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Kathrine Switzer. La mitica Kathrine Switzer. Per tutti la prima donna a correre la Maratona di Boston. In realtà lei fu la prima donna iscritta con un pettorale, il numero 61.
Iscritta con uno stratagemma, visto che per noi donne era vietato correre la maratona.
Perché era vietato? Perchè rischiavamo l’infertilità. Così dicevano i medici.
Al massimo potevamo correre gli 800 metri.
Kathrine, 20 anni, era stata costretta ad iscriversi solo con le iniziali: K.V. Switzer.
E così era partita con accanto il fidanzato, lanciatore di martello.
E per fortuna. Perché ad un certo punto Il direttore di gara Jock Semple la vide.
Una donna alla maratona? Nel 1967? Mai.
Fu allora che la prese alle spalle cercando di gettarla da parte urlando “vattene e dammi quel numero”.
Il direttore di gara non aveva però fatto i conti col suo fidanzato.
Tom, il lanciatore di martello pesava 106 chilogrammi.
Finire a gambe all’aria fu un attimo.
Kathrine potè così completare la maratona.
Il tempo non ufficiale? 4 ore e 20 minuti.
La prima donna a completare la maratona con un pettorale. Certo. Ma in quella maratona c’era una donna che andò anche più veloce. Concludendola in 3 ore 27 minuti e 17 secondi. Senza pettorale.
Esattamente come aveva fatto anche l’anno precedente.
Come lo so? Lo so perché quella donna ero io, Roberta Gibb.
Mi piaceva correre con i miei cani.
E durante una corsa avevo visto tutti quegli uomini correre lungo il tracciato.
Perché solo loro potevano correre la 42 chilometri più antica del mondo?
Cominciai così ad allenarmi. Per due anni. Certo, le scarpe da infermiera non erano il massimo, ma quelle avevo.
E poi nemmeno sapevo come ci si doveva allenare. Ma non mi sarei mai arresa.
Io quella maratona la volevo correre. A tutti i costi.
Fu così che nel febbraio del 1966 spedii una lettera di iscrizione.
Una regolare richiesta di partecipazione.
Ero parecchio emozionata quando ricevetti una busta con la loro risposta.
Ci mancò poco. Che spaccassi tutto, intendo.
Perché il caro Will Cloney, il direttore di gara, mi informava che le regole internazionali non contemplavano la partecipazione delle donne alle maratone. La motivazione? “Fisiologicamente non idonee”.
(Pensate una parolaccia, quella che volete).
Ma la decisione era ormai presa.
“A quel punto capii che stavo correndo per molto di più di un semplice traguardo personale. Stavo correndo per cambiare il modo di pensare della gente”.
Continuai così ad allenarmi.
Nel frattempo mi ero trasferita lontano. Cinque giorni prima della maratona presi un autobus per fare i 4.800 chilometri che mi dividevano da Boston. Riposo e poi il riscaldamento. Normali scarpe da ginnastica e bermuda di mio fratello con felpa blu con cappuccio.Per mimetizzarmi
Partii da dietro i cespugli con una paura folle. Dei giudici, che potevano riconoscermi, e degli altri concorrenti che potevano prendermi a male parole. Invece niente, anzi. Mi incitavano tutti. Spettatori e concorrenti.
Con i piedi sanguinanti per le scarpe troppo piccole, con i crampi per la disidratazione (si pensava che idratarsi facesse venire i crampi) strinsi i denti e andai avanti.
E tagliai il traguardo. Il tempo?
3 ore, 21 minuti, 40 secondi.
La mia storia fece il giro del mondo. I giornali parlavano solo di me.
Negli anni successivi mi trasferii a San Diego, divorziai e mi risposai. Nel 1975 ebbi un figlio. Fu allora che sentii in tv parlare della prima donna a correre la maratona di Boston.
Dicevano che era stata Kathrine Switzer nel 1967. "Ehi, fermi tutti, sono stata io la prima donna. Nel 1966".
Lo avevano visto tutti.
Ci volle qualche tempo prima che la Boston Athletic Association mi riconoscesse come prima vincitrice nel 1966, 1967 e 1968.
Negli ultimi anni Roberta Gibb ha ricevuto numerosi riconoscimenti come prima donna a correre la maratona di Boston.
Oggi ha una laurea in giurisprudenza e fa ricerche sulla SLA come un affiliato di neuroscienze al MIT e all'Università del Massachusetts Medical Center.
Non solo. E’ anche una grande artista e un’autrice di successo.
Roberta Gibb è stata la prima donna a correre una maratona.
“Ho fatto il possibile perchè le cose andassero in questa direzione” ha detto.
Perché per loro, le donne, persino correre è stata una conquista.
In realtà non fu nemmeno lei a correre la prima maratona. La prima donna si chiamava Stamata Revithi, greca. Si presentò alla partenza dei primi Giochi Olimpici del 1896. Diciassette erano i partecipanti.
Lei fu respinta, ma corse lo stesso i 40 Km in 5 ore e 20 minuti.
Arrivò allo stadio di Panatinaiko, ma le fu impedito di entrare.
In fondo per il barone de Coubertin non esisteva altro mondo olimpico che quello maschile.
"La partecipazione di atleti donne è un male per l'atleta di sesso maschile".
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