È un problema culturale gravissimo, che illustra perfettamente cosa sia lo “Stato imprenditore” all’italiana e i danni che, sopratutto da noi, può provocare (anche al di la del COVID).
Secondo questa impostazione, si vive in un mondo placido, ci si misura facendo i bilanci alla fine, e chi si è visto si è visto. Se poi qualcosa è andato storto, si trovano scuse e si dice di aver lavorato tanto ad agosto.
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Chi vive in imprese vere non ragiona così: ha dei KPI da rispettare quotidianamente, sa che i bilanci nascono dalle performance quotidiane, e vede come inconcepibile che, per esempio, non si siano esaurite le scorte di vaccini nel giorno in cui arriva il secondo lotto.
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Vi immaginate cosa accadrebbe a un Arcuri direttore di stabilimento in un’impresa automotive che, anziché scusarsi con il CEO, gli dicesse “le linee hanno operato al 70%, ma è presto per i bilanci. Non sono in ritardo”?
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Quanti danni può fare, questo modo di ragionare?
Oggi può far morire delle persone.
E domani farà anche morire la capacità del nostro Paese di competere, in un mondo fatto da persone operose, che corrono e non cercano scuse.
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Mi è stato fatto notare che il mio precedente commento non è corretto, perché nessuno ha proposto il vecchio “lavorare meno per lavorare tutti”, ma qualcosa di più articolato.
Chiedo venia ai proponenti per essermi lasciato “scappare la frizione” con questa reazione affrettata. Tuttavia, il mio giudizio negativo non cambia, per i motivi che proverò a illustrare di seguito.
La prima critica è di principio. Come sovente in passato, si immaginano misure basate sull’ipotesi che il lavoro sia una torta fissa da dividere, e che la disoccupazione di X e Y sia frutto dell’occupazione e del “superlavoro” di Z.
Per strada, in un giorno di “blocco del traffico” a Torino, assistete a questa scena: una pattuglia di vigili ha fermato un’auto, guidata da un volontario milanese che assiste gli anziani, e che ha deciso di violare il “blocco” per
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...accompagnarne uno a una visita medica.
Sapeva cosa rischiava, e se ne è preso la responsabilità.
I vigili sono lì insieme al sindaco e, anziché limitarsi a fare la multa dicendo “capisco, ma le regole sono regole”, iniziano a inveire, lo insultano,
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... lo accusano di fare politica e di essere pagati da chissa chi, se la prendono con il sindaco di Milano che non l’ha tenuto a casa sua.
Preparatevi, perché oggi lo dicono forte e chiaro.
Grazie alla fiducia degli italiani, che “li vogliono”, intendono davvero introdurre questi pezzi di carta non solo per pagare fornitori della PA, ma anche crediti d’imposta ai singoli (e perché non pensioni e stipendi?).
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Uno strumento che si basa su una grande truffa contabile sui conti dello Stato e che, diventando anche una moneta parallela illegale, porterà rapidamente l’Italia fuori dall’Euro (e, a ridenominare in Borghilire anche il vostro conto in banca).
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Da allora, sapete cosa accadrà, perché l’abbiamo già vissuto: spesa pubblica incontrollata e clientelare, pagata con una moneta che si svaluta, e inflazione a doppia cifra.
Ecco. Ponti e @ramella_f ammettono candidamente uno dei punti che da più parti è stato loro contestato.
Richiesti di valutare una specifica opera, hanno voluto valutare una politica nazionale ed europea (lo shift modale da gomma a ferro).
(segue) mobapp24.ilsole24ore.com/art.php?testat…
E ciò potrebbe creare dei danni incalcolabili. Perché il loro scellerato e donchisciottesco esercizio non bloccherà di certo questa politica generale, ma potrebbe andarne a sabotare un singolo snodo di una rete più ampia, staccandone l’Italia.
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Come se la decisione di costruire una scuola a Enna includesse calcoli sull’efficacia dei modelli formativi nazionali, o quella di potenziare le linee elettriche verso Trieste includesse considerazioni relative ai sussidi verso le rinnovabili, e le risposte venissero negative.