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Sono arrabbiata, è vero. Ma non per il pari merito che hanno decretato i giudici. Quella è solo un’ingiustizia. E’ già successo nella gara precedente quando i giudici mi hanno fatto perdere alla trave l’ennesima medaglia d’oro. Troppe le pressioni per favorire le sovietiche.
Sono arrabbiata per ben altro.
Qualcosa di molto più profondo e importante, che tocca profondamente il mio cuore.
Mio e di tutto il mio popolo. Non ce l’ho con lei, la sovietica Larisa Petrik che è con me sul gradino più alto del podio.
Sarà un piccolo gesto, ma lo devo fare.
Mi chiamo Vera e sono nata a Praga durante la guerra, esattamente il 3 Maggio 1942.
Avevo 14 anni quando mi appassionai alla ginnastica artistica. A 16 avevo già vinto il mio primo argento ai mondiali.
E da quel giorno non fermai più, medaglia dopo medaglia.
Nel 1964, alle olimpiadi di Tokio, vinsi l’oro in tutte le categorie.
Concorso generale individuale, volteggio, trave e un argento nel concorso generale a squadre. I dieci cominciarono a fioccare.
O meglio 1.00 visto che non avevano previsto il 10 come punteggio.
Fu Ludvík Vaculík, scrittore e giornalista, a scrivere quel manifesto il 27 giugno scorso. 2.000 parole. All’inizio firmato da 70 persone, tra accademici, rettori, scrittori e poeti.
In poco tempo le firme diventarono decine di migliaia di persone. Compresa la mia.
“Il socialismo dal volto umano”, “la Primavera di Praga” e ora quel manifesto. La reazione è stata violenta. Nella notte tra il 20 e il 21 agosto, migliaia di soldati e carri armati sovietici hanno invaso il mio Paese.
E per noi dissidenti la vita non è stata più la stessa
C’erano le Olimpiadi di Città del Messico, queste.
E io una “dissidente”. La mia partecipazione in forse. Le autorità sovietiche mi hanno impedito di allenarmi insieme al resto della squadra.
Spaventata per paura di essere arrestata, mi sono nascosta da un amico in Moravia.
Allenandomi sollevando sacchi di patate. Appendendomi agli alberi e spalando carbone per farmi venire i calli alle mani, mentre le mie rivali erano qui, a Città del Messico, ad ambientarsi.E poi la bella notizia.Troppo famosa per essere lasciata casa. Potevo andare alle Olimpiadi
Mi davano per spacciata. Come potevo vincere senza allenamento, sollevando sacchi di patate? Ma io conoscevo il mio valore.
E ora sono qui, dopo aver vinto l’oro nel concorso individuale, nel volteggio e nelle parallele. Solo argento alla trave dietro la russa Kuchinskaya.
Lasciamo perdere. Tutti hanno visto quanto è stata scandalosa la vittoria della russa.
Ho ingoiato il rospo e mi sono presentata in pedana per vincere la medaglia d’oro al corpo libero. Come è andata lo sapete.
Sono sul podio a pari merito con la sovietica Larisa Petrik.
Come vi ho detto all’inizio, non ce l’ho con lei, con la sovietica che è qui accanto a me. Davvero. Ma devo fare quel gesto. Lo devo fare.
Per me, per il mio popolo. Voglio far rumore. Che tutti sappiano quello che provo.
Che tutti sappiano quello che prova il mio popolo.
Vera Caslavska è triste in quel momento, lo sguardo cupo, arrabbiato. E quando parte l’inno nazionale sovietico abbassa la testa. Non muove un dito. La sua protesta sono i suoi occhi bassi.Non vuole guardare la bandiera di chi opprime il suo popolo.Tutto il mondo la sta guardando
Dopo la fine delle Olimpiadi Vera Caslavska sposerà a Città del Messico il connazionale e mezzofondista Josef Odložil.
Un grande ricevimento al villaggio olimpico, la luna di miele a Capri, e poi il ritorno in patria.
Osannata dalla sua gente ma osteggiata dal governo verrà considerata persona non gradita ed espulsa da tutte le competizioni.
Le verrà chiesto di togliere la firma al manifesto delle 2.000 parole cui aveva aderito.
Rifiutando, verrà costretta al ritiro.
Le verrà impedito di lavorare, di partecipare ad eventi sportivi e di lasciare la Cecoslovacchia. Proibito stampare la sua biografia. Perché sotto un regime, si sa, il coraggio lo paghi a caro prezzo.
Finirà nel completo anonimato, facendo pulizie di scale e portoni
Vera ebbe un figlio e una figlia, Martin e Radka. Separata nel 1987, anni dopo cominciò a ricevere i riconoscimenti negati, compresa la presidenza del Comitato olimpico ceco.
Quando a causa di una spinta di suo figlio Martin durante una lite il suo ex marito perde la vita.
Il troppo dolore degli ultimi anni la fanno ammalare di depressione. Per anni.
Ricoverata in una clinica lascerà tutte le cariche una volta dimessa.

E' morta nel 2016 all'età di 74 anni.
Vera Caslavska, atleta straordinaria, è riuscita a vincere 140 medaglie.
Di queste sette ori e quattro argenti alle Olimpiadi.
Quattro volte campionessa del mondo e undici volte campionessa europea.
Quel giorno del 1968 il gesto di Vera su quel podio fece rumore. Ma non lo stesso rumore del pugno chiuso di Tommie Smith e John Carlos nelle stesse Olimpiadi.
Eppure dietro c’era lo stesso coraggio, la stessa forza, lo stesso sdegno silenzioso.
bit.ly/2WzX1D2
«Se avessi rinnegato quel manifesto e quella speranza, la gente che credeva nella libertà avrebbe perduto fiducia e coraggio.
Volevo che conservassero almeno la speranza». (Vera Caslavska)
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