GIG ECONOMY: NON SI PUÒ PIÙ ATTENDERE [thread]
Tra articoli di giornale fuorvianti e le recenti indagini sulle condizioni semi-servili cui sono costretti i rider, la #gigeconomy torna ad animare il dibattito pubblico. E da più voci si solleva l’appello a regolamentarla. 1/14
Mentre la maggior parte dei lavori del terziario si sono adeguati alle pratiche dello #smartworking nel corso della crisi pandemica, troppo spesso trascurati sono gli impiegati di un comparto che ha assunto un’importanza fino a un anno fa inimmaginabile: i rider🚴‍♀️. 2/14
La natura di questo comparto rende difficile valutare il numero complessivo dei lavoratori della gig o sharing economy su scala globale, ma solo negli Stati Uniti questi raggiungevano la cifra di 55 milioni nel 2017. Numeri troppo rilevanti per poter esser ignorati. 3/14
Si tratta di una rete globale di persone che non risultano dipendenti di nessuna impresa, ma piuttosto forniscono, a seconda delle richieste dei clienti, una serie di competenze specifiche. Tra essi si annoverano rider, tassisti e altri profili scarsamente qualificati. 4/14
Esternalizzazione dei servizi. Questa è la parola d’ordine con cui la sharing economy si è imposta in maniera pervasiva, a causa, certo, della rapida diffusione della tecnologia, ma soprattutto con l’obiettivo delle imprese di tagliare i costi. E qui iniziano i problemi. 5/14
Principale criticità del comparto è la mancanza di qualsiasi tipo di regolamentazione che protegga i lavoratori👷, i quali, non essendo considerati lavoratori subordinati, perdono le tutele basilari come l’assicurazione sanitaria e la pensione. 6/14
Inoltre, non ci sono norme che limitino l’orario di lavoro, problema particolarmente sentito da #rider e driver. Con l’eccezione del salario minimo, non esistono leggi sulla retribuzione. Quanto detto basta a motivare la necessità impellente di un’adeguata regolamentazione. 7/14
C’è chi confida nel fatto che l’ascesa della #gigeconomy porterà a una riduzione del divario di genere in termini di occupazione e salari. Eppure, i dati raccolti raccontano di come nel settore si verifichino già situazioni di discriminazione di genere sul piano dei salari. 8/14
Oltre alla California, altri tre Stati – New York, New Jersey e Illinois – hanno tentato di attuare provvedimenti legislativi sullo status dei lavoratori della gig economy negli Stati Uniti🇺🇸. Si tratta di tentativi lodevoli di regolamentazione, ma ancora insufficienti. 9/14
L’Unione Europea🇪🇺 ha attuato dei provvedimenti legislativi nel 2020 atti a salvaguardare i diritti di lavoratori dipendenti in “forme atipiche di occupazione”. E, tuttavia, non v’è stato nessun cambiamento nel senso di una definizione chiara degli impieghi del comparto. 10/14
In Asia, non esiste pressoché nessun genere di legislazione volta a tutelare i lavoratori della #gigeconomy. Le dichiarazioni di intenti del governo della Malesia, ad esempio, sono rimaste tali. 11/14
In conclusione, la soluzione più agevole per i legislatori sarebbe quella rafforzare la legislazione in materia di lavoro👷già in vigore, al fine di estenderne l’efficacia agli operatori della #gigeconomy. Al momento, troppe ambiguità rimangono irrisolte. 12/14
La seconda opzione è, come è stato fatto negli Stati Uniti🇺🇸, concepire un meccanismo di rilevazione dei dati che consenta di ampliare l’accezione del termine “lavoratore impiegato” agli operatori della gig economy. Questo aprirebbe anche la strada ai contratti collettivi. 13/14
Qualunque sia la strada intrapresa dai legislatori, resta imperativo il fatto che le riforme riguardanti la #gigeconomy devono essere realizzate in tempi rapidi. Ci sono in gioco i diritti di milioni di lavoratori e un aggravamento ulteriore delle disuguaglianze. 14/14
Thread a cura di @fra_lau16 e ispirato alla traduzione italiana di un articolo di Ritwik Khanna, Columnist di @CrossfireKm
kriticaeconomica.com/gig-economy-e-…
Riguardo allo stesso argomento, consigliamo la lettura della seguente intervista.
kriticaeconomica.com/intervista-yif…

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