Sul sedile posteriore c'è Giuseppe Costanza, dipendente civile della Giustizia adibito a condurre mezzi speciali.
Costanza non è lì per caso.
#stragedicapaci
Costanza è l’uomo che Falcone informa dei suoi spostamenti, affinché raduni la sua scorta. Da lui si fa tagliare anche i capelli davanti a un caffè, perché prima di quell’incarico è stato barbiere.
C’è Costanza con lui quando a Bagheria
Ma quando, per una serie di fattori, c’è la possibilità che ci vada da solo il suo autista lui si oppone. “A Costanza non lo lascio solo”.
Il segnale chiarissimo di quanto da tempo la mafia sia vicina a Falcone, anche se Costanza teme di più Roma.
Falcone gli ha detto “è fatta” riferendosi al suo prossimo ruolo di Procuratore Nazionale Antimafia solo una settimana prima di quel 23 Maggio 1989.
Costanza di norma sta affiancato alle due Croma di scorta, occupando tutta la carreggiata, ma Falcone guida da persona "normale" e segue la Croma di testa.
"Non ho bisogno fino a lunedì, vai pure a casa".
"Allora si ricordi di darmi le chiavi della macchina, Dottore"
Falcone, sovrappensiero, spegne la macchina in corsa e le toglie dal quadro.
Costanza lo sgrida.
La moglie Francesca fa un sorriso al marito e un cenno come a dire che Giuseppe Costanza ha ragione.
“Scusa, scusa” dice Falcone e rimette le chiavi nel quadro.
La macchina ha rallentato rendendo ulteriore distanza dal veicolo di testa.
“Se avessimo viaggiato affiancati come facevamo sempre saremo morti tutti” dirà Costanza. Invece gli assassini sbagliano e attivano il telecomando al passaggio della prima auto, dilaniandola e spedendola nei campi coltivati intorno.
Costanza finisce tra i sedili davanti, svenuto.
La terza e ultima Croma ha meno impatto.
Falcone "per qualche attimo, è cosciente. Gira la testa verso di noi, ci lancia uno sguardo come a implorare aiuto, poi reclina la testa sul finestrino. Non dimenticherò mai quegli occhi".
Giuseppe Costanza in quel momento è già privo di sensi.
Il gesto involontario del magistrato di estrarre le chiavi, quel secondo di distanza in più dal punto dello scoppio, lo ha salvato.
Una volta dimesso impiega oltre un anno e mezzo a recuperare.
Poi si ritrova solo, isolato, provato dal ricordo e dai dolori fisici e dell'anima.
Sul lavoro deve ingaggiare una lunga vertenza per poter tornare a svolgere le sue mansioni.
“I morti giustamente vengono ricordati dei vivi non sanno cosa farsene”.
Ha parlato di "colpa di essere in rimasto in vita".
Costanza ha raccontato la sua vicenda a Riccardo Tessarini nel libro “Stato di abbandono”.
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