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Milano, 28 maggio 1980. Ore 8.30
L’enorme sveglia rossa di bambino lo svegliò.
L’aveva caricata e controllata scrupolosamente per essere certo di non mancare all’appuntamento.
Si vestì e andò in cucina, dove trovò il padre intento a bere un caffè.
Fuori una pioggerellina fine.
Dopo aver fatto colazione uscì in strada, inforcò la bicicletta di papà e si diresse verso la stazione di Porta Genova.
Aveva appuntamento con i suoi amici.
“Tra le 9.30 e le 9.45” si erano detti il giorno prima.
Ci vollero circa 10 minuti per arrivare alla stazione.
Arrivò sgommando e vide gli amici.
C’erano tutti, Marco, Paolo e Fabio ad attenderlo. Girò su se stesso e pedalando piano si mise alla testa del gruppetto.
Arrivarono ben presto in via Solari dove trovarono Ippo, che si allontanò di corsa facendo finta di non vederli.
Non era scortesia, lui doveva solo controllare una cosa e dare conferma ai suoi amici.
E quello aveva fatto, per oltre due ore.
Ora che li aveva visti arrivare poteva tornare a casa sua ad Arona.
Lui accelerò, fece il giro dell’isolato e appoggiò la bicicletta alla fermata ATM.
Marco e Paolo sopraggiunsero da Via Cerano seguiti a breve distanza da Fabio. Li osservò
fermarsi vicino all’edicola. Notò l’assenza di Gianni, ma sapeva benissimo dov’era.
Aveva parcheggiato la Peugeot grigia metallizzata in Via Salaino ed aspettava alla guida, come da accordi.
Ora toccava a lui.
Il suo compito era quello di osservare.
Al momento giusto avrebbe inforcato nuovamente la bicicletta avvisando con quel gesto i suoi amici.
Furono per lui un’eternità quei 45 minuti passati sotto la pioggia.
Poco prima delle 11 la pioggia smise di cadere proprio nello stesso momento in cui vide
l'uomo uscire di casa.
Saltò sulla bici come un fulmine e pedalò velocemente senza voltarsi. Il segnale.
Marco e Fabio capirono e si spostarono verso il numero civico 2.
L'uomo era uscito con un impermeabile blu sbottonato e un ombrello che usava come un
bastone da passeggio.
Tranquillo, giunse all’incrocio con via Salaino, si infilò tra le auto parcheggiate e poi si diresse verso l’edicola.
“Vorrà comprare un giornale” pensò Marco.
Inaspettatamente l'uomo tornò indietro dirigendosi verso via Valparaiso.
Era lì, in un garage, che teneva la sua Ritmo. Gianni, che attendeva all’interno della Peugeot, vide negli specchietti la scena.
Lui davanti, e dietro, con passo spedito, Marco e Fabio che si avvicinavano.
Arrivato all’altezza dell’uomo Fabio estrasse una 7,65 col silenziatore a sparò.
Il primo proiettile entrò “nella regione sternocleidomastoidea superiore sinistra”.
Entrò e uscì all’altezza del naso.
L'uomo vacillò.
Il secondo si “conficcò nell’emitorace sinistro a 125 cm dalla pianta dei piedi facendo un foro
di 0,5 cm”.
“Perforò quindi i lobi inferiori e superiori del polmone sinistro, uscendo dalla regione sternoclaveare”.
L'uomo rotolò sul fianco sinistro, tra due Fiat parcheggiate.
Cadendo, la sua Parker scivolò dal taschino della giacca.
Il terzo proiettile “lacerò i tessuti molli dell’emitorace destro”.
Non ci furono altri proiettili dall’arma di Fabio perché la pistola si inceppò.
Fabio continuò a premere, ma senza successo.
Marco nel frattempo gli era arrivato accanto. Estrasse la calibro 9 con silenziatore e sospirò
pensando che aveva anche un 38 Smith & Wesson per ogni evenienza.
Sparò, ma il primo colpo mancò il bersaglio.
Il secondo “perforò il polmone, attraversò
l’arteria polmonare e l’aorta"
L'uomo era già morto.
Furono le grida dal palazzo di fronte a risvegliare Marco e Fabio dal torpore.
La Peugeot era vicina, Fabio gridò “andiamo, andiamo” e si diresse verso l’auto salendo a
fianco di Gianni.
Marco lo seguì salendo dietro.
L’auto partì sgommando.
Paolo nel frattempo stava pedalando con la sua bicicletta di buona lena.
Voleva arrivare a casa il prima possibile per ascoltare il conduttore del Tg delle 12.45.
Aria contrita e di circostanza avrebbe aperto il telegiornale con la notizia che l'uomo era stato ucciso”.
L'uomo ucciso era Water Tobagi, 33 anni, giornalista del Corriere della Sera.
Sposato e padre di due figlie.

Ma loro, loro chi erano?
"Milano, 28 maggio 1980. Ore 8.30
L’enorme sveglia rossa di bambino lo svegliò.
L’aveva caricata e controllata scrupolosamente.

Lui, il ragazzo della bicicletta, è Paolo Morandini . Figlio di Morando Morandini, attore e critico cinematografico
"Gianni, che attendeva all’interno della Peugeot, vide negli specchietti la scena".

Gianni, l’autista sulla Peugeot.
Vero nome Daniele Laus. Il padre era dirigente in un'azienda di acque minerali, la madre
insegnava lingue. Era iscritto alla facoltà di architettura di Firenze.
"Arrivato all’altezza dell’uomo Fabio estrasse una 7,65 col silenziatore a sparò".

Fabio detto il francese, vero nome Mario Marano.
"Marco nel frattempo gli era arrivato accanto. Estrasse la calibro 9 con silenziatore e sospirò. Poi sparò".

Marco Barbone. Figlio di Donato Barbone, dirigente editoriale della casa editrice Sansoni.
Paolo, insieme a Marco, sopraggiunse da Via Cerano seguiti a breve distanza da Fabio".

Paolo (l’altro Paolo). Detto “Cina”, vero nome Francesco Giordano.

Tutti appartenenti al gruppo terroristico Brigata XXVIII marzo.
“Evitiamo che si avveri, così come vuole il terrorismo, l’imbarbarimento del Paese. Non
interrompiamo mai un civile dibattito”.
(Walter Tobagi)
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