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Il problema più grande? Come entrare in contatto con Helen. Le sue erano resistenze insormontabile con i metodi tradizionali. Per quello cercai con lei un approccio diverso. Io sapevo bene cosa si provava ad avere quella disabilità. Io lo sapevo bene.
Era stata un’infezione batterica della cornea a rendermi quasi cieca. Avevo 5 anni. Fu terribile, ma mai quanto perdere la mamma 3 anni dopo. Per completare la tragedia papà spedì me e il mio fratellino Jimmie in un orfanotrofio. Ci rimasi tre anni.
Per vedere Jimmie morire.
Riuscii a entrare alla Perkins School for the Blind, prima scuola dedicata all'insegnamento per le persone ipovedenti. Lì imparai l'alfabeto manuale. Nel 1886 ottenni il diploma come miglior studentessa del corso. Recuperando la quasi totalità della vista dopo diverse operazioni.
E un anno dopo trovai lavoro come istitutrice presso la famiglia di Helen. Già, Helen. Povera Helen. Cieca e sorda da quando aveva diciannove mesi per colpa di una scarlattina. O di una meningite. Non so. Quando la conobbi lei viveva in un mondo tutto suo. Chiusa in sé stessa.
I suoi genitori avevano assecondato ogni suo comportamento. Sbagliando, pensando fosse un modo per semplificare le cose. Rinunciando ad una possibile guarigione. Avevano anche pensato di rinchiuderla in un istituto di malattie mentali, ma fortunatamente avevano pensato a me.
Iniziai il lavoro il 6 marzo 1887. Helen passava tutto il tempo in braccio alla mamma e conosceva solo due gesti: mangiare e bere. Misi subito le cose in chiaro con la madre.
Io ero la maestra, Helen l’allieva. Punto. Chiesi e ottenni di isolare Helen dalla famiglia.
Se fu una faticaccia con Helen? Beh, diciamo che fu qualcosa di peggio. Molto peggio. Almeno inizialmente. Fui costretta ad usare le maniere forti. Ebbi con lei anche scontri fisici, le diedi persino schiaffoni, ma non mi arresi. Anche quando fui sul punto di essere cacciata.
Segno e significato. Questo doveva imparare Helen. Iniziai regalandole una bambola.
E sillabandole sul palmo la parola. E poi con altri oggetti. E altri ancora. Un mese dopo conosceva diciotto sostantivi e tre verbi. Ora era lei a chiedermi il nome delle cose.
Non era sufficiente. Helen non riusciva a collegare le azioni. Fu quando le versai dell’acqua fredda sulla mano che ebbe un sussulto. “Poi toccò la terra e chiese come si chiamasse…volava da un oggetto all’altro, chiedeva il significato di ogni cosa e mi baciava per la gioia”.
Come disse anni dopo: “avevo capito che “acqua” significava quel qualcosa di fresco che scorreva sulla mia mano e quella parola destò la mia anima, le diede luce speranza, piacere, sciolse le mie catene... in qualche modo, il mistero del linguaggio mi si rivelò in pieno”.
Helen prese il volo. Si iscrisse anche lei alla Perkins School for the Blind cercando di imparare a parlare come aveva fatto la norvegese Ragnhild Kåta, anch'essa cieca e sorda. Continuai a seguirla anche quando si trasferì a New York.
Helen imparò a leggere l'inglese, il francese, il tedesco, il greco e il latino in Braille. E poi l’incredibile traguardo. Era il 1904 quando, dopo aver frequentato il Radcliffe College, si laureò “ magna cum laude” prima persona cieca e sorda a laurearsi in un college.
E poi il suo primo libro. “Storia della mia vita” un successo enorme, tradotto in molte lingue, immesso in tutte le biblioteche e trascritto in Braille. Il suo impegno in difesa dei lavoratori. E la Medaglia presidenziale della libertà.
Nel 1962 hanno girato un film sulla nostra storia. Mia e di Helen. Entrambe le protagoniste hanno vinto l’Oscar. Il film si intitola Anna dei miracoli (titolo inglese: The Miracle Worker). Senza dimenticare l’opera teatrale del 1968 con Anna Proclemer.
Anne Sullivan è morta a New York il 20 ottobre 1936 ormai completamente cieca.
Le sue ceneri sono conservate alla Washington National Cathedral.
Helen Keller è morta il 1 giugno 1968 poco prima di compiere ottantotto anni.
E questa è la storia di Helen Keller e di Anne Sullivan. La storia di due donne che insieme seppero compiere un miracolo. Una storia che valeva la pena raccontare. Perché i miracoli spesso hanno solo un nome.
Si chiama perseveranza.
L’unico modo per trovare, nella disabilità e non solo, infinite possibilità. E riuscire così a trasformare un ostacolo insormontabile, una difficoltà impossibile da superare, in un bene meraviglioso.
bit.ly/2wG1Iky
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