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C’è una terza persona, sulla macchina dove viaggiano Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, il 23 Maggio 1992.
Sul sedile posteriore c'è Giuseppe Costanza, dipendente civile della Giustizia adibito a condurre mezzi speciali.
Costanza non è lì per caso.

#stragedicapaci
Lui è l'autista di Falcone da 8 anni.
Costanza è l’uomo che Falcone informa dei suoi spostamenti, affinché raduni la sua scorta. Da lui si fa tagliare anche i capelli davanti a un caffè, perché prima di quell’incarico è stato barbiere.
C’è Costanza con lui quando a Bagheria
vengono uccisi i familiari del pentito Marino Mannoia. Falcone vorrebbe andare a Bagheria, poi decide di no, è troppo pericoloso.
Ma quando, per una serie di fattori, c’è la possibilità che ci vada da solo il suo autista lui si oppone. “A Costanza non lo lascio solo”.
Sulla spiaggia dell’Addaura c’è ancora Costanza insieme agli artificieri il giorno del 1989 in cui viene ritrovata una bomba nella villa occupata da Falcone per lavoro.
Il segnale chiarissimo di quanto da tempo la mafia sia vicina a Falcone, anche se Costanza teme di più Roma.
Quando è lì il magistrato gira con molta meno protezione, è più facilmente attaccabile.
Falcone gli ha detto “è fatta” riferendosi al suo prossimo ruolo di Procuratore Nazionale Antimafia solo una settimana prima di quel 23 Maggio 1989.
Quella sera di Maggio, quando sale in auto Costanza chiede a Falcone di guidare; la moglie si siede al posto del passeggero.
Costanza di norma sta affiancato alle due Croma di scorta, occupando tutta la carreggiata, ma Falcone guida da persona "normale" e segue la Croma di testa.
Sono quasi alla svolta per Capaci e Falcone dice a Costanza:
"Non ho bisogno fino a lunedì, vai pure a casa".
"Allora si ricordi di darmi le chiavi della macchina, Dottore"
Falcone, sovrappensiero, spegne la macchina in corsa e le toglie dal quadro.
Costanza lo sgrida.
“Dottore che fa? Così ci ammazziamo”.
La moglie Francesca fa un sorriso al marito e un cenno come a dire che Giuseppe Costanza ha ragione.
“Scusa, scusa” dice Falcone e rimette le chiavi nel quadro.
La macchina ha rallentato rendendo ulteriore distanza dal veicolo di testa.
A quel punto arriva la bomba.
“Se avessimo viaggiato affiancati come facevamo sempre saremo morti tutti” dirà Costanza. Invece gli assassini sbagliano e attivano il telecomando al passaggio della prima auto, dilaniandola e spedendola nei campi coltivati intorno.
Gli agenti della Polizia di Stato Vito Schifani (sin), Antonio Montinaro (al centro) e Rocco Dicillo (destra) muoiono all'istante.
Nessuno di loro ha superato i 30 anni.
Vito ha un bimbo di 4 mesi, Antonio che è il caposcorta, da tempo a protezione di Falcone, lascia due bambini.
La macchina di Falcone si schianta contro il muro di cemento alzatosi dopo lo scoppio, il giudice e la moglie sbattono sul parabrezza e riportano gravissime ferite, ma non muoiono subito.
Costanza finisce tra i sedili davanti, svenuto.
La terza e ultima Croma ha meno impatto.
Gli altri agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo scendono, benché feriti.
Falcone "per qualche attimo, è cosciente. Gira la testa verso di noi, ci lancia uno sguardo come a implorare aiuto, poi reclina la testa sul finestrino. Non dimenticherò mai quegli occhi".
Cerchiamo disperatamente di aprire gli sportelli, ma non ci riusciamo. Allora ci mettiamo intorno alla macchina con le pistole puntate, a proteggerlo fino alla morte, questa è la regola. E aspettiamo lì, feriti, che i mafiosi vengano a darci il colpo di grazia».
È l'estremo atto di protezione di questi uomini per il magistrato che devono difendere.
Giuseppe Costanza in quel momento è già privo di sensi.
Il gesto involontario del magistrato di estrarre le chiavi, quel secondo di distanza in più dal punto dello scoppio, lo ha salvato.
In ospedale gli vengono asportate la milza e parte di intestino, perde parte di uno zigomo, ha 5 ernie cervicali per l’impatto, un braccio offeso che ha meno forza dell’altro, l’udito in parte compromesso.
Una volta dimesso impiega oltre un anno e mezzo a recuperare.
La prima cosa che fa è andare a Capaci, per cercare di fare pace coi ricordi.
Poi si ritrova solo, isolato, provato dal ricordo e dai dolori fisici e dell'anima.
Sul lavoro deve ingaggiare una lunga vertenza per poter tornare a svolgere le sue mansioni.
Negli anni Costanza ha spesso raccontato la scarsa attenzione riservata a lui e gli altri 3 sopravvissuti, l'incapacità di ascoltarli, ricordarli.
“I morti giustamente vengono ricordati dei vivi non sanno cosa farsene”.
Ha parlato di "colpa di essere in rimasto in vita".
In questa ricorrenza può avere molto senso cercare le loro interviste, ascoltare le testimonianze dirette, le loro sofferenze, le richiesta di ulteriore giustizia per Falcone.
Costanza ha raccontato la sua vicenda a Riccardo Tessarini nel libro “Stato di abbandono”.
Quando in un'intervista gli hanno chiesto cosa penserebbe Falcone delle sue scelte Giuseppe Costanza ha risposto: “Penso che da lassù mi approverebbe e chissà… mi protegge”.

- FINE -
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