Il commento di Calenda ai tweet di Montanari e Lerner riporta al centro il tema del conflitto sociale. Calenda, come molti altri, lo teme. Il conflitto sociale, il riconoscimento di interessi e divergenti, l’organizzazione collettiva di questi interessi, sono tabù. 1/N
Chi li evoca – cioè chi parla di classi, di conflitto di classe, di “padroni” – è automaticamente etichettato come fuori dal tempo o, come nelle parole di Crosetto, come cattivo maestro. Ma è proprio la negazione del conflitto sociale a essere sbagliata. 2/N
Il conflitto sociale può infatti avere funzioni di coesione sociale: si confligge su e per qualcosa di condiviso. Il conflitto è una forma dell’interazione sociale e non sempre è distruttivo: mette in relazione. Ne scrive Lewis Coser, tra gli altri 3/N
Le società industriali sono cresciute e hanno creato ricchezza proprio durante i periodi di conflitto sociale. Quando interessi organizzati e contrapposti si sono reciprocamente riconosciuti nella diversità. E si trattava di diversità forte e marcata 4/N
Calenda ha in mente una società caratterizzata solo da “problemi di coordinamento”: come due auto che si incrociano lungo una strada stretta. Si condivide un interesse oggettivo e il problema è coordinarsi per scegliere la direzione giusta 5/N
Ma è sempre così? No! Gli interessi sono anche diversi alla radice e questo crea i presupposti per il conflitto. Gli interessi hanno una dimensione oggettiva: l’interesse del rematore schiavizzato costretto a vogare al ritmo del tamburo 6/N
È quello di liberarsi dalle catene (si veda: libreriauniversitaria.it/cos-ideologia-…). Pensare che non esistano interessi oggettivi e/o che questi siano soggetti solo a problemi di coordinamento 7/N
risolvibili con la comunicazione e l’adesione a “narrazioni” è uno degli errori del post-moderno. E chi non vuol sentir parlare di conflitto sociale, fa lo stesso errore. Con una differenza: nel non riconoscere la presenza di interessi diversi, 8/N
spesso sostiene quelli più forti: dare soldi alle imprese va sempre e comunque bene; l’industria 4.0 senza il lavoro 4.0; la tecnologia come viatico; il povero è colpevole della sua condizione di povertà; i grandi patrimoni non si toccano. 9/N
Come afferma Mario Tronti (ilmanifesto.it/mario-tronti-c…), la politica, moderna, non è polis, non è agorà. È rapporto di forza, è potenza contro potenza, è appartenenza a un campo contro un altro campo. Chi non l’ha capito, direbbe Weber, è politicamente ancora un fanciullo. 10/N
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Il senso comune, sosteneva Antonio Gramsci, è la concezione del mondo in cui si sviluppa l'individualità morale dell'uomo medio. Dalla casalinga di Voghera, al Leghista di Voghera: come è cambiato il senso comune in Italia? 1/N
Il senso comune funziona da verità del «buon senso» e della saggezza popolare, ma deriva in realtà dalla concezione del mondo della classe dominate e (con Louis Althusser) degli apparati ideologici (e della loro evoluzione). 2/N
Thread. Senza critica. La nuova destra in Europa e il mito della responsabilità individuale.
Oggi su Il Manifesto. ilmanifesto.it/la-nuova-destr… Qui con contenuti extra, 0/N
Ma quali significati, valori e priorità si associano a questa auto-collocazione? I risultati sono piuttosto interessanti, anche se non sorprendenti, e corrispondono alla tesi centrale dell’ultimo lavoro di Marco D’Eramo, “Dominio”. 2/N
Uno studio recente della Fondation pour l'innovation politique si intitola «La conversione degli europei ai valori di destra», ed esamina lo smottamento in quattro paesi, in particolare: Francia, Germania, Italia e Regno Unito. L'auto-posizionamento a destra 1/N
è in testa in tutti e quattro i paesi studiati: il 44% degli italiani si descrive come di destra (31% come di sinistra), contro il 40% dei britannici (25% come di sinistra), il 38% dei francesi (24% come di sinistra) e il 36% dei tedeschi (26% come di sinistra). 2/N
Thread. Letta, i giovani, la fiscalità e i rischi del politicismo. Mio pezzo oggi su Il Manifesto. Qui con Thread di accompagnamento e goccia d’acqua sull’articolo a testimonianza della colazione. 0/N
Perché vediamo sempre le stesse facce nei talk-show politici? Perché discussione pubblica sulle politiche è sempre soverchiata dalla politica? Perché negli altri paesi sui giornali si leggono ottimi articoli sul merito delle politiche, mentre qui “tutto è politica”? 1/N
Perché è morta la sfera pubblica, sostituita dall’opinione pubblica mediatizzata. Perché non ci sono più corpi (e luoghi fisici) intermedi, capaci di articolare e rappresentare interessi, bisogni, conflitti e domande sociali. È la politica disintermediata. 2/N
Sono trascorsi più di 4 anni dal 26 settembre 2016 quando veniva pubblicamente lanciato, dopo quasi due anni di preparazione, il progetto “Sibari di notte” per la valorizzazione del Parco del Cavallo. 1/N
Dopo aver dato la sua approvazione, però, il ministero dei Beni culturali ha compiuto un passo indietro, che ha bloccato l’avvio del progetto. Leggendo l’articolo 2/N
Thread. Letta, la fiscalità e i rischi del politicismo 0/N
Giornali, talk-show, interviste e i social media sono sempre più il luogo scelto per proposte politiche “d’impatto”, sui temi più vari. Silvio Berlusconi è stato il gran maestro del genere, dal palcoscenico di “Porta a Porta”. Matteo Renzi l’allievo più abile. 1/N
Giorgia Meloni e Matteo Salvini, oggi, gli interpreti più efficaci. Anche Letta, con la proposta relativa all’aumento della tassa di successione a beneficio della “dote per i diciottenni”, nasce e si sviluppa in un contesto mediatico (intervista-tweet-talk show) 2/N