Davvero ci sarà uno "tsunami" di #licenziamenti quando il divieto sarà gradualmente ritirato? La domanda non è peregrina e la risposta richiede tutta la prudenza necessaria date le conseguenze pratiche che questo potrebbe avere per migliaia di famiglie. Un thread 👇
L'Italia è l'unico paese ad aver introdotto un divieto così restrittivo tra i paesi europei, ma altrove non abbiamo assistito a uno "tsunami" di licenziamenti. Ad evitare la bomba sono stati la cassa integrazione e le misure per il credito. lavoce.info/archives/69069…
Con l'introduzione del divieto di licenziamento *economico*, cioè legato a difficoltà dell'azienda e non al comportamento del lavoratore, si è passati da 40.000 licenziamenti al mese in media a 20.000 (era comunque possibile licenziare per chiusura o altri motivi non economici).
Inoltre, anche le assunzioni sono crollate nei primi mesi della pandemia e molti contratti non a tempo indeterminato sono stati rescissi. Il risultato è che un forte aggiustamento c'è già stato: rispetto a gennaio 2020 sono *quasi un milione* gli occupati in meno!
Guardando ai prossimi mesi, l'economia è in forte ripresa, in particolare il settore manifatturiero e nell'ultimo mese anche il commercio. Crescono ma sono ancora deboli i servizi (dove però gli occupati sono molti). Quindi il divieto sarà tolto in una fase di espansione.
Le prospettive occupazionali secondo le imprese sono buone e in linea con quelle dell'area euro. Secondo questi dati non sembra che la maggioranza delle imprese italiana voglia tagliare il numero di occupati.
L'incertezza maggiore è l'andamento della pandemia: se il virus tornerà a circolare e ci saranno nuove chiusure allora certamente il discorso cambia e di molto. Per questo la campagna vaccinale e il controllo delle varianti è così importante.
Andrà tutto bene, quindi? No, per due motivi. Il primo perché chi perde il posto di lavoro non ha la certezza di essere coperto dagli ammortizzatori sociali (ma a questo dovrebbe pensarci la riforma che Orlando intende presentare a luglio).
In secondo luogo, in molte regioni d'Italia chi perde il lavoro non ha accesso a nessuna forma di supporto personale e professionale (le famose "politiche attive"). E su questo, a parte aver rimosso Parisi e cambiato la governance dell'ANPAL, siamo ancora in altissimo mare.
E comunque anche restare in cassa integrazione non è una soluzione: innanzitutto perché si è pagati molto poco. E poi perché per legge un cassaintegrato non può fare un altro lavoro o lavoretto (se non in nero) e non fa formazione. Dopo mesi così quali saranno le sue prospettive?
In questo thread @ThManfredi fa una serie di considerazioni di “political economy” sul perché l’Italia, a differenza degli altri paesi europei, abbia introdotto il divieto di licenziamento e perché sia così complesso uscirne. Da leggere per completare la discussione sopra
Si conferma un impatto molto duro del #COVID19 concentrato sui più deboli. Tra marzo e aprile netto calo dei rapporti di lavoro rispetto a stesso periodo del 2019, trainato da temporanei mentre rapporti a tempo indeterminato sono leggermente aumentati. #inpsdati
Questo non è dovuto a un aumento cessazioni che, anzi, sono inferiori al 2019. Significa che divieto di licenziamento e CIG hanno bloccato uscite *oltre* quanto sarebbe avvenuto normalmente (cioè senza #COVID19) andando al di là del proprio ruolo anti-crisi (nel bene e nel male).
Un long entretien avec @jerome_lepeytre@AEFsocial_RH sur les mesures mises en place contre le virus, l’emploi et le social. aefinfo.fr/depeche/624424 Tout d’abord soyons clairs: les mesures sanitaires sont absolument nécessaires pour la santé bien sûr mais aussi pour l’économie.
Le télétravail a été la réponse par défaut face à la crise. Mais si le télétravail ne s’improvise pas pour des raisons techniques mais aussi culturelles et managériales. Le télétravail impose une manière très différente d’évaluer, de superviser et d’organiser le travail.
Pour pas mal d’entreprises la présence reste l’outil principal de mesure pour vérifier que le travailleur fait bien son travail. C’est un changement culturel pas évident, mais qui est nécessaire pour que le télétravail soit efficace.