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Mettiamo le cose in chiaro. Io sono stata la sua unica, vera e legittima moglie. E unica Regina. Un preambolo duro, ma necessario, visto cosa gira sui libri di storia riguardo la mia figura, quella di mio marito e delle sue innumerevoli e presunte mogli.
Andiamo oltre. Chi sono?
Mi chiamo Caterina d’Aragona e se qualcuno non conosce la mia storia è il momento giusto per colmare la lacuna. Cominciando dalla mia nascita, avvenuta nei pressi di Madrid il 16 dicembre del 1485. Infanta d'Aragona e Castiglia, della casata di Trastamara.
Per farla breve, figlia dei “re cattolici” Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia. Tre anni erano forse un po’ pochini per promettermi in sposa al principe Arturo Tudor, erede al trono d'Inghilterra e fratello maggiore di Enrico. Ma funzionava così allora.
Ai miei genitori serviva suggellare un’alleanza tra i due regni, Spagna e Inghilterra.
E sposare l’erede al trono d’Inghilterra e la possibilità in futuro di diventare Regina di quel Paese e poi in seguito la madre di un Re, era quanto di più appetibile.
Fu così che a quindici anni lasciai la Spagna per la piovosa Inghilterra accompagnata dalla mia damigella d’onore, nonché amica, María de Salinas. Non vedevo l’ora di incontrare il principe Arturo. Si era innamorato di me guardando un quadro che gli avevo inviato.
Imparai da subito a non fidarmi dei giudizi altrui. Mi avevano detto tutti che Arturo era un uomo affascinante, bello, elegante, raffinato. Invece era magrissimo, sicuramente di salute cagionevole, bianco, smorto in volto. E poi quella tosse.
Però era lui che dovevo amare.
Mia madre mi aveva detto che dovevo essere io a conquistare il suo amore. E così feci.
In fondo era un marito amorevole. Anche se la nostra unione durò poco. La cosa che mi dispiace è non esser stata accanto a lui quando è morto.
Il 2 aprile 1502. Di sudor anglicus.
Un matrimonio durato solo 5 mesi. E nessun rapporto visto che lui era troppo debole e malato. Mi ritrovai così a sedici anni, vedova e vergine. Sola, in una Paese straniero. Praticamente in ostaggio, visto che mio padre non aveva ancora finito di pagare la mia dote.
Per questo i miei genitori avevano inviato in Inghilterra un altro ambasciatore, Don Hernán, Duca de Estrada, cavaliere dell’Ordine di Santiago. Con l’intenzione di riportarmi a casa con parte della dote. E se possibile preservare l’alleanza con l’Inghilterra. Sì, ma come.
Il fratello di Arturo e futuro Re Enrico non aveva nemmeno undici anni. Io cinque anni di più. E poi c’era quella faccenda da sistemare. Dimostrare al mondo e alla Chiesa che il mio matrimonio con Arturo non era stato consumato. Altrimenti addio futuro regno.
Fu quando giurai di essere ancora vergine che i miei genitori si convinsero a lasciarmi ancora in Inghilterra. E così feci.
Enrico VII non mi vedeva di buon occhio. Aveva altre mire per suo figlio Enrico.
Quando improvvisamente la Regina Elisabetta morì. Era il 1503.
Morta a trentasette anni, dopo aver messo al mondo una figlia. Erano morte entrambe otto giorni dopo a causa di un’infezione. Cosa assai comune in quei tempi. E poi avvenne che nel 1509, morì anche il Re, Enrico VII. E, incredibile a dirsi, suo figlio Enrico mi chiese di sposarlo
Due anni prima era però successo qualcosa di straordinario. Come donna intendo. Nel 1507 ero stata infatti nominata da mio padre sua ambasciatrice in Inghilterra. Un grandissimo onore, prima donna nella storia europea a ricoprire tale funzione.
Cominciai a discutere di politica con le persone più influenti a corte. Organizzai un servizio di corrieri con la Spagna e un sistema di codifica per le informazioni riservate. Un bellissimo lavoro quello di ambasciatrice. Grazie a me i rapporti tra i nostri Paesi rimasero saldi.
E fu così che venne il giorno dli mio matrimonio. Dopo sole nove settimane dalla morte del padre sposai suo figlio, salito al trono col nome di Enrico VIII. Finalmente Regina. Per sposarmi, vista la parentela (ero sua cognata) lui ottenne la dispensa da Papa Giulio II.
Lui e la sua fissa del figlio maschio. Sei parti non bastarono. Nel 1510 una bambina nacque morta. Nel 1511 un’altra visse solo per 52 giorni. Nel 1513, un bambino nacque morto. Nel 1516, nacque Maria in buona salute. L’unica. Nel 1518, un’altra bambina che visse poche ore.
Insomma. Nessun figlio maschio vivente. Un’unica figlia Maria (una monarchia retta da una donna? Non sia mai) e un marito insoddisfatto del matrimonio. A tal punto da pensar bene di intrecciare nel 1519 una relazione con Elizabeth Blount.
Con lei ebbe un figlio.
Era il 1521 quando iniziò un’altra relazione, l’ennesima, con una mia dama di compagnia. Maria Bolena si chiamava. E poi nel 1529 perse la testa per la sorella, Anna Bolena. Fu allora che mi chiese di divorziare.
Voi che avreste fatto? Rifiutai.
Non si arrese. Si rivolse a Papa Clemente VII cercando di far annullare il nostro matrimonio. Che tenero. Peccato che la Chiesa di Roma rifiutò categoricamente. Niente annullamento. Io ero e sarei stata sua moglie per sempre. Vicenda finita? E quando mai.
Tralascio i particolari. Vi dico solo che mio marito non si arrese. Si fece proclamare capo supremo della Chiesa d’Inghilterra, staccandosi dalla Chiesa di Roma e inventandosi così un “divorzio fai da te”. Naturalmente non firmai quell’Atto di Supremazia.
"Principessa vedova di Galles", segregata nel castello di Kimbolton. Era il 5 gennaio 1536 quando scrissi la mia ultima lettera a Enrico: “Mio signore, re e marito… vorrei una cosa sola, che i miei occhi potessero guardarvi per un’ultima volta…”
Firmato Catherine, Regina d’Inghilterra. Feci testamento il 6 gennaio per poi morire il 7 gennaio 1536, alle due del pomeriggio. Unica vera e legittima moglie. E unica Regina spagnola d’Inghilterra. Lo ripeto. Unica moglie di Enrico VIII.
Caterina D’Aragona era una donna bellissima, una sposa devota con una cultura ed una intelligenza fuori dal comune. Una donna di sani principi, indomita e coraggiosa, amata dai sudditi inglesi e amica di grandi studiosi come Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro.
Grazie @LauraCarpini, Presidente dell’Associazione Donne Italiane Diplomatiche @DidDonne e Ambasciatrice d’Italia in Ghana dal 2012 al 2016, per avermi suggerito di raccontare la storia di Caterina d'Aragona, prima donna nella storia europea a diventare ambasciatrice.
Una carriera diplomatica un tempo vietata alle donne. Fino al 1967. Una carriera difficile per spostamenti e scelte di famiglia. Oggi le donne sono circa il 23% del totale, con la speranza che sempre più ragazze decidano di mettere la propria competenza al servizio del Paese.
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