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Forse è giusto che vada a finire in questo modo. In fondo sono stato io con le mie decisioni, con le mie scelte a sprecarla.
La vita, intendo.
Ho tanto freddo e non sento più le gambe, ma l’unica speranza era salire qui a 1300 metri per farmi localizzare.
Sono giorni che non ne prendo.
E’ stata dura dover fare i conti con la mia dipendenza da metanfetamine.
Ed è tutto così strano.
Sto cercando di rimanere aggrappato con tutte le mie forze ad una vita che, di fatto, ho da tempo deciso di buttare.
Povera mamma. Quanti grattacapi. E lei sempre vicina. Mi manca. Sono solo quassù.
E ho il tempo di ripercorrere la mia vita.

Sono nato a Parigi il primo luglio 1969, ma ci siamo trasferiti subito a Los Angeles, dove i bambini sognano di surfare sulle onde del pacifico.
Che fossi un bambino diverso i miei genitori lo capirono da quella mia passione strana per quel luogo: l'hockey su ghiaccio.
Quanto sbavavano gli scout della NHL e gli allenatori del college. Tutti mi volevano.
Professionisti o college?
Scelsi il college.
“Eric è un ottimo pattinatore e può gestire il disco eccezionalmente bene. Non conosco molte persone che sappiano maneggiare come lui ". Questo dicevano di me nella squadra universitaria di Northern Michigan. Gli occhi mi si stanno chiudendo.
So che sarà per sempre.
In campo e fuori avevo però un atteggiamento sempre arrogante.
Un modo di fare che urtava amici e compagni. I Los Angeles Kings mi fecero un'offerta per giocare per la loro squadra della lega minore, l'Ontario Reign.
Rifiutai e me ne andai in Europa
Ero nato in Francia e per cinque anni giocai nella nazionale francese.
Anche alle Olimpiadi invernali del 1994 a Lillehammer, in Norvegia.
Ma il ghiaccio della vita su cui stavo pattinando era molto sottile.
Io e quella maledetta voglia di sballare.
Fu un attimo diventare un ex giocatore di hockey. Quando ho chiuso la carriera?
Nel 1999, negli Arkansas Glaciercats.
Cosa darei per non aver causato quell’incidente d’auto.
Per questo sono fuggito su queste montagne.
Alla ricerca di solitudine, di adrenalina, praticando lo snowboard. Avevano detto che sarebbe arrivata una tempesta.
Lo sapevo che sarebbe stato pericoloso.
Ma ero uscito lo stesso. In una zona vietata.
E avevo perso l’orientamento.
Sorrido. La cosa buffa è che nessuno sa che mi sono perso. Nessuno sa dove mi trovo. Solo. Probabilmente come in tutta la mia vita.
Non è vero. Mia madre c’è sempre stata. Anche nei momenti più bui.
Lei era sempre accanto a me.
Credo che oggi sia il 14 febbraio 2004. Almeno credo. Sono passati otto giorni da quando mi sono avventurato tra queste montagne.
In tasca due barrette energetiche, tre gomme da masticare, un sacchetto di metanfetamina, alcuni fiammiferi e un lettore Mp3
Sono praticamente ghiacciato.
Pensavo che quel fiumiciattolo fosse la mia salvezza.
“Se lo seguo arriverò a valle”, avevo pensato. Avrei fatto meglio a seguirlo dalla riva invece di saltare di pietra in pietra nel fiume.
Ed ero caduto in acqua.
Come ho fatto a sopravvivere?
Bella domanda, pensando alle temperature che ho trovato di notte. Non so. Sono persino precipitato in un ghiacciaio inseguito da un branco di lupi. E poi la fame.
Sento che le forze mi stanno lasciando. Dicono che ci si addormenta, piano piano, per sempre.
Mi dispiace mamma.
In quei giorni Eric LeMarque si era liberato del sacchetto contenente le metanfetamine.
Le aveva gettate nella neve e aveva fatto una promessa a se stesso.
Se si fosse salvato basta con quella porcheria. Certo, una promessa inutile vista che sta per morire.
Si era nutrito di bacche, ghiande e corteccia degli alberi. Poi uno scarpone si era rotto e aveva visto quel piede nero, e quella pelle ghiacciata che si sfaldava.
Niente di più nutriente aveva pensato.
Ma era stato tutto inutile.
Quello che Eric non sa, è che sua madre, non sentendolo, lo sta cercando.
Ha capito che suo figlio è su quelle montagne. Malgrado la squadra di recupero le dica che è inutile continuare le ricerche perché non si resiste otto giorni a quelle altezze, lei insiste.
Grazie alle insistenze di sua madre, Eric LeMarque verrà ritrovato. Ancora in vita.
Ha però passato troppo tempo al freddo, in mezzo alla neve.
Sopravvive, ma gli vengono amputate entrambe le parti delle gambe sotto le ginocchia.
Eric LeMarque stava buttando via la sua vita. C’è voluto una montagna per aiutarlo ad essere una persona migliore.
Ad imparare a considerare anche gli altri, e non solo se stesso.
Su quei giorni in montagna è stato girato nel 2017 il film “"L'ultima discesa" di Scott Waugh.
Eric LeMarque oggi è una persona diversa.
E’ un imprenditore, ma gira il mondo parlando ai ragazzi di fede e perseveranza.
Insegnando loro che non bisogna arrendersi. Mai.

Vive con la moglie Hope e i suoi tre figli a Los Angeles.
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