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Certo che sono convinto. Potessi riportare indietro le lancette dell’orologio a quel giorno farei esattamente quello che ho fatto. Era nell’ordine delle cose visto che mi chiamavano “dottore” fin da quando ero bambino.
Perché io a dottore, ci volevo sempre giocare.
Eppure nessuno in casa indossava un camice bianco. Papà faceva il professore nell’Istituto Nautico di Ancona e mamma insegnava matematica alle scuole medie.
Papà mi aveva però trasmesso qualcosa di veramente importante, quello sì.
Aveva fondato la Pro Loco e costruiva mobili in casa da regalare alle famiglie povere.
A Castelplanio, dove ero nato ero tutto casa e parrocchia. Alle discoteche preferivo l’organo della Chiesa di San Sebastiano.
Amavo suonare il pianoforte.
E poi quell’impegno. Giravo tra i medici e gli ambulatori per raccogliere farmaci da inviare nei Paesi poveri del mondo. E dopo la scuola media il liceo scientifico di Jesi fino alla facoltà di medicina ad Ancona.
Medico condotto. Con specializzazione in malattie infettive. E i primi viaggi. Nicaragua, India, Nepal, Mali, con lo zaino pieno di medicine. Voi non potete nemmeno immaginare quanto bambini diventano ciechi quando basterebbe solo qualche goccia di collirio.
Rifiutai il posto di primario per diventare Presidente nazionale di Medici senza Frontiere. Ritirai con altri il Premio Nobel per la Pace a Medici senza Frontiere nel 1999. Usammo i soldi per una campagna di farmaci per le popolazioni povere.
E poi il 6 gennaio 2000 ricevetti da parte dell'OMS un nuovo incarico. Tre anni In Vietnam per il controllo delle malattie parassitarie nel Pacifico occidentale. Questa è tutta la mia vita prima di quel giorno.
Quel 28 febbraio del 2003.
Fu l’Ospedale di Hanoi a chiamarmi. Era appena stato ricoverato un uomo d'affari americano di nome Johnny Chen colpito da polmonite. Arrivava dalla Cina via Hong Kong per il Vietnam. Si era sentito male ed era finito all’ospedale.
A differenza dello staff medico presente capii subito la gravità della situazione. Il paziente aveva febbre alta, tosse secca e difficoltà respiratorie Non mi ci volle molto a capire che avevo di fronte un virus molto contagioso, un agente patogeno mai osservato prima nell’uomo.
E successe il finimondo. Infermieri che piangevano, i medici terrorizzati, la gente correva e urlava. Avevo detto loro che “Non so cos’è ma sono sicuro che non si tratta di influenza!”. Ne ero certo. E visto che ero l'unico calmo in quel frangente presi la decisione.
Lanciai subito l’allarme all'Organizzazione mondiale della sanità. Riuscii a convincere il governo di Hanoi ad adottare tutte le misure possibili per una quarantena. Io nel frattempo rimasi nell’ospedale a cercare di guarire i medici che piano piano si ammalavano.
«Scappiamo in Italia» ripeteva mia moglie Giuliana. Misi lei e i nostri tre figli Tommaso, Luca e la piccola Maddalena su un aereo per l’Italia. Invece io rimasi, perché…
«Se di fronte alla malattia il medico scappa, chi resta?».
Fu l'11 marzo 2003, durante un volo da Hanoi a Bangkok, che cominciai ad avere la febbre. Capii all’istante che avevo contratto quella malattia e una volta atterrato chiesi di essere immediatamente ricoverato e messo in quarantena.
Arrivarono medici dalla Germania e dall’Australia. Dissi loro che dopo la mia morte avrebbero potuto prelevarmi tessuti dai polmoni per analizzarli. Potevano essere utili per combattere quella malattia. Rimasi in isolamento per diciannove giorni. Poi…
Carlo Urbani morì il 29 marzo 2003.
Grazie a lui, dopo l’identificazione e la comunicazione all’OMS, le autorità sanitarie mondiali inviarono un'allerta globale. L'intervento immediato e mirato di Urbani permise di salvare migliaia di vite.
Una collaborazione internazionale di 13 laboratori permise di identificare a tempo di record il nuovo agente patogeno responsabile, membro della famiglia dei coronavirus, mai osservato prima nell’uomo, responsabile della SARS, sindrome respiratoria acuta grave.
La SARS fu sconfitta grazie all’immediatezza degli interventi in quarantena proposti da Urbani. Il metodo anti-pandemie da lui realizzato nel 2003 rappresenta, ancora oggi, un protocollo internazionale per combattere questo tipo di malattie. (Se messo in atto subito)
Grazie a @AvvDox per avermi suggerito la storia di Carlo Urbani
L’uomo che salvò il mondo dal contagio donando la sua stessa vita.
«L’uomo giusto nel luogo giusto e nel momento giusto. Una coincidenza sorprendente, miracolosa per l’umanità».
“Come potete rimanere indifferenti. Un numero impressionante di bambini muore per disidratazione da diarrea: a salvarli basterebbe qualche bustina di reintegratore di sali da sciogliere nell’acqua, che costa venti centesimi di dollaro”. (Carlo Urbani)
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