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La fate facile voi. Nel giudicare le donne, intendo. Io, nata nel 1900, ho visto e vissuto gli anni dopo la guerra.
Il Trattato di Versailles non fu una trattativa tra vincitori e vinti, ma una vera punizione per noi tedeschi. Con quegli assurdi risarcimenti.
L’inflazione schizzò alle stelle. E per il marco fu un attimo diventare carta straccia.
Per comprare anche solo un tozzo di pane si andava con un cesto di marchi. Lavoratori pagati con sacchi di soldi che perdevano valore da un giorno all’altro.
Fummo costretti al baratto.
Poi quando piano piano si stava invertendo la tendenza arrivò il crollo della borsa di New York del 1929. E fu di nuovo la stessa miseria e disoccupazione del 1919. Con sei milioni di disoccupati che dovevamo fare?
Disoccupata che dovevo fare?
Mi chiamo Hedwig Porschütz nata a Berlino-Schöneberg il 10 giugno del 1900. Finita la scuola imparai a fare la stenodattilografa cominciando a lavorare in una compagnia di assicurazioni.
Era il 1926 quando sposai Walter Porschütz che lavorava come autista e cameriere
E poi la disoccupazione. Per me e mio marito. Nessuno stipendio. Per portare a casa qualcosa da mettere in pentola non avevo scelta. Se non quello di mettere un vestitino carino ed esagerare con il rossetto.
Quel mestiere era stato depenalizzato nel 1927 anche se solo quelle “di seta”, quelle dei quartieri alti, erano veramente tranquille.
Per noi “di cotone”, per uomini a basso reddito, le cose erano sempre difficili e complicate.
«Ammazzate i giudei e la Germania ritornerà al suo splendore», urlavano per strada. Ricordo tutto. La fuga di tanti ebrei dalla Germania, e le leggi di Norimberga per quelli che avevano deciso di restare.
55.000 nella sola Berlino.
La vita diventò un inferno per loro.
Ci trasferimmo al numero 5 di Alexanderstraße. Mio marito aveva trovato lavoro e io facevo del mio con alcuni lavoretti. Durò poco. Quando arrivò lo scoppio della guerra Walter venne richiamato nella Wehrmacht e io, con mia madre da sfamare, ricominciai a ricevere clienti.
Grazie a quel mestiere conobbi un sacco di gente importante, Diventai un punto di riferimento non solo per l’amore, ma per saper procurare di tutto.
Dal cibo al vestiario, persino documenti falsi.
Fu così che lo conobbi. Si chiamava Otto Weidt. Era quasi diventato cieco e per questo aveva dovuto abbandonare il suo lavoro da tappezziere. Produceva scope e spazzole, ma il suo lavoro principale era un altro.
Quello di nascondere ebrei.
Nel suo laboratorio. Per questo aveva bisogno di qualcuno che lo rifornisse di tutto.
Chi meglio di me. Per questo venni assunta come stenodattilografa. Solo una copertura, ma finalmente quel diploma mi sarebbe servito nel caso qualcuno volesse mettermi alla prova.
Continuavo nel frattempo a ricevere soldati che tornavano dal fronte. Avevano fatto cose orribili come sparare a madri e neonati e stavano male quando mi vedevano nuda. Sono certa che molti di loro in seguito sono impazziti.
Mi raccontarono che si stavano allestendo fabbriche di morte dove inviare tutti gli ebrei. La Gestapo ormai era arrivata anche ad Otto. Che aveva un problema. Dove nascondere le gemelle Anneliese e Marianne Bernstein, ricercate proprio dalla Gestapo.
Non esitai. Casa mia era piccola, ma vennero da me. Marianne era cieca.
Non furono le sole. Arrivarono anche Grete Seelig e sua nipote Lucie Ballhorn.
Diedi loro il mio letto. Io mi sistemai in cucina.
Quel posto però non era sicuro. Cercai un altro nascondiglio. Un nuovo lavoro in una fabbrica di Weidt. Per guadagnare altro denaro per altri ebrei da nascondere e sfamare. Ormai a decine.
E poi quel 3 giugno 1944. La polizia in casa.
Difficile spiegare cosa ci faceva tutta quella roba in casa mia.
Sette chili e mezzo di dolci, 384 sigarette, 104 saponette da barba, tre paia di calze da uomo. “Sottrazione di viveri destinati alla popolazione tedesca”, fu l’accusa.
Diciotto mesi come accaparratrice, con l’aggravante della «fornicazione commerciale» e inviata in un sottocampo dell’immenso lager di Groß-Rosen, in Slesia con prigionieri di guerra, detenuti politici ed ebrei.
Uscii dal carcere nel maggio 1945 e tornai a casa. Che era stata distrutta dai bombardamenti.
Con Walther, tornato dalla guerra, ci trasferimmo al 43 di Feurigstraße. Pochi soldi. E malati. Per questo nel 1956 mi rivolsi all’Ufficio per la compensazione dei danni di guerra.
Quella pensione mi spettava. La davano a tutti quelli che dimostravano di essersi opposti a Hitler. Il no fu categorico. Aiutare e nascondere ebrei non aveva arrecato nessun danno politico a Hitler.
Non era un atto di resistenza.
Ma non mi dissero solo quello.
“Ci risulta che lei era una battona, e una donna che vende il suo corpo è per definizione vile e immorale. Questo rende il suo gesto privo di valore. Spiacenti, ma lei non può essere considerata un’eroina silenziosa".
Hedwig Porschütz, è morta il 26 marzo 1977 in una casa di riposo, sola e poverissima. Senza un pensione. Perché una prostituta non può fare atti eroici. Una che vende il suo corpo è per definizione vile e immorale.
Già. Immorale lei.
Joachim Wahl, uno dei giudici del Tribunale speciale che durante il nazismo aveva condannato lei e altre mille persone, promosso a giudice di distretto, è andato in pensione negli anni ottanta con una lauta pensione.
Per lui nessuna definizione di “vile e immorale”.
Non esiste una fotografia di Hedwig Porschütz. Non esiste più niente di lei. Nessuno scritto. Nemmeno più la sua tomba, smantellata nel 2000 nel cimitero di Schöneberg. Solo questa targa, grazie alla giornalista Inge Deutschkron una delle donne aiutate da Hedwig Porschütz
Hedwig Porschütz nel 2011 è stata ufficialmente riabilitata.
Nel 2012 è stata riconosciuta "Giusta fra le Nazioni" dallo Yad Vashem.
Come Oskar Schindler, Giorgio Perlasca, Otto Weidt e tutti coloro che con le loro azioni hanno salvato ebrei dai nazisti.
Grazie a @LiaCeli per il suo libro “Quella sporca donnina” Da leggere.
Racconta “dodici storie di donne fortissime che hanno saputo essere protagoniste della loro epoca e della loro società pur esercitando una professione che in teoria le escludeva.”. Tra queste Hedwig Porschütz
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