temere.
Per questo, come vi ho detto, dormo pochissimo.
Chi sono?
Sono il comandante del sommergibile Cappellini della Regia Marina Italiana.
E oggi, 16 ottobre 1940, ho un problema.
Ieri alle 23.15 abbiamo incrociato a 800 miglia ad ovest di Casablanca il piroscafo Kabalo da 7.500 tonnellate, battente bandiera belga.
Lo so, non siamo in guerra con il Belgio, ma sappiamo che è stato noleggiato dalla marina inglese e armato con un cannone da 102 mm.
Era il 1695 e la nave su cui ero imbarcato, la Victoire, aveva attraccato al porto di Napoli in attesa di partire per le Antille.
Pensai bene di recarmi a visitare Roma, magari sarei riuscito a fare un saluto al Santo Padre.
Mi chiamo Oliver Misson, figlio di un nobile di Provenza, con la passione per l’avventura.
Per questo avevo abbandonato l’accademia militare per imbarcarmi sulla nave da guerra francese Victoire comandata da un mio parente, il capitano Fourbin.
E fu proprio a Roma che conobbi quel frate italo-domenicano, tale Caraccioli.
Aveva abbandonato il saio, troppo rigida e devota ai potenti la sua vita.
Aveva così deciso di girare il mondo per propagandare le sue idee.
Idee.
Più che idee un sogno.